Penale

Misure di prevenzione: la violazione del «vivere onestamente» non è reato

di Patrizia Maciocchi

La violazione della prescrizione del “vivere onestamente”, imposta con la misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza dal codice antimafia non è un reato. La Corte di cassazione, con la sentenza 39427 applica la decisione presa dalle Sezioni unite il 27 aprile scorso le cui motivazioni non sono state ancora depositate.

La risposta fornita dal consesso di giudici è utile ad accogliere la richiesta di annullamento della condanna inflitta al ricorrente dal Tribunale. All’imputato - sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo di soggiorno - era stata, infatti applicata, in sede di patteggiamento, la pena di un anno di reclusione per un concorso di reati: resistenza a pubblico ufficiale, lesioni aggravate e violazione dell'”honeste vivere”. Quest'ultima prescrizione è contenuta nel codice antimafia (Dlgs 159/2011) che, con l'articolo 75, comma 2 “sanziona” la mancata osservanza degli obblighi relativi alla sorveglianza speciale, tra i quali c'è anche quello di “vivere onestamente” e “rispettare le leggi” (articolo 8 comma 4).

I giudici della sezione feriale, annullano la condanna visto che nel “pacchetto” era finito anche il precetto dell'honeste vivere la cui violazione non può più essere “punita” come reato.

I giudici ricordano che le sezioni unite hanno dato una risposta negativa al quesito sulla portata della norma incriminatrice, escludendo che possa rientrare tra il mancato rispetto degli gli obblighi e delle prescrizioni imposte dall’articolo 75 anche le prescrizioni del vivere onestamente e rispettare le leggi. Due precetti la cui violazione non può essere considerata reato, a causa della natura troppo vaga della prescrizione , ma può tuttavia essere rilevante in sede di esecuzione del provvedimento, al fine di un eventuale aggravamento della misura.

La Cassazione sottolinea che la sentenza ha reso così efficace la decisione della Grande camera della Corte europea dei diritti dell'Uomo del 27 febbraio scorso (De Tommaso contro Italia), nella parte in cui aveva evidenziato la scarsa chiarezza e precisione delle due prescrizioni alle quali è stata tolta efficacia.

In quell’occasione i giudici di Strasburgo avevano precisato l’inopportunità di fondare una responsabilità su una norma penale di fatto “in bianco”. Ed è stata proprio la lettura critica della norma da parte della Cedu che ha indotto il primo presidente della Cassazione Giovanni Canzio a sottoporre la questione - sollevata dalla prima sezione - alle Sezioni unite, per prevenire eventuali contrasti nella giurisprudenza di legittimità, in marito a valutazioni di condotte che possono pesare sul giudizio di pericolosità sociale di un individuo.

Corte di cassazione – Sezione Feriale – Sentenza 24 agosto 2017 n.39427

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