Casi pratici

Rapporti tra associazione mafiosa e autoriciclaggio

Il piano di indagine

di Serena Gentile

la QUESTIONE
Qual è la ratio dell'introduzione del reato di autoriciclaggio? Quando devono ritenersi sussistenti gli elementi costitutivi del delitto in esame? Vi sono problematiche di natura intertemporale? Che tipo di rapporto intercorre tra l'autoriciclaggio e il delitto di associazione di stampo mafioso?


Le riflessioni che seguono mirano alla disamina della fattispecie incriminatrice di recente introduzione disciplinata dall'art. 648 ter.1 c.p.., il cui approfondimento tecnico non può prescindere da brevi cenni sulle motivazioni di politica criminale sottese alla novella normativa. L'aspirazione è quella di fornire un quadro dettagliato degli aspetti sostanziali e procedurali dell'autoriciclaggio, anche mediante l'ausilio della giurisprudenza formatasi in materia di reati contro il patrimonio mediante frode, per poi giungere a conclusioni di ordine pratico.


"Ratio" della norma incriminatrice
Il 1° gennaio 2015 è entrata in vigore la legge 15 dicembre 2014, n. 186, intitolata «Disposizioni in materia di rientro di capitali dall'estero e di autoriciclaggio», pubblicata in Gazzetta Ufficiale 17 dicembre 2014, n. 292. Siffatto provvedimento normativo reca disposizioni volte all'emersione e al rientro di capitali detenuti all'estero, nonché alla soppressione di condotte illecite realizzabili nell'ambito della circolazione di beni e servizi.
Dal punto di vista fiscale, la legge in parola, ha introdotto nell'ordinamento la disciplina della collaborazione volontaria (cd. voluntary disclosure): trattasi, in estrema sintesi, della possibilità concessa a chi abbia commesso violazioni di natura tributaria (a livello statale e/o internazionale) di regolarizzare la propria posizione mediante l'autodenuncia.
Tuttavia, la portata realmente innovativa della legge 15 dicembre 2014, n. 186 è contenuta nell'art. 3 del testo normativo, che inserisce nell'ordinamento penalistico italiano, attraverso l'aggiunta del nuovo art. 648 ter.1 nel Libro II, Titolo XIII, Capo II del codice penale, il reato di autoriciclaggio. La norma di nuovo conio – che va ad affiancare gli artt. 648, 648 bis, 648 ter, c.p., nell'ambito dei quali sono contemplate fattispecie "sorelle" a quella in disamina – recita in tal senso: «Si applica la pena della reclusione da due a otto anni e della multa da euro 5.000 a euro 25.000 a chiunque, avendo commesso o concorso a commettere un delitto non colposo, impiega, sostituisce, trasferisce, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative, il denaro, i beni o le altre utilità provenienti dalla commissione di tale delitto, in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa.
Si applica la pena della reclusione da uno a quattro anni e della multa da euro 2.500 a euro 12.500 se il denaro, i beni o le altre utilità provengono dalla commissione di un delitto non colposo punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni.
Si applicano comunque le pene previste dal primo comma se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da un delitto commesso con le condizioni o le finalità di cui all'art.7 del D.L. 13 maggio 1991, n. 152, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203, e successive modificazioni.
Fuori dei casi di cui ai commi precedenti, non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale.
La pena è aumentata quando i fatti sono commessi nell'esercizio di un'attività bancaria o finanziaria o di altra attività professionale.
La pena è diminuita fino alla metà per chi si sia efficacemente adoperato per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l'individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.
Si applica l'ultimo comma dell'art. 648».
Sebbene possa sembrare sorprendente, sino a poco tempo fa la condotta del cd. "riciclatore di se stesso" era lasciata impunita, nonostante le statistiche abbiano sempre denunciato una più alta frequenza e probabilità di azioni autonome di riciclo dei proventi di reato rispetto alla minor incidenza, in termini quantitativi, del ricorso all'ausilio di terzi soggetti.
Tale impostazione ha incontrato il malcontento internazionale ed europeo: tanto organismi sovra-statali attivi nella lotta al riciclaggio (f.a.f.t., g.a.f.i., o.c.s.e.), quanto organi istituzionali (Commissione speciale sulla criminalità organizzata, Parlamento europeo) hanno sollecitato l'Italia a colmare la lacuna delittuosa, gravida di non pochi problemi relazionali e applicativi.
L'esigenza di armonizzazione legislativa, infatti, non è stata dettata da mere motivazione di carattere politico-criminale fini a se stesse, bensì affonda la sua primigenia ratio nel consentire ai giudici italiani l'accoglimento di richieste di estradizione avanzate da parte di paesi esteri, ove è penalmente rilevante la condotta di riciclaggio posta in essere dell'autore del reato presupposto.
Per molti anni le autorità italiane, in relazione a questa fattispecie ibrida, hanno dovuto opporre, ope legis, il proprio diniego alle istanze estradittive straniere, difettando il requisito della doppia incriminazione (in tal senso, ex multis Cass. pen., Sez. VI, 5 giugno 2008, n. 31812). Nell'ambito di tale ottica, anche le istituzioni italiane hanno sospinto la tipizzazione della figura delittuosa dell'autoriciclaggio, non più da intendersi, sotto il profilo ontologico, quale segmento criminoso finale del reato presupposto e quindi come post-factum non punibile.


L'autoriciclaggio in termini comparatistici
In ragione delle suddette considerazioni, si ritiene utile illustrare l'atteggiarsi di siffatta condotta antigiuridica all'interno di alcuni ordinamenti.
Il primato nel perseguimento dell'autoriciclaggio appartiene ai paesi di common law: tra questi, a esempio, gli Stati Uniti e l'Australia vantano un ordito normativo particolarmente ferreo in materia di protezione della legalità del mercato e della circolazione di beni e servizi. In particolare, in queste regioni del mondo vengono perseguite penalmente tutte le attività volte a riutilizzare i proventi di azioni criminali, senza che vi siano clausole di riserva di sorta come quella contemplata per il reato di riciclaggio di cui all'art. 648 bis del codice penale italiano («Fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione a essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'art.648 c.p. »).
In Italia, infatti, si è assistito al fenomeno del cd. "privilegio dell'autoriciclaggio" (Troyer, S. Cavallini, 1 e ss.), dovuto, in buona parte, all'obsoleto e ormai superato orientamento dottrinario e giurisprudenziale che associava la punibilità del reimpiego di denaro sporco da parte dell'autore del delitto presupposto alla violazione del principio ne bis in idem.
La riutilizzazione dei proventi di reato veniva, cioè, identificata come un post-factum non punibile, quale parte terminativa e necessariamente postuma rispetto alla commissione di pregressi reati. In ciò si racchiude il significato della clausola di riserva contenuta nell'art. 648 bis, che per decenni ha espressamente attribuito rilevanza penale in via esclusiva al riciclaggio commesso da soggetti terzi ed estranei alla realizzazione dei delitti al medesimo prodromici.
Anche alcuni paesi della tradizione di civil law presentano la medesima impostazione di politica criminale di stampo statunitense: la Spagna e il Portogallo, secondo modalità quasi identiche, perseguono tanto i riciclatori quanto gli autoriciclatori, contrariamente a quanto previsto per i reati di ricettazione e favoreggiamento (in relazione ai quali per la punibilità è indispensabile che l'autore della condotta sia extraneus all'azione illecita presupposta).
Differente è la situazione francese e svizzera, ove il recente riconoscimento penale dell'autoriciclaggio è da attribuire al merito della giurisprudenza, la quale, mediante la propria opera ermeneutica, ha esteso la portata applicativa delle norme incriminatrici nazionali, disciplinanti solo fattispecie di reimpiego e riciclo di utilità criminali per mano di terzi.
Il sistema tedesco, invece, da sempre non contempla differenze specifiche tra condotte riciclatorie commesse da terzi oppure poste in essere dall'autore del reato presupposto.
Da notare è, piuttosto, l'esplicita previsione penalistica del reato di autoriciclaggio contenuta nell'ordinamento dello Stato Città del Vaticano, ove siffatta condotta antigiuridica è punita con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro mille a euro quindicimila.
In definitiva, ogni paese ha adottato delle proprie reazioni legislative, per alcuni ancora in fieri, dinanzi a un fenomeno economico-criminale in continuo fermento, tanto in virtù della tradizione giuridica nazionale, quanto in ragione delle esigenze politico-sociali emergenti.
La struttura ibrida del reato di cui all'art. 648 ter.1 c.p.
Superate le premesse introduttive, è d'uopo procedere con la dettagliata disamina degli elementi specializzanti la fattispecie delittuosa oggetto del presente contributo.
A tal fine, stante l'esiguo arco temporale di operatività della nuova norma incriminatrice, per chiarire taluni concetti sarà necessario l'ausilio di principi dettati dalla giurisprudenza di legittimità con riguardo alle fattispecie "sorelle", disciplinate agli artt. 648, 648 bis e 648 ter c.p., certamente mutuabili per il neo-reato che si compone, in maniera mista, di tratti peculiari delle medesime.
Come innanzi accennato, le ragioni della mancata punibilità per anni dell'autoriciclaggio debbono ricercarsi nel fatto che l'occultamento e l'utilizzazione del denaro, beni o altre utilità di provenienza illecita rappresentavano, per la dottrina dell'epoca passata, un normale sviluppo della condotta precedente, attraverso la quale il soggetto agente ne consegue i vantaggi o ne mette al sicuro i risultati (Cerqua, 57). In tale prospettiva avrebbe trovato applicazione il principio del ne bis in idem sostanziale che, sulla base della logica sottesa all'idea di consunzione, non consente di punire il reo due volte per lo stesso fatto.
Tuttavia, l'espansione del fenomeno criminale ha consentito al legislatore di procedere con un deciso cambio di rotta. Il reimpiego delle disponibilità illecite non costituisce più un post-factum non punibile, ma integra un'actio antigiuridica sostanzialmente diversa e autonoma rispetto al reato presupposto che può alterare il corretto funzionamento del mercato. Siffatto percorso ha condotto alla normativizzazione dell'"ibrida" figura di cui all'art. 648 ter.1 c.p.: per potersi configurare è presupposto indefettibile l'accertamento tanto del reato presupposto quanto della conseguente condotta riciclatoria.


Il bene giuridico protetto
In sede di lavori parlamentari è stata rilevata la natura plurioffensiva di questo illecito penale. È inconfutabile che il delitto di autoriciclaggio miri, innanzitutto, a garantire la legalità del mercato e a reprimere la concorrenza sleale tra gli imprenditori.
Per mera completezza espositiva, va rilevato che ai sensi dell'art. 2598, n. 3, c.c., per "atti di concorrenza sleale" deve intendersi l'utilizzo di qualunque mezzo non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l'altrui azienda.
Tuttavia, è pur vero che la stessa formulazione della norma permette di cogliere l'estensione della tutela giuridica anche all'amministrazione della giustizia, proprio nel punto in cui è richiesto che la condotta sia tale «da ostacolare concretamente l'identificazione» della provenienza delittuosa di denaro, beni e altre utilità.
In effetti, come fu annunciato in Parlamento, il reato in esame può definirsi una fattispecie plurioffensiva. Sebbene la vera finalità posta alla base dell'introduzione dell'art. 648 ter.1 c.p. sia quella di colpire duramente ogni forma di inquinamento del sistema economico, imprenditoriale e finanziario attuato mediante l'utilizzo di beni e denaro di derivazione illecita, è di palmare evidenza che la tutela apprestata si estenda anche al bene giuridico del regolare funzionamento dell'amministrazione della giustizia.


Gli aspetti generali
A differenza del riciclaggio, il delitto in disamina è configurabile solo se vengono realizzate le condotte specificamente contemplate dall'art. 648 ter.1 c.p.. e rientra, pertanto, nell'alveo dei reati a forma vincolata.
Trattasi di fattispecie di pericolo concreto, annoverabile tra i reati propri esclusivi o c.d. di mano propria: per l'integrazione dell'ipotesi criminosa è necessario che l'autore del riciclo di denaro illecito sia anche il soggetto agente del delitto presupposto.
Il reato fonte può essere costituito in via esclusiva da un delitto volontario: restano, difatti, penalmente irrilevanti ai fini della configurazione dell'autoriciclaggio i reati colposi e le contravvenzioni. Se il reato presupposto è punito con la reclusione non superiore nel massimo a cinque anni il trattamento sanzionatorio si mitiga notevolmente, così come nel caso in cui il reo si adoperi per evitare che le condotte siano portate a conseguenze ulteriori o per assicurare le prove del reato e l'individuazione dei beni, del denaro e delle altre utilità provenienti dal delitto.


La condotta
Ictu oculi, dalla lettura della nuova norma emerge come la previsione legislativa abbia condensato alcuni profili specializzanti le fattispecie di cui agli art. 648 bis e 648 ter c.p., con espresso riferimento all'autore del reato presupposto di natura non colposa.
Sotto il punto di vista materiale della figura criminosa, va osservato che l'art. 648 ter.1 c.p. appartiene alla categoria delle cd. norme miste alternative o a più fattispecie, in cui le varie condotte descritte costituiscono sviluppi o fasi diverse di un'azione sostanzialmente unitaria che aggredisce il bene giuridico tutelato dalla legge (Palazzo, 537).
Più segnatamente, l'impiego, la sostituzione, il trasferimento in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative dei beni di provenienza illecita costituiscono le modalità alternative di realizzazione di un unico reato che, però, può ritenersi sussistente solo a condizione che siffatti comportamenti siano tali «da ostacolare concretamente l'identificazione della loro provenienza delittuosa». Stante la tassatività e la pluralità delle condotte previste, è d'uopo, a questo punto, un approfondimento tecnico delle medesime, mediante il richiamo ai principi ermeneutici pronunciati dal Supremo Consesso in ordine agli elementi specializzanti le ipotesi delittuose di riciclaggio (art. 648 bis c.p.: «fuori dei casi di concorso nel reato, chiunque sostituisce o trasferisce denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, ovvero compie in relazione a essi altre operazioni, in modo da ostacolare l'identificazione della loro provenienza delittuosa, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da euro 1.032 a euro 15.493. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita se il denaro, i beni o le altre utilità provengono da delitto per il quale è stabilita la pena della reclusione inferiore nel massimo a cinque anni. Si applica l'ultimo comma dell'art. 648») e di impiego di denaro, beni o utilità di provenienza illecita (art.648 ter c.p.: «chiunque, fuori dei casi di concorso nel reato e dei casi previsti dagli artt. 648 e 648 bi c.p., impiega in attività economiche o finanziarie denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto, è punito con la reclusione da quattro a dodici anni e con la multa da milletrentadue euro a quindicimilaquattrocentonovantatre euro. La pena è aumentata quando il fatto è commesso nell'esercizio di un'attività professionale. La pena è diminuita nell'ipotesi di cui al secondo comma dell'art. 648. Si applica l'ultimo comma dell'art. 648».
Mediante il richiamo dei contributi dottrinali ed ermeneutici succedutisi in ordine a tali figure criminose, si può procedere, con argomentazione a simili, all'osservazione dei connotati principali che il legislatore ha conferito all'autoriciclaggio.
La cd. sostituzione consiste nella consegna di denaro o beni di provenienza illecita in cambio di altro denaro o beni "puliti". Si tratta di una condotta che può manifestarsi nei modi più disparati (versamento o cambio di assegni, alienazione di materie prime, sostituzioni di targhe di veicoli).
Addirittura, secondo la giurisprudenza di legittimità formatasi sulla fattispecie di cui all'art.160648 bis c.p., che pure richiede il requisito dell'attitudine a ostacolare l'identificazione della res illecita, rappresenta valida ipotesi sostitutiva il deposito di denaro "sporco" presso l'istituto bancario, obbligato a restituire al depositante la stessa somma versata. Il carattere fungibile del denaro è certamente un ostacolo all'individuazione della derivazione antigiuridica del medesimo (in tal senso, Cass. pen., Sez. IV, 15 ottobre 2009, n. 495).
Per trasferimento di denaro, beni o altre utilità, si intende lo spostamento del provento illecito nel patrimonio altrui in senso giuridico e immateriale, così come lo spostamento materiale di una cosa mobile. Sul punto, si è assistito per anni a una querelle scientifica, risolta di recente dai giudici di Piazza Cavour, i quali, una volta per tutte, hanno chiarito che il trasferimento idoneo a integrare il riciclaggio, al di là della materialità o meno dello spostamento di beni o di denaro, è quello concretamente volto a ostacolare l'identificazione della derivazione criminosa degli stessi (Cass. pen., Sez. II, 3 maggio 2007, n. 21667).
Un esempio di trasferimento diretto al riciclo è lo spostamento di denaro da un conto corrente all'altro. (ex multis Cass. pen., Sez. II, 22 ottobre 2014, n. 43881)
La condotta di impiego di denaro, beni o altre utilità provenienti da delitto non colposo, benché si collochi per prima nella formulazione testuale della norma, si atteggia come un'ipotesi residuale, destinata a accogliere quelle modalità esecutive che non rientrano nella sostituzione o nel trasferimento. Per impiego, in quanto tale, deve intendersi qualunque forma di immissione delle disponibilità di provenienza delittuosa nel circuito economico legale (Mucciarelli).
Tuttavia, nell'ambito della figura delittuosa di cui all'art. 648 ter.1 c.p. la condotta di impiego non può identificarsi con l'investimento di denaro, già ripulito antecedentemente da terzi, in attività economiche-finanziarie (Tribunale del Riesame di Lecce, ord. 6 giugno 2003, n. 487). Proprio su questo punto intercorre una distinzione ontologica rilevante tra il reato di cui all'art. 648 ter c.p. e quello di autoriciclaggio.
Nel primo caso la criminalizzazione della condotta è volta a punire l'immissione nel mercato legale di guadagni illeciti, cioè di capitali "lavati"; nella seconda ipotesi, invece, l'impiego dei proventi antigiuridici è indefettibilmente correlato all'effetto dissimulatorio dell'origine illecita dei beni o del denaro, restando esclusa di tal guisa, la punibilità del mero autoimpiego.
Le modalità alternative di impiego, sostituzione, o trasferimento, attraverso le quali può estrinsecarsi la condotta penalmente rilevante richiamata dall'artt.648-ter.q c.p., ai fini della configurabilità delittuosa, debbono essere realizzate nell'ambito di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative.
Anche in questo caso le attività richiamate dalla norma sono alternativamente previste nel senso che possono non ricorrere cumulativamente: è sufficiente che una sola di queste costituisca lo spazio di azione esecutiva delle varie modalità di condotta per integrare il reato di autoriciclaggio.
Di fondamentale importanza è la modalità che deve connotare la condotta. È condizione indispensabile, cioè, che l'azione posta in essere dall'agente sia idonea a frapporre un concreto ostacolo all'identificazione della provenienza illecita di denaro, beni e utilità. Da ciò deriva l'assimilazione dell'autoriciclaggio ai reati di pericolo concreto, cui consegue l'onere in capo all'operatore di giustizia di ponderare con estrema attenzione, volta per volta, la reale portata offensiva della condotta, anche alla luce del fatto che, ai sensi del comma 4 dell'art. 648 ter.1 c.p. «non sono punibili le condotte per cui il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla mera utilizzazione o al godimento personale». Siffatta esclusione pare proprio condividerne le radici sostanziali: onde evitare ingiustificati aggravi sanzionatori per fatti sforniti di autonomo disvalore rispetto al reato fonte, il legislatore ha voluto espressamente elidere dalla portata incriminatrice dell'art. 648ter.1 c.p. tutte quelle condotte che si concretizzano non già in un reimpiego in attività produttive di proventi delittuosi, ma nella mera utilizzazione (consumo) o godimento personale di questi ultimi.
Sul punto, infatti, deve condividersi la tesi sostenuta da parte della dottrina secondo cui le azioni di questa tipologia sono riconducibili alla categoria del post factum non punibile, sicché ammettendone la punizione si finirebbe, in sostanza, per addebitare due volte lo stesso fatto al suo autore e violare il tanto caro principio del ne bis in idem.


Il profilo psicologico del reato
La giurisprudenza di legittimità è ormai monolitica nell'affermare che l'elemento soggettivo del reato di cui all'art. 648 bis c.p. sia il dolo generico (Cass. pen., Sez. II, 8 maggio 2013, n. 40084). Siffatta conclusione ha sollevato evidenti perplessità per l'autoriciclaggio, proprio in virtù delle finalità perseguite dalla criminalizzazione di tale fattispecie.
Il legislatore, infatti, ha concentrato il fulcro del crimen non solo nell'ostacolo all'identificazione dei proventi illeciti, ma anche e soprattutto nell'investimento della res delittuosa in attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o speculative in modo tale da falsare il libero gioco della concorrenza. Ne consegue che l'autore dell'autoriciclaggio non agisce con coscienza e volontà generica, in quanto è la stessa formulazione legislativa dell'art. 648 ter.1 c.p. a vincolare la condotta al perseguimento di uno scopo di lucro.
Lo scrivente, pertanto, condivide la tesi di coloro che, in sede di lavori parlamentari, hanno sostenuto che l'elemento soggettivo del reato de quo è integrato dal dolo specifico. D'altro canto, già in relazione alla fattispecie di cui all'art.648 ter c.p. autorevole dottrina aveva da tempo rilevato come il concetto di "impiego" dovesse essere ancorato all'inseguimento di un lucro o di un profitto (Fiandaca-Musco, 250), tanto da richiedere ai fini della configurabilità il dolo specifico (a differenza, invece, del riciclaggio).
Secondo i primi approcci dottrinali al reato in disamina, sembra non doversi escludere la possibilità di configurare anche il dolo eventuale quale atteggiamento psichico, laddove l'autore del reato presupposto ricicli il provento criminoso previa accettazione del rischio di ostacolare l'identificazione del medesimo e, al tempo stesso, di compiere un'operazione che gli comporti un vantaggio imprenditoriale che vada a falsare le dinamiche di mercato. Tuttavia, l'autore del presente contributo non condivide tale orientamento. Non resta che attendere le dirimenti pronunce della Suprema Corte.


Problematiche di natura intertemporale
Come di consueto, quando il legislatore nulla prescrive in ordine alla sistematicità temporale delle condotte delittuose di nuova origine, spetta all'interprete individuare l'esatta applicazione dei principi relativi alla successione delle leggi penali nel tempo.
Il nodo principale da sciogliere, con riguardo alla fattispecie autoriciclatoria, è quello relativo alla punibilità o meno di condotte poste in essere prima dell'entrata in vigore della norma incriminatrice. Secondo alcune concezioni dottrinali sviluppatesi sul punto, il reato di cui all'art. 648 ter.1 c.p., in ossequio al principio dell'irretroattività della legge sfavorevole al reo, diventa punibile qualora tanto il reato presupposto quanto l'azione propriamente riciclatoria siano collocati temporalmente in periodo successivo al 1° gennaio 2015.
Tale ricostruzione consegue all'identificazione dell'autoriciclaggio come reato a struttura complessa, ove il reato presupposto costituisce preliminare condotta tipica da cui principia la realizzazione di tutta l'azione delittuosa.
La giurisprudenza è di tutt'altro avviso. Proprio questo aspetto corrisponde all'argomento affrontato dalla Corte di Cassazione in occasione della prima pronuncia in materia di autoriciclaggio (Cass. n. 3691/2016).
I giudici del Supremo Consesso aderiscono alla tesi sostenuta da altro orientamento dottrinario, secondo cui il reato fonte costituisce un mero presupposto della condotta tipizzata nell'art. 648 ter.1 c.p. Benché, dunque, sia indefettibile l'accertamento di un pregresso reato dal quale siano scaturiti i proventi illegali, il tempus di realizzazione del presupposto della condotta tipica non esplica alcuna efficacia ostativa alla punibilità del reato de quo se l'effettiva condotta tipica (cioè l'«impiego, sostituzione o trasferimento, in attività economiche, finanziarie, imprenditoriale o speculative») sia stata commessa dopo l'entrata in vigore del nuovo precetto penale.


Il rapporto tra il delitto di autoriciclaggio e quello
di associazione per delinquere di stampo mafioso

Di particolare interesse è l'osservazione sui rapporti tra la nuova fattispecie di reato e altre figure criminose. Notevole rilievo, in questa sede, assume la disamina delle dinamiche sostanziali che intercorrono tra l'autoriciclaggio e il delitto di cui all'art. 416 bis c.p., aggravato dalla circostanza prevista dal comma 6 (in virtù della quale le pene previste per l'appartenenza alla societas sceleris sono aumentate quando le attività economiche di cui gli associati intendono assumere o mantenere il controllo siano finanziate in tutto o in parte con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti).
In verità, con riguardo al delitto di riciclaggio e di illecito reimpiego, le Sezioni Unite della Corte di Cassazione sono intervenute con la sentenza 13 giugno 2014, n. 25191, per risolvere il contrasto giurisprudenziale sorto sul seguente quesito: il reato contemplato dall'art. 416 bis c.p., ancorché aggravato ai sensi del comma 6, assorbe i delitti di riciclaggio o di illecito reimpiego oppure concorre con essi? Nell'occasione, gli Ermellini hanno ragionato sulla delicata questione circa l'identificazione o meno del delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso come fonte di ricchezza illecita.
L'esito di tali riflessioni è l'esclusione del concorso formale tra le fattispecie in disamina: è la stessa connotazione ontologica del reato associativo a suggerirne la perfetta idoneità a produrre proventi criminosi e a essere potenziale reato presupposto del riciclaggio o del reimpiego illecito. Ciò posto, con la predetta pronuncia la Corte di legittimità è giunta a delineare il seguente quadro ermeneutico:
A) se il soggetto che ricicla o reimpiega i proventi derivanti da uno dei delitti fine dell'associazione mafiosa:
i) non è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa, né ha concorso nel delitto fine, risponderà solo ex art. 648 bis o 684 ter c.p.;
ii) non è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa, ma ha concorso nel delitto fine, risponderà del delitto fine da lui commesso ma non di riciclaggio o reimpiego (operando in questo caso la clausola di esclusione "fuori dai casi di concorso nel reato");
iii) è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa ed ha concorso nel delitto fine, risponderà "solo" di associazione per delinquere di stampo mafioso e del delitto fine da lui commesso, ma non di riciclaggio o reimpiego (anche in questo caso, infatti, opererà la clausola di esclusione);
iv) è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa ma non ha concorso nel delitto fine, risponderà tanto del delitto di associazione mafiosa, quanto del riciclaggio o del reimpiego (in questi caso, infatti, la clausola di esclusione prevista dagli artt. 648 bis o 684 ter c.p. opera solo in relazione al delitto-fine dell'associazione mafiosa e mai in relazione all'associazione stessa);
B) se, invece, il soggetto che ricicla o reimpiega i proventi frutto diretto dell'associazione per delinquere di stampo mafioso (quei proventi, cioè, che il sodalizio criminoso è in grado di produrre, valendosi del metodo mafioso, senza la commissione di alcun ulteriore reato):
i) non è membro o concorrente esterno nell'associazione di cui all'art. 416 bis c.p., risponderà solo dei delitti di riciclaggio o reimpiego;
ii) è membro o concorrente esterno nell'associazione mafiosa, risponderà solo dell'associazione per delinquere di stampo mafioso e non del riciclaggio o reimpiego (essendo, in questo caso, la stessa associazione di cui all'art. 416 bis c.p. il reato presupposto dei delitti di cui agli artt. 648 bis o 684 ter c.p. ed operando, dunque, la clausola di esclusione).
Il percorso logico in tal senso delineato è lo spunto ermeneutico utilizzato dalla successiva giurisprudenza per il reato di autoriciclaggio, rispetto al quale si è giunto a soluzione del tutto opposta proprio in ragione dell'assenza della clausola di riserva che impedisce la deroga ai regolari principi in materia di concorso tra norme incriminatrici.
Sul tema la Corte di legittimità si è espressa con chiare parole in occasione della sentenza 17 dicembre 2020, n. 36283 pronunciata dalla Prima Sezione. In questa sede, il Collegio Decidente ha offerto un'illustrazione della figura criminosa di nuovo conio in tal senso . <

< … l'articolo 648-ter.1. è entrato in vigore il 1 gennaio 2015 con il dichiarato scopo di voler punire tutte le condotte consistenti - in buona sostanza nel riciclaggio o nel reimpiego di beni di provenienza delittuosa poste in essere dall'autore o dal concorrente nel reato presupposto. Dunque, lo scopo principale della norma in esame era quello di abolire il cosiddetto privilegio di autoriciclaggio; e infatti, prima della sua entrata in vigore, i fatti di autoriciclaggio erano puniti solo quando integravano la condotta prevista dalla L. n. 356 del 1992, articolo 12-quinquies e cioè quando ricorresse il fine specifico di eludere la normativa in materia di misure di prevenzione. Ed è proprio questo uno dei principi di diritto affermati dalle Sezioni Unite nella sentenza n. 25191/2014, Iavarazzo, secondo la quale è configurabile il reato di cui all'articolo 12-quinquies in danno dell'autore del delitto presupposto, il quale attribuisca fittiziamente ad altri la titolarita' o la disponibilità di denaro, beni o altre utilità, di cui rimanga effettivamente dominus, al fine di agevolare una successiva circolazione nel tessuto finanziario, economico e produttivo, consentendo la suddetta disposizione di legge di perseguire anche i fatti di auto ricettazione, riciclaggio o reimpiego.
Ovviamente le Sezioni unite, nella sentenza suddetta (emessa anteriormente all'introduzione dell'articolo 648 ter.1 c.p.) - atteso che gli articoli 648-bis e 648-ter c.p. stabiliscono che fra i soggetti agenti non è ricompreso colui che abbia concorso nel reato presupposto (così detta clausola di esclusione) - hanno correttamente enunciato il principio di diritto secondo cui non è configurabile il concorso fra i delitti di cui gli articoli 648-bis o 648-ter c.p. e quello di cui all'articolo 416-bis c.p., quando la contestazione di riciclaggio o reimpiego riguardi denaro, beni o utilità provenienti proprio dal delitto di associazione mafiosa. Ma al contempo, sempre le stesse Sezioni unite hanno anche affermato un importante ulteriore principio di diritto, stabilendo che il delitto presupposto dei reati di riciclaggio (articolo 648-bis c.p.) e di reimpiego di capitali (articolo 648-ter c.p.) puo' essere costituito dal delitto di associazione mafiosa, di per sè idoneo a produrre proventi illeciti….
Orbene, sulla scorta di tali premesse la Prima Sezione della Corte di Cassazione non può che giungere ad una soluzione speculare per il delitto di autoriciclaggio. E, infatti, la sentenza prosegue in tale direzione : <<…il Collegio osserva che - contrariamente all'assunto difensivo - il delitto di autoriciclaggio previsto dall'articolo 648-ter.1. c.p., ove sia commesso dal compartecipe al delitto di associazione per delinquere di stampo mafioso concorre in ogni caso con tale reato; e cio' sia nell'ipotesi in cui la persona che autoricicla risponda del delitto punito dall'articolo 416 bis c.p. e dei reati fine, sia nell'ipotesi in cui risponda solo del primo reato e non degli ulteriori crimini commessi dagli altri partecipanti alla societas sceleris.>>
E infatti, come hanno affermato le Sezioni unite, nella citata sentenza Iavarazzo, la previsione che esclude l'applicabilità dei delitti di riciclaggio e reimpiego di capitali nei confronti di chi abbia commesso o concorso a commettere il delitto presupposto costituisce una deroga al concorso di reati che trova la sua ragione di essere nella valutazione, tipizzata dal legislatore, di ritenere l'intero disvalore dei fatti ricompreso nella punibilità del solo delitto presupposto. Da cio' si ricava - ad avviso di questo Collegio - che per la fattispecie di cui all'articolo 648-ter.1 c.p. attribuita a un compartecipe al delitto di cui all'articolo 416 bis c.p., e priva della menzionata clausola di esclusionè, viene meno la deroga ai principi generali sul concorso dei reati, e che, dunque, il delitto di autoriciclaggio deve necessariamente concorrere con il reato associativo.
Nè, infine, ricorre nella fattispecie - tra l'articolo 416 bis c.p., comma 6, e l'articolo 648-ter.1. dello stesso codice - l'ipotesi adombrata (per il vero in termini generici) dalla ricorrente secondo cui dovrebbe trovare applicazione l'articolo 84 c.p., atteso che gli elementi costitutivi dell'aggravante in questione sarebbero gli stessi fatti che costituiscono il delitto di autoriciclaggio. E invero, l'aggravante suddetta e il delitto di cui all'articolo 648-ter.1 c.p., differiscono sensibilmente non foss'altro perchè quest'ultimo prevede tra i suoi elementi costitutivi che il soggetto agente agisca "in modo da ostacolare concretamente l'identificazione della provenienza delittuosa del denaro, dei beni o delle altre utilità provenienti dalla commissione del delitto presupposto"; mentre tale elemento costitutivo dell'autoriciclaggio manca nell'aggravante del reato associativo.
Cio' posto, occorre ricordare - in conformità all'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte - che ai fini di un concorso apparente di norme è necessario che più precetti qualifichino un'identica realtà fattuale; e che quindi, in relazione alle disposizioni in esame - delle quali è stato evidenziato il diverso ed autonomo contenuto - non è ravvisabile una detta sovrapposizione: ne deriva che entrambe possono trovare applicazione senza che risulti violato il divieto del ne bis in idem sostanziale, posto a fondamento degli articoli 15, 68, 84 c.p. (cfr. Sez. U, Sentenza n. 10 del 28 marzo 2001).


Considerazioni conclusive
Il riciclaggio costituisce per la criminalità una via di accesso alla società civile. Secondo le stime ufficiali il flusso di denaro illecito in Italia risulta addirittura superiore nella misura del 10 per cento del prodotto interno lordo (P.I.L.). Questo dato allarmante è indice inequivocabile dell'alterazione dell'economia nazionale, con gravi ripercussioni sulla concorrenza e sul mercato.
Il riciclo del denaro sporco, posto in essere per mano autonoma oppure eteronoma, in via generale si compone di tre fasi: la prima è quella dell'introduzione nel mercato ("Placement"), nella quale il denaro derivante da illecito per il mezzo di specifiche operazioni viene collocato presso istituti e intermediari finanziari oppure direttamente sul mercato con l'acquisto di beni, anche con l'ausilio dei c.d. prestanome. La seconda è la fase della stratificazione ("Layering"), cioè il vero "lavaggio" del denaro, che consiste nell'effettuazione di operazioni finanziarie complesse per camuffare l'origine illegale dei capitali. Infine, l'ultima fase è costituita dall'integrazione ("Integration"): il denaro viene investito nell'economia legale attraverso la consulenza di professionisti specializzati capaci di investire i capitali nei Paesi in cui il regime normativo/tributario si connota come "paradiso fiscale".
La legge 15 dicembre 2014, n. 186 ha colmato un vulnus normativo che per molti anni ha consentito la crescita esponenziale dei crimini economici connessi all'autoriciclaggio. Prima dell'intervento normativo, infatti, il meccanismo escludente della clausola di riserva contenuta nelle fattispecie sorelle di cui all'art.648-bis e 648-ter c.p. limitava la punibilità di questo grave fenomeno.
La struttura criminosa del reato di cui all'art.648-ter.1 c.p., così come interpretato dalle prime pronunce emesse in questo quinquennio dalla Corte di Legittimità, consente all'Autorità Giudiziaria di perseguire un ventaglio ampio di condotte. Qualunque delitto potenzialmente idoneo a produrre ricchezza deve ritenersi prodromico all'autoriciclaggio, come emerge dalla decisione della Suprema Corte con cui si è escluso il concorso apparente di norme tra il reato di associazione di tipo mafioso e il delitto di cui all'art.648 ter.1 c.p.

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