Civile

Crediti previdenziali INPS. Gest*one speciale artigiani e commercianti. Occultamento doloso del debito, quale "eccezionale" causa di sospensione della prescrizione. I limiti imposti dall'art. 2941 n. 8 C.C

Come spesso accade, le determinazioni impositive degli Uffici finanziari o degli Enti previdenziali, per la riscossione di imposte, tributi o, come in questo caso, di contributi previdenziali, rappresentano un momento di riflessione, sul quale è necessario soffermarsi, per comprendere se vi sia armonia tra il quadro normativo, la prassi, la giurisprudenza ed il dato fattuale.

di Andrea Migliavacca *

Come spesso accade, le determinazioni impositive degli Uffici finanziari o degli Enti previdenziali, per la riscossione di imposte, tributi o, come in questo caso, di contributi previdenziali, rappresentano un momento di riflessione, sul quale è necessario soffermarsi, per comprendere se vi sia armonia tra il quadro normativo, la prassi, la giurisprudenza ed il dato fattuale.

Talvolta, un impianto normativo non particolarmente chiaro (perché frutto di una frettolosa attività legislativa, o per la sovrapposizione di leggi, oppure anche per l'innesto di articoli incoerenti) impone un intervento interpretativo. Il più delle volte, e ciò accade per evidenti ragioni applicative – finalizzate a rimuovere ostacoli, che paralizzerebbero il sistema – questo compito viene dapprima affidato all'Ente interessato, che emana Direttive, Circolari o Messaggi; in via residuale, ma non troppo, per esigenze di cassa. Solo in un secondo momento, per ovvie ragioni, ci si affida alla magistratura (ordinaria o tributaria), adita, com'è facile intuire, dall'insoddisfatto contribuente, che si oppone all'accertamento e/o all'esazione. La risposta, purtroppo, con inusuale frequenza, non è sempre la stessa (e ciò crea spesso, anche in seno alla Suprema Corte, inaccettabili contrasti giurisprudenziali); peraltro, non è sempre coerente rispetto alla domanda, la quale evidentemente contiene sfumature, che, invece, meriterebbero un attento approfondimento.

Alla Corte di Cassazione (quando la questione approda dopo anni) è affidato un compito delicatissimo: verificare, in particolare, la legittima applicazione della legge, in quello specifico caso, e, in generale, offrire un indirizzo, sia per i Giudici del merito, ma anche per i cittadini; una delicata sintesi che è anche una vocazione istituzionale, la cd. nomofilachia. Gli operatori del diritto, tuttavia, rimangono spesso disorientati da Sentenze od Ordinanze che, magari lo stesso giorno, in Sezioni diverse della Suprema Corte, o a distanza di pochi giorni, nella medesima Sezione, (preferibilmente) in diversa composizione, affermano un principio e poi, immediatamente dopo, il suo esatto contrario.

Postulati giuridici che – seppur non sempre condivisibili – vengono assunti (dai Giudici di merito e anche dalla medesima Suprema Corte) come un dogma irrefutabile ed applicati, senza alcuno spirito critico, analogicamente ed ostinatamente ad ogni fattispecie vagamente similare.

Qualcuno potrebbe definire, come generico, questo preambolo; qualche altro malevolo lettore lo potrebbe considerare un concentrato di ovvietà o, peggio, una mancanza di rispetto nei riguardi dell'Autorità Giudiziaria. Tutt'affatto, per chi scrive; probabilmente per molti.

Nel caso in esame, tuttavia, ci sono due temi che si intrecciano e spesso si fondono, impedendo di distinguerne i contorni; la loro congiunta disamina meglio potrà rendere il senso di quanto poc'anzi rappresentato in premessa e cioè: la (1) determinazione della base imponibile ai fini del calcolo dei contributi previdenziali, in particolare, per i lavoratori autonomi, iscritti alla speciale Gestione Artigiani e Commercianti e la (2) sospensione della prescrizione in relazione al (preteso) occultamento doloso del debito, ex art. 2941, n. 8, Cod. Civ.

Temi sui quali l'INPS, per evidenti ragioni, è particolarmente sensibile e che, per questo, coltiva con ostinazione ed innegabilmente con successo.

La giurisprudenza di legittimità e di merito, in effetti, seppur con qualche sparuta eccezione, allo stato, pare aver dato ragione all'Ente previdenziale, su entrambi i fronti, producendo numerose sentenze "fotocopia".

Ci sono, tuttavia, alcuni aspetti nodali, che – se opportunamente esaminati – potrebbero indurre a risolvere le questioni in modo diametralmente opposto.

DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE PER ARTIGIANI E COMMERCIANTI

Senza avere la presunzione di poter sintetizzare, in questo contributo, il complicato meccanismo che sottende l'obbligo di iscrizione ad una determinata gestione previdenziale, in seno all'INPS, e/o di affrontare minuziosamente i criteri attraverso i quali viene determinato il calcolo dei conseguenti contributi previdenziali, si ritiene, in ogni caso, indispensabile affrontare alcune precisazioni. Ciò, sia per operare alcune necessarie distinzioni, tra le differenti Gestioni (nel caso, per la determinazione della base imponibile), sia per meglio affrontare alcune altre questioni (per comprendere se possa, o meno, qualificarsi come doloso occultamento del credito – secondo la tesi dell'INPS e della dominante giurisprudenza – l'omessa e/o incompleta compilazione del quadro RR).

L'obiettivo, dunque, è quello di esaminare la particolare condizione dei lavoratori autonomi iscritti alla Gestione degli Artigiani e dei Commercianti. Giocoforza – nei paragrafi che seguono – si dovrà affrontare una sommaria comparazione, con la Gestione Separata, in ordine alla base imponibile e, dunque, relativamente alla compilazione del quadro RR.

È stato in precedenza affrontato dallo scrivente, e pubblicato sulla medesima rivista (PlusPlus24 Diritto del 10/01/2020) il tema de " I l perimetro della base imponibile dei redditi, valida per determinazione dei contributi IVS: dubbi interpretativi dell'INPS e certezze giurisprudenziali anche della Suprema Corte ". Nell'occorso, si è fatto riferimento alle due principali disposizioni normative che reggono la materia. Quella che (1) istituisce l'obbligo di iscrizione nella gestione assicurativa degli esercenti attività commerciali di cui alla L. 22 luglio 1966, n. 613, e successive modificazioni ed integrazioni, sussiste per i soggetti che siano in possesso dei seguenti requisiti (…) partecipino personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza…" (l'art. 1, commi 202 e 203 della legge 662/1996); e quella che determina " l'ammontare del contributo annuo dovuto per i soggetti di cui alla L. 2 agosto 1990, n. 233, art. 1, è rapportato alla totalità dei redditi d'impresa denunciati ai fini IRPEF per l'anno al quale i contributi stessi si riferiscono" (art. 3-bis della legge 14 novembre 1992, n. 438).

Attraverso una lettura costituzionalmente orientata delle predette norme (artt. 3 e 53 Cost.), solo i redditi prodotti dal lavoratore autonomo, iscritto (o da iscrivere, anche forzatamente) a quella speciale gestione, nell'esercizio della sua attività (abituale e prevalente) di artigiano e/o commerciante sarebbero da considerare idonei per il computo della contribuzione previdenziale.

Per contro, secondo la granitica interpretazione offerta dall'INPS, a partire dalla circolare n. 102 del 12 Giugno 2003, ribadita a più riprese negli anni successivi, non solo i redditi prodotti dal lavoro devono essere assoggettati a contribuzione previdenziale, ma anche i redditi da capitale e i dividendi, i quali, in quest'ottica, costituiscono reddito a disposizione del lavoratore autonomo, che ne migliorano il tenore di vita e che saranno utili per il miglioramento della prestazione pensionistica.

È stato, in particolare, precisato che la base imponibile, fermo restando il minimale contributivo, è costituita dalla parte del reddito d'impresa dichiarato dalla s.r.l., ai fini fiscali ed attribuita al socio, in ragione della quota di partecipazione agli utili, prescindendo dalla destinazione che l'assemblea abbia riservato a detti utili ed ancorchè non distribuiti ai soci. E prescindendo anche – per quelle che sono state le successive applicazioni pratiche – dal fatto che quel lavoratore avesse partecipazioni di capitali in altre società commerciali.

Tutto imponibile insomma; in altre parole, indipendentemente (1) dal fatto che quegli utili fossero effettivamente distribuiti e, in modo ugualmente beffardo, indipendentemente (2) dal fatto che quello stesso lavoratore avesse effettivamente prestato la propria opera, in quella o in altra società (commerciale) nella quale – in ipotesi – abbia investito i propri risparmi e, dunque, non abbia partecipato personalmente al lavoro aziendale con carattere di abitualità e prevalenza.

Sebbene il T.U.I.R. (D.P.R. 22/12/1986, n. 917), definisca, sotto il profilo fiscale, un netto confine tra i redditi d'impresa (art. 55), ovvero quelli che derivano dall'esercizio di attività imprenditoriale, e i redditi di capitale (art. 44 lettera e), cioè gli utili da partecipazione alle società soggette all'IRES, l'INPS, al contrario, non ammette alcuna distinzione.

L'Agenzia delle Entrate – di concerto con l'INPS, che scambia con la prima un costante flusso informativo – anche con riferimento alla posizione di ogni singolo contribuente, annualmente fornisce le indicazioni circa la compilazione delle dichiarazioni dei redditi, in relazione alle somme da assoggettare alla contribuzione previdenziale. Com'è noto, compete all'Agenzia delle Entrate la verifica (formale e sostanziale) delle dichiarazioni dei redditi e la stessa ha (in caso di errore del contribuente) il potere di rideterminare non solo le imposte, ma anche i contributi previdenziali; spetterà, poi, all'Ente previdenziale riscuoterli, autonomamente.

Secondo le indicazioni dell'INPS, dunque, oltre ai redditi di impresa anche i redditi di capitale avrebbero dovuto essere inseriti (a prescindere dalla loro percezione) nel quadro RR della dichiarazione dei redditi (Modello UPF). Formalità questa – come si avrà modo di precisare nel successivo capitolo, dedicato alla sospensione della prescrizione – che serve all'INPS quale strumento per verificare (a posteriori), se il contribuente-assicurato abbia correttamente dichiarato l'eventuale eccedenza rispetto ai minimali e, nel caso, ottenere agevolmente la conferma del dolo nell'occultamento del credito contributivo.

Nella circolare INPS n. 90 del 17/06/2019, viene precisato: "si fa presente che deve essere preso in considerazione il totale dei redditi d'impresa conseguiti nell'anno (precedente), al netto delle eventuali perdite dei periodi d'imposta precedenti. Per i soci di s.r.l. iscritti alle Gestioni degli artigiani o dei commercianti, la base imponibile, oltre a quanto eventualmente dichiarato come reddito d'impresa, è costituita dalla parte del reddito d'impresa della s.r.l. corrispondente alla quota di partecipazione agli utili ovvero alla quota del reddito attribuita al socio per le società partecipate in regime di trasparenza". E, poi, prosegue: "gli iscritti alle Gestioni degli artigiani o dei commercianti i redditi in argomento devono essere integrati anche con quelli eventualmente derivanti dalla partecipazione a società a responsabilità limitata e denunciati con il modello "Redditi SC" (società di capitali)".

Se, in effetti, è con la compilazione del quadro RR che il lavoratore autonomo dichiara l'entità dei contributi previdenziali da versare (nel caso, l'iscritto alla Gestione Artigiani e Commercianti dovrà indicare i contributi eccedenti i minimi contributivi, atteso il superamento dei limiti reddituali), è altrettanto vero che l'INPS è tenuta ad affrontare (alla luce di quanto precisato oltre) un'attenta analisi, per ogni singolo caso.

Non è, infatti, sufficiente incrociare i dati della dichiarazione del socio (quadro RR), iscritto (o da iscrivere) alla gestione artigiani e commercianti, con quelli della società, per sostenere l'ammontare contributivo. A sostenerlo è stata a più riprese la giurisprudenza di Merito ed in ultimo anche la Suprema Corte, in più occasioni (con le note sentenze Cass. Civ., Sez. Lav., 20/08/2019, n. 21.540 e Cass. Civ. Sez. lavoro, 24/09/2019, n. 23.790). In esse si legge: " La sola percezione di utili derivanti da una mera partecipazione (senza lavoro) in società di capitali, non può far scattare il rapporto giuridico previdenziale, che sorge esclusivamente qualora il socio partecipi al lavoro dell'azienda con carattere di abitualità e prevalenza" .

E poi ancora: " In continuità con i recenti arresti indicati, i requisiti congiunti di abitualità e prevalenza dell'attività del socio di società a responsabilità limitata (l'onere della prova dei quali è a carico dell'INPS) sono da riferire all'attività lavorativa espletata dal soggetto considerato in seno all'impresa che costituisce l'oggetto della società (…)" . Per partecipazione al lavoro aziendale deve intendersi lo svolgimento dell'attività operativa in cui si estrinseca l'oggetto dell'impresa (cfr. Cass. Civ. 18/05/2017, n. 12.560).

CIRCOLARI INPS 75, 84 E 88/2021: LA NUOVA PRASSI DELL'INPS

Non a caso, l'INPS, con due distinte circolari, la n. 84 e la n. 88/2021, recependo le indicazioni del Ministero del Lavoro e delle politiche sociali dell'anno precedente (cfr. nota prot. n. 7.476/2020), che ha a sua volta fatto propri i principi gli enunciati dalla Suprema Corte (nelle richiamate sentenze), ha invertito drasticamente (e drammaticamente) la rotta.

Finalmente, come da tempo auspicato, l'INPS, con la circolare n. 84 del 10/06/2021, ha concluso che " devono essere esclusi dalla base imponibile contributiva i redditi di capitale attribuiti agli iscritti alle Gestioni speciali degli artigiani e degli esercenti attività commerciali derivanti dalla partecipazione a società di capitali nella quale i lavoratori autonomi non svolgono attività lavorativa ".

Con la successiva circolare n. 88 del 21/06/2021, sono state offerte, invece, indicazioni operative circa la compilazione del quadro RR. Un passaggio dirimente, merita – anche in questo caso – di essere integralmente ritrascritto: "Per i soci di società a responsabilità limitata iscritti alle Gestioni degli artigiani o dei commercianti, la base imponibile, oltre a quanto eventualmente dichiarato come reddito d'impresa, è costituita dalla parte del reddito d'impresa della S.r.l. corrispondente alla quota di partecipazione agli utili ovvero alla quota del reddito attribuita al socio per le società partecipate in regime di trasparenza. Come reso noto dall'Istituto con circolare n. 84 del 10 giugno 2021, il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali ha chiarito che gli utili derivanti dalla partecipazione a società di capitali disciplinati dal TUIR tra i redditi di capitale non sono ascrivibili alle disposizioni di cui all'articolo 3-bis del decreto-legge 19 settembre 1992, n. 384, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 novembre 1992, n. 438, nel caso in cui non venga prestata attività lavorativa ".

Le circolari INPS n. 84 ed 88 hanno avuto il pregio – a parere di chi scrive – di aver accentuato l'abominio che dal 2003 affligge i lavoratori autonomi del comparto (artigianato e commercio), con ogni probabilità scatenando il contenzioso, anziché attenuarlo: ciò, contrariamente agli intenti, che hanno animato le circolari.

A confermare questa tesi, maliziosamente si suggerisce anche la lettura della (premonitrice) circolare INPS n. 75 del 06/05/2021, titolata " Rimborsi della contribuzione previdenziale e assistenziale indebitamente versata alle Gestioni degli artigiani e degli esercenti attività commerciali ", nella quale vengono offerte alcune importanti istruzioni operative per la gestione dei rimborsi relativamente agli importi per i quali non risultino decorsi i termini di prescrizione, che la stessa INPS (trattandosi di indebito oggettivo) riconosce essere decennale.

L'OMESSA E/O INCOMPLETA COMPILAZIONE DELLA DICHIARAZIONE (QUADRO RR) COMPORTA LA SOSPENSIONE DELLA PRESCRIZIONE?

Il tema della determinazione della base imponibile, come anticipato, s'intreccia con insolita frequenza con gli istituti della prescrizione (art. 2935 Cod. Civ.) – che nella materia è oramai indiscutibilmente quinquennale – o meglio, della sospensione della prescrizione (art. 2941 n. 8 Cod. Civ.); un'eccezione che l'Ente previdenziale, con grande successo, ha recentemente rispolverato dopo anni di oblio.

Le prime sentenze sul punto, infatti, risalgono ai primi anni '60 (cfr. Cass. Civ. 23 aprile 1963 n. 1.044, in Riv. It. Prev. Soc., 1964, 731). Nella massima, annotata da MARAFIOTI, con una lucida e sintetica disamina, si legge: "Il fatto del debitore, per avere efficacia sospensiva della prescrizione ex art. 2941 n. 8 Cod. Civ., deve essere tale da avere impedito al creditore di conoscere e far valere tempestivamente il proprio diritto. Tale impedimento deve escludersi, nei rapporti tra assicurato ed istituto assicuratore, nel caso in cui quest'ultimo, mediante l'uso della normale diligenza, era in grado di premunirsi contro le insidie dell'assicurato, tanto più quando le malizie da questi adoperate appaiono grossolane e contrastanti tra loro." Per inciso, l'ente assicuratore anche in quel caso era l'INPS. Nell'occorso, si legge testualmente nella sentenza: "l'inesatta o infedele denuncia dell'assicurato (ndr), contrastante con le risultanze dei successivi adempimenti, si profilava di per sè come un fatto equivoco che, per il suo agevole riscontro da parte degli organi di controllo non integrava di per sé quel doloso comportamento che, ai fini della sospensione della prescrizione, richiede un impiego di mezzi fraudolenti idonei a nascondere la reale situazione e ad eludere l'efficienza del controllo, né quella situazione obiettiva che , per potere aver efficacia sospensiva della prescrizione, deve avere impedito al creditore di conoscere e far valere il proprio diritto".

Se si considera che l'assunto è stato concepito in epoca analogica, a maggior ragione deve valere nell'odierna (ed apparentemente più efficiente) era digitale.

L'istituto della sospensione della prescrizione, allora giovane, perché poco più che ventenne (essendo stato introdotto nel nostro ordinamento, solo col Codice del 1942), è stato oggetto di attenta analisi dalla successiva dottrina e giurisprudenza. Si è, dunque, fatta larga una tesi (divenuta nel tempo preminente) secondo cui le circostanze che sospendono la prescrizione attengono, in genere, ad una speciale condizione giuridica in cui si trova il titolare (o a una speciale relazione giuridica esistente tra il titolare) e il soggetto passivo. L'ignoranza senza colpa del titolare sull'esistenza del diritto è causa sospensiva della prescrizione solamente quando dipenda dall'occultamento doloso da parte del debitore e fintanto ché il dolo non sia stato scoperto (art. 2941, n. 8 c.c.).

Perché si possa configurare la fattispecie è necessario che ricorrano contemporaneamente due condizioni: (1) il debitore abbia svolto attività intenzionalmente diretta ad occultare al creditore l'esistenza dell'obbligazione e (2) tale comportamento abbia determinato una situazione oggettiva tale da precludere al creditore la possibilità di far valere il proprio diritto.
In tempi più recenti, si è sostenuto (NOTARGIACOMO, nota a margine della sentenza Cass. Civ. Sez. Lav. 12.754 del 13/12/1995, in GIUSTIZIA ITALIANA, I, p. 2037) anche: "È infatti possibile che, magari, ci sia stata un'attività dolosa del debitore, ma questa non sia stata idonea a raggiungere lo scopo dell'occultamento, ed in questo caso l'inerzia del creditore rimarrebbe non solo impregiudicata, ma anche colpevole."

Tornando ai giorni nostri, come s'è detto, l'INPS, per conseguire il pagamento dei contributi previdenziali (talvolta asseritamente) omessi, perché calcolati secondo i criteri di cui alla rinnegata circolare INPS n. 102/2003, ha rianimato l'istituto della sospensione della prescrizione, tutte le volte in cui ad un successivo (talvolta anche oltre i cinque anni) controllo, si è ravvisata un'omessa compilazione del quadro RR. Adempimento al quale sono tenuti i lavoratori autonomi, iscritti alla gestione Separata od alla Gestione Artigiani e Commercianti.

La Suprema Corte, con l'Ordinanza della Sez. Lav, n. 8.419 del 25/03/2021 (con nota di MESITI, in il Lavoro nella giurisprudenza 7/2021, p. 712), ha affermato che costituisce doloso occultamento del debito contributivo verso l'ente previdenziale, ai fini dell'applicabilità dell'art. 2941, n. 8, c.c., la condotta del professionista che ometta di compilare la dichiarazione dei redditi nella parte relativa ai proventi della propria attività, utile al calcolo dei contributi per la gestione separata (mancata indicazione dei contributi previdenziali nel quadro "RR" della dichiarazione dei redditi).

Un principio, questo, recepito e replicato con assiduità anche dalle Corti di merito (ex multis Corte d'Appello di Milano, nelle sentenze depositate il 21, 22 e 26/07/2021) - con particolare

riferimento al lavoro autonomo che impone il versamento della contribuzione alla Gestione Separata, previa compilazione del quadro RR – che si pone in contrasto con altro Ordinanza emanata dalla stessa Cass. Civ. Sez. Lav, n. 7.254 del 15/03/2021, in medesima composizione, o con provvedimenti di poco precedenti (ex multis, Cass. Civ. Sez. Lav. Ord. n. 5.413 del 27/02/2020). In essa vengono esaminate e risolte due questioni: (1) "In materia previdenziale, la prescrizione dei contributi dovuti alla gestione separata decorre dal momento in cui scadono i termini per il pagamento dei predetti contributi e non dalla data di presentazione della dichiarazione dei redditi ad opera del titolare della posizione assicurativa, in quanto la dichiarazione in questione, quale esternazione di scienza, non costituisce presupposto del credito contributivo" (Cass. n. 27.950 del 2018; sez. 6 n. 19403 del 2019; sez. 6 n. 13049 del 2020); (2) "l'operatività della causa di sospensione della prescrizione, di cui all'art. 2941 c.c., n. 8, "ricorre quando sia posta in essere dal debitore una condotta tale da comportare per il creditore una vera e propria impossibilità di agire, e non una mera difficoltà di accertamento del credito" (v. sul punto Cass. n. 19640 del 2018; n. 21567 del 2014), ha ritenuto, in riferimento al caso di specie, che "la mancata denuncia del reddito non equivalga nè ad un doloso e preordinato occultamento del debito contributivo da corrispondere all'Inps; nè che essa configuri impedimento assoluto, non scongiurabile con i normali controlli che l'Istituto può invece sempre attivare e sollecitare anche rivolgendosi all'Agenzia delle Entrate".

CONCLUSIONI

L'evidente contrasto giurisprudenziale, acuito dal nuovo approccio dell'Istituto Previdenziale, merita – secondo autorevole dottrina – un intervento chiarificatore e possibilmente immediato della Suprema Corte, a Sezioni Unite, che, come si auspica, prenda spunto dall'intramontabile insegnamento offerto da una remota, ma mai tramontata insegnamento (come quello della citata Cass. Civ. n. 1.044/1963).

Gli strumenti di controllo a disposizione dell'INPS, che può vantare una verifica immediata col Registro delle Imprese (lo conferma la circolare INPS n. 39 del 24/02/2004) e con l'Agenzia delle Entrate, non può giustificare un ritardo nelle verifiche che ecceda i termini di prescrizione. A maggior ragione, dopo che l'assicurato abbia, in ipotesi, chiesto la liquidazione della prestazione e magari (in via provvisoria, o definitiva) goda già dell'erogazione della pensione.

Ammettendo, per un istante e per assurdo, che il comportamento doloso del contribuente possa aver rallentato l'accertamento, nel 2021, risulta anacronistica l'invocazione dell'istituto della sospensione della prescrizione e, nei casi in cui ricorre l'eventualità, la presentazione della domanda di pensionamento deve intendersi il dies a quo, per il computo della prescrizione, anche nell'ipotesi di omessa compilazione del quadro RR, o al limite, quello della liquidazione della prestazione. Fatta in un momento successivo, rappresenterebbe una "colpevole inerzia del creditore".

*a cura dell'Avv. Andrea Migliavacca Patrocinante in Cassazione - Tributarista


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