Penale

Alternanza scuola-lavoro, modelli organizzativi contro i rischi dell’attività

Possono rappresentare uno strumento di tutela per istituti privati e paritari

di Sandro Guerra

I modelli di organizzazione e gestione previsti dal Dlgs 231/2001 possono rappresentare un’opportunità di tutela dai rischi relativi alla salute e alla sicurezza sul lavoro anche per le scuole paritarie private e le istituzioni scolastiche non statali nell’ambito dei percorsi di alternanza scuola-lavoro, durante i quali gli studenti sono a contatto diretto con il mondo del lavoro e con gli inevitabili pericoli che ciò comporta. Il Dlgs 231/2011 non si applica alla scuola pubblica ma quest’esclusione non riguarda le scuole paritarie private e le istituzioni scolastiche non statali.

L’alternanza scuola-lavoro è una modalità di realizzazione del percorso formativo prevista dall’articolo 4 della legge 28 marzo 2003, n. 53, pensata per assicurare agli studenti che abbiano compiuto il quindicesimo anno di età la possibilità di realizzare i corsi del secondo ciclo (licei e formazione professionale) in collaborazione con le imprese, con le loro associazioni rappresentative e con le camere di commercio, l’acquisizione di competenze ulteriori, di taglio pratico, rispetto a quelle di base (tendenzialmente teoriche), spendibili nel mercato del lavoro.

La cosiddetta riforma della “buona scuola” (legge 13 luglio 2015, n. 107), l’ha resa obbligatoria – prevedendone l’inserimento nei piani triennali dell’offerta formativa – negli istituti tecnici e professionali, per una durata complessiva, nel secondo biennio e nell’ultimo anno del percorso di studi, di almeno 400 ore e, nei licei, per una durata complessiva di almeno 200 ore nel triennio.

Con la legge di bilancio per il 2019 (legge 30 dicembre 2018, n. 145) i percorsi di alternanza scuola-lavoro sono diventati “percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento” (Pcto) dei quali si è prevista l’attuazione per una durata non inferiore a 210 ore nel triennio terminale del percorso di studi degli istituti professionali, a 150 ore nel secondo biennio e nell’ultimo anno e a 90 ore nel secondo biennio e nel quinto anno dei licei.

Per un non irrilevante periodo, quindi, gli studenti sono a contatto diretto con il mondo del lavoro e con gli inevitabili rischi che ciò comporta, “simulando” una prestazione lavorativa che differisce da quella ordinaria per la sola causa formativa del rapporto.

Secondo l’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro (Gestione del sistema sicurezza e cultura della prevenzione nella scuola, 2013), ai fini della salute e sicurezza sul lavoro gli allievi in stage sono considerati lavoratori a tutti gli effetti e, quindi, ricadono negli obblighi di attuazione del Dlgs 81/2008 (Testo unico salute e sicurezza sul lavoro), a quello, in capo al datore di lavoro (articolo 28), di valutare i rischi, considerando anche quelli connessi alle differenze di genere, all’età, alla provenienza da altri paesi e quelli connessi alla specifica tipologia contrattuale attraverso cui viene resa la prestazione di lavoro.

L’articolo 30 del Dlgs 81/2008 prevede, per questa specifica materia, i contenuti del modello di organizzazione e gestione idoneo ad avere efficacia esimente della responsabilità.

Per la scuola pubblica non si pone il problema dell’applicabilità del Dlgs 231/2001: l’articolo 1, comma 3, infatti, esclude l’applicazione delle relative disposizioni allo Stato, agli enti pubblici territoriali, agli altri enti pubblici non economici nonché agli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, e l’articolo 1, comma 2, del Dlgs 30 marzo 2001, n. 165 (Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), ricomprende gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni educative tra le amministrazioni pubbliche.

Più scivoloso, invece, è il terreno delle scuole paritarie private, istituzioni scolastiche non statali, comprese quelle degli enti locali, che svolgono un pubblico servizio – essendo pertanto inserite nel sistema nazionale di istruzione – e che, a partire dalla scuola per l’infanzia, corrispondono agli ordinamenti generali dell’istruzione, sono coerenti con la domanda formativa delle famiglie e caratterizzate dalla presenza dei requisiti di qualità ed efficacia previsti dalla legge (articolo 1, commi 2 e 3, legge10 marzo 2000, n. 62).

In questo caso è evidente che il Dlgs 231/2001 trovi applicazione e che, pertanto, gli studenti impegnati nei percorsi per le competenze trasversali e per l’orientamento debbano essere considerati protagonisti dei modelli, al pari dei soggetti apicali e di quelli sottoposti ai loro poteri di direzione e vigilanza, svolgendo – di fatto – una prestazione lavorativa.

Non solo in relazione ai rischi in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ma anche per quelli di commissione eventuali reati contro la pubblica amministrazione. Gli insegnanti delle scuole pubbliche sono pubblici ufficiali (Cassazione penale, sezione quinta, 21 novembre 2019, n. 47241), e ciò in quanto l’esercizio delle loro funzioni non è circoscritto alla tenuta delle lezioni, ma si estende alle connesse attività preparatorie, contestuali e successive, ivi compresi gli incontri con i genitori degli allievi (Cassazione penale, sezione quinta, 3 aprile 2014, n. 15367). Il riconoscimento della parità con le scuole statali comporta pertanto che tali principi debbano essere estesi necessariamente estesi agli insegnanti delle scuole paritarie.

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