Penale

È ingiusta detenzione anche quella subita dopo la condanna durante la fase di esecuzione

La riparazione è dovuta per gli errori di calcolo dell'ordine esecutivo che detrminano periodi pena "sine titulo"

di Paola Rossi

La Cassazione prosegue sulla strada interpretativa già tracciata di riconoscere il ristoro per l'ingiusta detenzione "comunque subita" cioè anche anche in fase non cautelare e da chi non vi abbia concorso con comportamenti dolosi o colposi. La sentenza n. 28452/2022 ha annullato la decisione di merito che aveva rigettato la domanda di riparazione in un caso in cui a segutio dello scomputo dei giorni riconosciuti a titolo di liberazione anticipata la detenzione subita risultava di fatto superiore al calcolo di quella residua.

La norma "allargata"
In effetti l'articolo 314 del Codice penale parla esplicitamente solo di indennizzo per la custodia cautelare subita da chi è stato prosciolto con formula pienamente liberatoria dalla responsabilità penale inizialmente imputata. Però - secondo la pronuncia della IV sezione penale - un'interpretazione costituzionalmente orientata e rispettosa dell'articolo 5 della Cedu non può che condurre a ritenere meritevole di riparazione qualsiasi privazione della libertà personale applicata sine titulo.

Già la Corte costituzionale nel 2018 aveva allargatao le ipotesi di ingiusta detenzione a tutti quei casi in cui per vicende processuali quali, ad esempio, la remissione della querela la detenzione sofferta era ab initio o successivamente priva di fondamento giuridico. Infatti, l'articolo 314 del Codice si riferisce espressamente ai casi di proscioglimento per non aver commesso il fatto, perché il fatto non sussiste o perché non costituisce reato. Al contrario, di quanto "riaffermato" ora dalla Cassazione penale i giudici di merito avevano letto la sentenza costituzionale come un intervento che ampliava l'operatività dell'istituto dell'ingiusta detenzione però con esclusione di tutte le ipotesi in cui la discrasia tra pena subita e quella che andava in realtà eseguita consegue a vicende successive alla condanna.

Invece nel dettare il principio di diritto cui deve attenersi il giudice del rinvio la Cassazione precisa che i ritardi nell'adozione di un corretto ordine di esecuzione che tenga conto degli errori di calcolo commessi in precedenza nella fase esecutiva post condanna rilevano ai fini del diritto alla riparazione a meno che non vi sia il concorso in tale ritardo da parte del condannato. Nel caso concreto i giudici di merito, che avevano respinto la richiesta di indennizzo, sottolineavano l'inerzia del condannato che non aveva fatto ricorso tempestivamente contro l'errore di calcolo contenuto nell'ordine di esecuzione. Se tale circostanza possa integrare anche solo la colpa del condannato sarà da vedere nella pronuncia di rinvio.

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