Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 27 febbraio e il 3 marzo 2023

di Francesco Lauri

Le Corti d'Appello, nel corso di questa settimana, si occupano dell'operatività della clausola di manleva nell'appalto, dell'obbligo per i genitori di mantenere i figli, del controllo a distanza dei lavoratori, dell'usucapione decennale e, infine, del disconoscimento di una scrittura privata da parte della persona giuridica.
I Tribunali da parte loro affrontano le materie delle spese per le riparazioni urgenti dell'immobile locato, della prescrizione nella diffamazione, del rispetto delle distanze legali tra costruzioni, dei danni riportati dall'amministrato (nell'amministrazione di sostegno) e, infine, del risarcimento del danno patrimoniale.

APPALTI
Contratto di appalto - Clausola di manleva – Effetti .
(Cc, articoli 1372 e 2051)
La Corte d'Appello di Cagliari si sofferma in sentenza (tra l'altro) riguardo agli effetti che spiega una clausola di manleva inserita in un contratto di (sub)appalto.
Osserva a tal proposito che la clausola di un contratto di appalto, nella quale si preveda che tutti i danni che i terzi dovessero subire dall'esecuzione delle opere siano a totale ed esclusivo carico dell'appaltatore, rimanendone indenne il committente, non può essere da quest'ultimo invocata quale ragione di esenzione dalla propria responsabilità risarcitoria nei confronti del terzo danneggiato per effetto di quei lavori.
Ciò in quanto tale clausola, operando esclusivamente nei rapporti fra i contraenti, alla stregua dei principi generali sull'efficacia del contratto fissati dall'art 1372 c.c., non può vincolare il terzo a dirigere verso l'una, anziché verso l'altra parte, la pretesa nascente dal fatto illecito occasionato dall'esecuzione del contratto.
Con la precisazione che, sempre in tema di appalto, la consegna del bene all'appaltatore non fa venir meno il dovere di custodia e di vigilanza gravante sul committente, sicché questi resta responsabile, alla stregua dell'art. 2051 c.c., dei danni cagionati ai terzi dall'esecuzione dell'opera salvo che provi il caso fortuito, quale limite alla detta responsabilità oggettiva, che può coincidere non automaticamente con l'inadempimento degli obblighi contrattualmente assunti nei confronti del committente bensì con una condotta dell'appaltatore imprevedibile e inevitabile nonostante il costante e adeguato controllo (esercitato - se del caso - per il tramite di un direttore dei lavori).
E dunque, di regola, dei danni cagionati ai terzi dall'esecuzione di un appalto risponde il solo appaltatore; tuttavia, qualora il committente si sia ingerito nell'attività con specifiche direttive che abbiano limitato l'autonomia dell'appaltatore risponde in concorso anch'esso. Se poi le direttive e le ingerenze del committente siano tali da ridurre l'appaltatore a nudus minister, con prova a carico del danneggiato, solamente il primo risponderà dei danni ed in ogni caso il committente risponde per culpa in eligendo laddove si sia avvalso di una impresa palesemente inadeguata.
Non solo. Le ragioni per le quali il soggetto che affida in appalto dei lavori deve essere chiamato a rispondere si collegano anche al ricorrere di un appalto endoaziendale, vale a dire di affidamento dei lavori all'interno dell'azienda, ovvero dell'unità produttiva.
(Appello Cagliari, 28 febbraio 2023 n. 80)

FAMIGLIA E FILIAZIONE
Filiazione - Obbligo di mantenimento dei figli – Perdita del lavoro - Irrilevanza.
(Costituzione, articolo 30)
Rilevare la Corte d'Appello di Messina che quello di mantenere i figli minori (e maggiorenni se non ancora economicamente indipendenti) è un dovere che trova fondamento nell'art. 30 Cost., ove viene sancito che è dovere e diritto dei genitori mantenere, istruire ed educare i figli, tutti, che siano nati all'interno o fuori dal matrimonio.
E così, anche il genitore disoccupato è obbligato a mantenere i figli. Invero, la perdita del lavoro non costituisce oggettiva impossibilità di fare fronte alle obbligazioni economiche operando il principio di diritto secondo il quale il genitore, separato o divorziato, deve versare l'assegno di mantenimento per i figli anche se è disoccupato, sussistendo il dovere dell'obbligato di attivarsi e impegnarsi ulteriormente nella ricerca di una occupazione, per essere in condizione di fare fronte agli impegni intrinseci alla scelta della genitorialità.
Pertanto, anche in assenza di una stabile occupazione, i genitori dotati di capacità lavorativa sono obbligati a provvedere al mantenimento della prole, il che impone il riconoscimento dell'obbligo di mantenimento dei figli anche a carico del genitore disoccupato, il quale deve provvedere adoperando la sua capacità lavorativa generica.
Pertanto, il genitore disoccupato, ma dotato di capacità lavorativa e di potenzialità reddituale, deve contribuire al mantenimento del figlio minore o maggiorenne ma non indipendente economicamente, sia pure in misura minima, e deve, dunque, attivarsi per reperire un'attività lavorativa che gli consenta di adempiere all'obbligazione nei confronti della prole.
Quanto ai figli maggiorenni si aggiunga che il matrimonio o, comunque, la formazione di un autonomo nucleo familiare escludono l'esistenza dell'obbligo di mantenimento da parte dei genitori: invero, il matrimonio, come la convivenza, sono espressione di una raggiunta maturità affettiva e personale, implicando di regola che nessun obbligo di mantenimento possa sopravvivere. Dunque, ormai è acquisita la funzione educativa del mantenimento, in una con il principio di autoresponsabilità, anche tenendo conto, di contro, dei doveri gravanti sui figli adulti.
(Appello Messina, 28 febbraio 2023 n. 161)

LAVORO E FORMAZIONE
Impianti audiovisivi - Controllo a distanza - Attività dei lavoratori.
(Legge 20 maggio 1970, articolo 4; Dlgs 14 settembre 2015 n. 151, articolo 23)
La sezione lavoro della Corte d'Appello di Catanzaro si sofferma in sentenza sulla corretta esegesi dell'articolo 4 della legge 300/1970 (Statuto dei lavoratori).
Occorre in merito distinguere tra i controlli a difesa del patrimonio aziendale che riguardano tutti i dipendenti (o gruppi di dipendenti) nello svolgimento della loro prestazione di lavoro che li pone a contatto con tale patrimonio, controlli che dovranno necessariamente essere realizzati nel rispetto delle previsioni dell'art. 4 novellato in tutti i suoi aspetti, e "controlli difensivi" in senso stretto, diretti ad accertare specificamente condotte illecite ascrivibili - in base a concreti indizi - a singoli dipendenti, anche se questo si verifica durante la prestazione di lavoro.
Si sottolinea in sentenza come, in tema di sistemi difensivi, siano consentiti (anche dopo la modifica dell'art. 4 cit. ad opera dell'art. 23 D.Lgs. n. 151/2015) i controlli anche tecnologici posti in essere dal datore di lavoro finalizzati alla tutela di beni estranei al rapporto di lavoro o a evitare comportamenti illeciti, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, purché sia assicurato un corretto bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali, correlate alla libertà di iniziativa economica, rispetto alle imprescindibili tutele della dignità e della riservatezza del lavoratore, sempre che il controllo riguardi dati acquisiti successivamente all'insorgere del sospetto.
Ove non ricorrano tali condizioni la verifica della utilizzabilità a fini disciplinari dei dati raccolti dal datore di lavoro andrà condotta alla stregua dell'art. 4 Statuto dei lavoratori, in particolare dei suoi commi 2 e 3.
In sostanza, in presenza di un fondato sospetto circa la commissione di un illecito, i controlli tecnologici finalizzati a evitare comportamenti illeciti sono autorizzati a prescindere dal rispetto delle procedure previste dai commi 2 e 3 dell'art. 4 cit., nuova formulazione – e dunque le risultanze relative sono pienamente utilizzabili – purché: 1) sia assicurato il bilanciamento tra le esigenze di protezione di interessi e beni aziendali e il rispetto della dignità e riservatezza del lavoratore; 2) il controllo riguardi dati acquisiti dopo l'insorgere del sospetto.
(Appello Catanzaro, sezione Lavoro, 1 marzo 2023 n. 329)

USUCAPIONE
Usucapione decennale – Presupposti – Requisiti.
(Cc, articoli 1147 e 1159)
La Corte d'Appello di Napoli si pronuncia in tema di usucapione abbreviata (art. 1159 c.c.) che si perfeziona, in assenza di cause estintive o interruttive, con il decorso di dieci anni, essendo necessario che sussista l'elemento soggettivo, costituito dalla buona fede dell'acquirente, e l'elemento oggettivo, ossia l'esistenza di un titolo idoneo a trasferire il diritto di proprietà o di altro diritto reale di godimento, intendendosi per tale quello che in astratto, se proveniente dal titolare, sarebbe sufficiente al trasferimento e al conseguente acquisto immediato del diritto, e che, in concreto, nel suo specifico contenuto, comporti un'esatta corrispondenza tra il diritto immobiliare del quale si sostiene l'acquisto per il possesso decennale esercitato e quello acquistato in buona fede "a non domino".
In tale contesto interpretativo si pone la sentenza della Corte partenopea che sottolinea come l'usucapione decennale presupponga l'acquisto in buona fede di un immobile a non domino e l'identità tra zona alienata e zona posseduta, nonché la trascrizione del titolo il quale deve specificamente riguardare l'immobile che si è inteso con esso trasferire e del quale si sostiene l'acquisto per decorso del decennio.
Il titolo stesso è elemento autonomo ed essenziale, nel senso che deve indicare esattamente l'immobile e il diritto immobiliare trasmesso, poiché la perfetta e assoluta identità fra l'immobile posseduto e quello acquistato in buona fede a non domino va accertata in base a una distinta valutazione del titolo d'acquisto e del possesso, rimanendo preclusa la possibilità di integrare le risultanze dell'uno con quelle dell'altro.
Presupposto indispensabile ai fini dell'operatività dell'istituto in esame, pertanto, è la perfetta corrispondenza tra il bene posseduto e quello oggetto del titolo.
Né può sottacersi l'ulteriore principio, sempre in tema di usucapione decennale di beni immobili, in virtù del quale la buona fede di chi ne acquista la proprietà in forza di titolo astrattamente idoneo è esclusa soltanto quando sia in concreto accertato che l'ignoranza di ledere l'altrui diritto dipenda da colpa grave (art. 1147 c.c.).
(Appello Napoli, sezione II, 1 marzo 2023 n. 915)

SOCIETA'
Persona giuridica - Disconoscimento di scrittura privata – Validità.
(Cpc, articoli 214 e 215)
Precisa in sentenza la Corte d'Appello di Perugia come il disconoscimento della scrittura privata da parte di una persona giuridica, perché sia validamente effettuato e sia idoneo a onerare l'avversario (che insista ad avvalersi dello scritto) di richiederne la verificazione, necessita di un'articolata dichiarazione di diversità della firma risultante sul documento rispetto alle sottoscrizioni di tutti gli organi rappresentativi, specificamente identificati o identificabili, atteso che, nel caso della persona giuridica, assistita da una pluralità di organi con il potere di firmare un determinato atto, sussistono più sottoscrizioni qualificabili come proprie dell'ente.
Con la precisazione che il legale rappresentante di una società può contestare l'autenticità della sottoscrizione disconoscendola ex art. 214 c.p.c. anche nel caso in cui la sottoscrizione sia attribuita ad altra persona fisica, già investita della rappresentanza legale della società.
Il procedimento di verificazione di cui agli artt. 214 e 215 c.p.c. ha la funzione di accertare l'autenticità della scrittura privata o della sottoscrizione disconosciuta, onde consentire alla parte che vi abbia interesse di avvalersene nel giudizio in corso, per cui il Giudice di merito - cui spetta il compito di stabilire quali scritture debbano servire da comparazione - non è vincolato da alcuna graduatoria tra le fonti di accertamento dell'autenticità, ben potendo utilizzare, in virtù del principio generale dell'acquisizione della prova, anche le scritture prodotte dalla parte diversa da quella che ha proposto l'istanza di verificazione.
Di conseguenza, l'eventuale inidoneità della scrittura di comparazione a fornire la prova dell'autenticità della scrittura o della sottoscrizione disconosciuta non determina l'inammissibilità dell'istanza di verificazione, riflettendosi semmai sul suo esito.
E allora, l'istanza di verificazione è ammissibile anche quando non accompagnata da una formale e contestuale indicazione delle scritture di comparazione da utilizzare, laddove, al momento della proposizione dell'istanza, tali scritture siano state già ritualmente prodotte e acquisite agli atti del giudizio, divenendo perciò utilizzabili, secondo le prescrizioni del Giudice,
(Appello Perugia, 1 marzo 2023 n. 149)  

LOCAZIONE
Contratto di locazione – Obblighi delle parti – Riparazioni urgenti.

(Cc, articoli 1575 e 1577)
Il Tribunale di Brescia precisa come spetti (art. 1575 c.c.) al locatore, tra l'altro, mantenere il bene locato in uno stato idoneo all'uso pattuito e, salvo le parti abbiano diversamente pattuito, effettuare tutte le riparazioni necessarie affinché il bene mantenga la sua naturale destinazione. Restano invece normalmente a carico del conduttore le opere necessarie a rimuovere il deterioramento prodotto dall'utilizzo del bene.
Quando il bene locato necessita di riparazioni che non sono a carico del conduttore, questi deve tempestivamente darne avviso al locatore.
Tuttavia, se si tratta di riparazioni urgenti, il conduttore può eseguirle direttamente, salvo rimborso, e purché ne dia contemporaneamente avviso al locatore. Si tratta di riparazioni che sarebbero comunque a carico del locatore, ma che il conduttore può effettuare personalmente se il primo non può compierle con la dovuta tempestività o se, nell'inerzia del locatore, esse si rendono necessarie per rimuovere guasti che impediscono il godimento della cosa.
In particolare, affinché l'intervento sia legittimo il conduttore ha l'onere di avvisare il locatore dell'inizio dei lavori. Secondo una prima opzione interpretativa il mancato avviso non comporta la perdita del diritto a ottenere il rimborso poiché l'avviso non costituirebbe preventiva autorizzazione all'esecuzione delle riparazioni. Tuttavia altro orientamento – maggiormente condiviso in dottrina e giurisprudenza – sostiene che la mancata comunicazione al locatore precluda il diritto ad ottenere il rimborso delle spese sostenute e documentate e che, in ogni caso, il diritto al rimborso non sia compensabile legalmente con il debito per il pagamento del canone.
Quindi, conclude il suo argomentare sul punto l'adito Tribunale lombardo, ai sensi e per gli effetti dell'art. 1577 c.c., il conduttore ha la facoltà e non l'obbligo di intervenire sull'immobile, perché tale obbligo rimane comunque a carico del locatore tempestivamente messo in mora e avvisato della necessità di riparazioni urgenti. Ma se le circostanze rendono necessario od opportuno un intervento, il conduttore, usando l'ordinaria diligenza, può certamente attivarsi affinché i danni conseguenti siano quanto meno limitati.
(Tribunale di Brescia, sez. loc., 28 febbraio 2023 n. 462)

DIFFAMAZIONE
Risarcimento danni - Responsabilità extracontrattuale -Diffamazione - Prescrizione.

(Cc, articoli 2059, 2935 e 2947)
In tema di responsabilità extracontrattuale – afferma in sentenza il Tribunale di Gela adito in materia di diffamazione commessa a mezzo stampa e precisamente in un romanzo (fattispecie che si ritiene in sentenza poter integrare gli estremi del reato di diffamazione a mezzo stampa) - trova applicazione l'ordinario termine di prescrizione quinquennale.
Al contempo l'art. 2947, III, c.c. prevede un allungamento del termine di prescrizione laddove il fatto illecito (fonte del danno e, conseguentemente, del diritto al risarcimento) integri al contempo una fattispecie di reato per il quale siano previsti termini di prescrizione più lunghi rispetto a quello quinquennale.
In particolare, tale articolo, coordinato con gli artt. 2059 e 2935 c.c., deve essere interpretato nel senso che il termine di prescrizione del diritto al risarcimento del danno morale da diffamazione inizia a decorrere non dal momento in cui l'agente compie il fatto illecito, ma dal momento in cui la parte lesa ne viene a conoscenza.
Coerentemente con tale principio, pertanto, il dies a quo di decorrenza della prescrizione deve essere ricollegato al momento in cui il diritto al risarcimento può essere esercitato, ovvero al momento in cui si è verificato il danno.
Quanto al concetto di "verificarsi del danno", si precisa che, affinché il danno acquisti rilevanza giuridica, è necessaria una sua manifestazione, ovvero che esso sia esteriorizzato, conoscibile o percepibile, non bastando, ai fini del diritto al risarcimento e, dunque, della decorrenza della prescrizione, una sua mera realizzazione oggettiva.
Con riferimento poi al danno non patrimoniale, la consapevolezza, da parte della vittima, del fatto lesivo, ne costituisce il necessario presupposto, posto che la sofferenza morale soggettiva derivante dalla lesione dell'onore e della reputazione in tanto può sussistere in quanto la persona interessata sia venuta a conoscenza dell'illecito, non potendo altrimenti sussistere il diritto al risarcimento del danno e, conseguentemente, la decorrenza della prescrizione.
(Tribunale di Gela, 28 febbraio 2023 n. 124)

EDILIZIA E URBANISTICA
Distanze legali – Luci e vedute – Disciplina.

(Cc, articoli 905 e 907)
Osserva in sentenza il Tribunale di Benevento che l'azione diretta al rispetto delle distanze legali è modellata sullo schema dell'actio negatoria servitutis, essendo rivolta non già all'accertamento del diritto di proprietà dell'attore, bensì a respingere l'imposizione di limitazioni a carico della proprietà, suscettibili di dar luogo a servitù.
Essa, pertanto, non esige la rigorosa dimostrazione della proprietà dell'immobile a cui favore l'azione viene esperita, essendo sufficiente che l'attore dimostri con qualsiasi mezzo, incluse le presunzioni, di possedere il fondo in base a un valido titolo di acquisto. Al convenuto incombe, invece, l'onere di provare l'esistenza di un diritto a lui spettante, in virtù di un rapporto di natura obbligatoria o reale, di compiere l'attività lamentata come lesiva dall'attore.
In materia di luci e vedute, poi, la titolarità del diritto reale di veduta costituisce una condizione dell'azione al fine di esigere l'osservanza, a opera del vicino, delle distanze di cui all'art. 907 c.c., sicché la parte convenuta per l'eliminazione di vedute poste a distanza inferiore a quella prescritta dall'art. 905 c.c., ha l'onere, ove affermi il proprio diritto a mantenerle, di provare l'avvenuto acquisto, a titolo negoziale od originario, della relativa servitù, non rilevando la mera preesistenza, di fatto, di tali aperture, il cui possesso, di risalenza anche ultraventennale, non ne implica necessariamente l'appartenenza originaria a detto convenuto.
Orbene, costituendo la titolarità del diritto reale di veduta una condizione dell'azione volta a ottenere l'osservanza da parte del vicino delle distanze di cui all'art. 907 c.c., essa va accertata anche d'ufficio dal Giudice, salvo che da parte del convenuto non vi sia stata ammissione, esplicita o implicita, purché inequivoca, della relativa sussistenza.
Il tutto con la precisazione che il diritto di veduta intende assicurare, attraverso l'esercizio della inspectio e della prospectio, la piena e completa visione del fondo servente in ogni direzione, sia in orizzontale, che in verticale, che, eventualmente, in maniera obliqua, imponendo, pertanto, che la distanza della nuova costruzione dalla preesistente veduta sia misurata in maniera radiale, non rilevando in senso contrario che la conformazione fisica dei luoghi impedisca la veduta cd. in appiombo.
(Tribunale di Benevento, 1 marzo 2023 n. 560)

STATUS E CAPACITA'
Amministratore di sostegno – Danni all'amministrato – Responsabilità.

(Cc, articoli 1227 e 1375)
Secondo quanto osserva in sentenza il Tribunale di Bergamo la scelta dell'amministratore di sostegno di lasciare carta bancomat, e relativo PIN, dell'amministrato in custodia alla struttura presso la quale quest'ultimo riceva assistenza continuativa non può ritenersi censurabile e/o sussumibile all'art. 1227 c.c. (in presenza di arbitrari prelievi di somme di denaro).
Invero, premesso che l'art. 1227 c.c. postula una condotta affetta quantomeno da colpa, non è di per sé ricorrente tale elemento psicologico laddove un amministratore di sostegno legittimamente si avvalga di una struttura, per la cura dell'amministrativo, che sia istituzionalmente preposta all'assistenza di persone con fragilità psichiatrica, che ordinariamente organizza una registrazione delle entrate e delle uscite del denaro degli ospiti, nonché la custodia dei loro bancomat.
Quando un soggetto incapace di intendere e di volere, per minore età o per altra causa, subisca un evento di danno, in conseguenza del fatto illecito altrui in concorso causale con il proprio fatto colposo, l'indagine deve essere limitata all'esistenza della causa concorrente alla produzione dell'evento dannoso, prescindendo dall'imputabilità del fatto all'incapace e dalla responsabilità di chi era tenuto a sorvegliarlo (come l'amministratore).
Con la precisazione che la posizione del sorvegliante e degli ulteriori danneggiati diversi dalla cd. vittima primaria può assumere valore ex art. 1227, II, c.c., esclusivamente ove agiscano "iure proprio", a differenza di quanto è nel caso all'oggetto del giudizio del Tribunale di Bergamo.
Peraltro, l'eccezione di aggravamento del danno non è rilevabile d'ufficio, ma è riservata all'iniziativa di parte.
Ai fini della determinazione del danno risarcibile, la valutazione del comportamento del danneggiato volto a limitare le conseguenze dannose dell'altrui inadempimento, ai sensi dell'art. 1227, II, c.c., deve essere effettuata alla stregua dell'art. 1375 c.c., e quindi del principio dell'apprezzabile sacrificio, e comporta che il creditore sia tenuto anche a una condotta attiva o positiva, la quale però non sia gravosa o tale da determinare notevoli rischi o rilevanti sacrifici quale può essere tanto la proposizione di un'azione giudiziale, quanto l'impugnazione di una decisione giudiziale a sé sfavorevole.
(Tribunale di Bergamo, sezione III, 1 marzo 2023 n. 402)

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Risarcimento danni – Danno patrimoniale - Ripartizioni - Differenze - Conseguenze.

(Cc, articolo 1226)
Il danno patrimoniale – come afferma il Tribunale di Roma nella sentenza in esame - è il nocumento arrecato alla ricchezza, al reddito (ricchezza in senso dinamico) o al patrimonio (ricchezza in senso statico) del danneggiato.
Il danno patrimoniale è, tradizionalmente, ripartito in danno emergente e lucro cessante, a seconda che si concretizzi in una riduzione di ricchezza, ovvero in un mancato incremento della stessa, e ulteriormente suddiviso in danno emergente passato, danno emergente futuro, lucro cessante passato e lucro cessante futuro, a seconda che, rispetto al momento della sua liquidazione, esso si traduca in: - una riduzione di ricchezza che lo precede (come le spese mediche sostenute); - una riduzione di ricchezza che lo segue (come le spese mediche che dovranno essere sostenute); - in un mancato incremento di ricchezza che lo precede (come la perdita di redditi dal sinistro alla liquidazione); - o in un mancato incremento di ricchezza che lo segue (come la perdita presumibile di redditi dopo la liquidazione.
Nel danno patrimoniale che ordinariamente si connette al danno biologico rientrano, di regola, le spese mediche sostenute o da sostenersi e la diminuzione di reddito passato o futuro.
In merito alla contrazione reddituale si pone la distinzione tra capacità lavorativa generica e specifica: mentre la prima, intesa quale potenziale attitudine all'attività lavorativa in genere da parte di un soggetto, se compromessa, rientra nel danno biologico, la seconda, definibile come attitudine a svolgere in concreto una data attività, se compromessa, è riconducibile al danno patrimoniale.
Il danno patrimoniale futuro, derivante da lesioni personali, va valutato su base prognostica ed il danneggiato può avvalersi anche di presunzioni semplici, sicché, provata la riduzione della capacità di lavoro specifica, se essa non rientra tra i postumi permanenti di piccola entità, è possibile presumere, salvo prova contraria, che anche la capacità di guadagno risulti ridotta nella sua proiezione futura - non necessariamente in modo proporzionale - qualora la vittima già svolga un'attività lavorativa. Tale presunzione, peraltro, copre solo l'an dell'esistenza del danno, mentre, ai fini della sua quantificazione, è onere del danneggiato dimostrare la contrazione dei suoi redditi dopo il sinistro, non potendo il Giudice, in mancanza, esercitare il potere di cui all'art. 1226 c.c..
(Tribunale di Roma, sezione XIII, 1 marzo 2023 n. 3372)

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