Amministrativo

Proroga delle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa: la posizione del legislatore e della giurisprudenza

Si contrappongono due nette posizioni: da un lato quella del legislatore nazionale, che, in attesa di riformare la materia, ha disposto la proroga sino al 31.12.2033; dall'altro lato, invece, quella dell'UE e della giurisprudenza europea e nazionale – che ha drasticamente censurato tale possibilità, poiché in contrasto con la normativa europea e con i principi costituzionali

di Fiorenza Prada

Dopo una discussione che si protrae oramai da oltre quindici anni sulle modalità con cui devono essere aggiudicate le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa, il Consiglio di Stato, nell'adunanza plenaria del 9 novembre 2021 (sentenze nn. 17 e 18 ), chiarisce definitivamente la questione: le norme legislative nazionali che hanno sinora disposto (e che dovessero in futuro prevedere) la proroga automatica delle concessioni in esame devono essere disapplicate, sia dai giudici sia dalla Pubblica Amministrazione, in quanto in contrasto con la normativa europea (art. 12 della direttiva 2006/123/CE, anche nota come direttiva servizi o direttiva Bolkestein, e art. 49 del TFUE).

Tale incompatibilità, come detto, si è appalesata lungo tempo fa, all'indomani dell'emanazione della c.d. direttiva servizi del 2006; anche se in realtà, ancor prima, il Consiglio di Stato aveva valorizzato la necessità di sottoporre le concessioni demaniali ai principi della concorrenza e dell'evidenza pubblica (Cons. Stato 168/2005).

L'art. 12 della direttiva stessa ha, infatti, introdotto il ricorso alla procedura di selezione dei potenziali candidati con carattere di imparzialità, trasparenza ed adeguata pubblicità, per tutte quelle attività limitate in ragione della scarsità delle risorse naturali; al contempo, ha vietato il ricorso ai meccanismi di rinnovo automatico o di accordata preferenza al prestatore uscente.

L'impatto per le concessioni demaniali marittime nazionali è stato considerevole: l'allora art. 37, co. 2, c. nav. individuava, infatti, come criterio sussidiario nell'individuazione del concessionario, la circostanza che detto concessionario già fosse stato tale in forza di un precedente titolo concessorio (diritto di insistenza); norma che, all'evidenza, si poneva in aperto contrasto con il disposto della direttiva Bolkestein. Ne è seguita allora l'abrogazione, anche a seguito di una procedura di infrazione avviata a carico dell'Italia dalla Commissione Europea nel 2008.

Al contempo, il legislatore nazionale ha previsto una soluzione temporanea (nelle more della revisione della materia nella sua interezza che ancora non è avvenuta), prorogando le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa in essere dapprima sino al 31.12.2012 (d.l. 194/2009), poi sino al 31.12.2015 (l. di conversione 25/2010), quindi al 31.12.2020 (d.l. 179/2012) e infine al 31.12.2033 (l. 45/2018, confermata da l. 77/2020).

In tale quadro di inerzia del legislatore nazionale, sono intervenute a più riprese l'Unione europea con lettere di messa in mora e avvio di procedure di infrazione a carico dell'Italia, nonché la giurisprudenza europea (C. Giust. UE 458/2016) e nazionale (ex multis Cons. Stato 873/2018; Cons. Stato 7874/2019), confermando l'incompatibilità dei meccanismi di proroga ex lege disposti dal legislatore nazionale, sia con la direttiva servizi (e segnatamente con l'art. 12), sia con l' art. 49 TFUE (libertà di stabilimento), in quest'ultimo caso se e nei limiti in cui la concessione rappresenti un'attrattiva per gli operatori economici degli altri Stati membri (interesse transfrontaliero certo).

La sola voce fuori dal coro è rappresentata dalla posizione assunta dal TAR Lecce (sent. 71/2021; sent. 155/2021; sent. 347/2021; sent. 605/2021), fondata su due motivazioni: l'impossibilità di attribuire all'art. 12 della direttiva Bolkestein natura self executing; la conseguente non legittimazione dell'organo amministrativo alla disapplicazione della legge nazionale in contrasto (riservata in tal caso solo al giudice).

A risolvere, allora, l'annosa questione è intervenuto il Consiglio di Stato, nell'adunanza plenaria del novembre 2021.

La pronuncia è lineare, motivata e decisamente completa, talché ci si limita a ripercorrerne brevemente il ragionamento e le condivisibili conclusioni.

Il patrimonio costiero nazionale, per conformazione, ubicazione geografica, condizioni climatiche e vocazione turistica esercita una indiscutibile capacità attrattiva verso le imprese europee, talché sussiste l'interesse transfrontaliero certo, cui parametrare la violazione dell'art. 49 TFUE; peraltro i meccanismi di proroga generalizzata ed automatica delle concessioni si pongono, comunque, in contrasto con il dettato costituzionale (principi di libera iniziativa economica e di ragionevolezza) e comunque con i principi europei a tutela della concorrenza e della libera circolazione (di recente sul punto si veda Cons. Stato 1416/2021 ).

Quanto alla direttiva servizi:
- essa è stata adottata per eliminare gli ostacoli alla libertà di stabilimento e di servizio, e non al fine di armonizzare le normative nazionali, sicché l'adozione della relativa normativa non richiedeva l'unanimità, come previsto dall'art. 115 TFUE;
- essa è volta a disciplinare il mercato interno in senso ampio, ossia non limitatamente al settore turistico, e quindi non è violato l'art. 195 TFUE, secondo cui, in materia di turismo, l'Unione europea si limita ad una politica di accompagnamento, con esclusione di armonizzazione delle disposizioni legislative e regolamentari interne;
- ancora, a prescindere dal nomen juris, le concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa rientrano nel novero delle autorizzazioni contingentate di cui all'art. 12, in quanto il relativo provvedimento, riservando in via esclusiva un'area demaniale ad un operatore economico, consente a quest'ultimo di svolgervi la propria attività d'impresa erogando servizi turistico-ricreativi a terzi;
- le risorse naturali sottese alle concessioni demaniali marittime a finalità turistico-ricreativa sono poi da ritenersi scarse, ai sensi dell'art. 12, poiché allo stato, le aree demaniali marittime, lacuali e fluviali del territorio nazionale a disposizion di nuovi operatori economici (ossia diversi da quelli "coperti" dalla proroga ex lege) sono poche o addirittura inesistenti.

Ancora, con riferimento alla direttiva 123/2006/CE, e in particolare, alla sua efficacia:
- essa è dotata di effiacia self executing, avendo un livello di dettaglio sufficiente, in ragione degli obiettivi che le sono propri, a determinare la disapplicazione della normativa nazionale che prevede la proroga ex lege delle concessioni in essere sino al 31.12.2033;
- in conseguenza dell'anzidetta efficacia self executing, l'obbligo di non applicare la legge anticomunitaria grava sia sui giudici che sull'apparato amministrativo: anche perché comunque, quand'anche l'Amministrazione applicasse la norma anticomunitaria, l'atto sarebbe comunque illegittimo e, in quanto tale, andrebbe annullato; così, a contrario, una volta che l'Amministrazione disapplicasse la norma anticomunitaria e il privato sottoponesse al vaglio giurisdizionale l'atto amministrativo frutto di quella (corretta) non applicazione, il giudice - che certamente ha potere di disapplicazione - non potrebbe che constatare la legittimità dell'atto e respingere conclusivamente il ricorso (il richiamo al principi di economicità e efficacia dell'azione amministrativa è evidente).

Non possono, in tal senso, essere valorizzate le doglianze dei concessionari attuali, quanto agli eventuali profili di responsabilità penale per occupazione abusiva di spazio demaniale marittimo (art. 1161 c. nav.), in forza dei principi cardine dell'ordinamento di riserva di legge e di irretroattività della legge penale.

Parimenti non sussiste alcuna esigenza di tutela del legittimo affidamento dei concessionari stessi, atteso che, già prima della direttiva del 2006, la giurisprudenza amministrativa sollecitava l'adozione di procedure competitive per assegnare le concessioni demaniali, nel rispetto dei principi di concorrenza e di evidenza pubblica; a maggior ragione, dunque, non si può invocare il legittimo affidamento ora dopo l'intervento della Corte di Giustizia del 2016 e la successiva copiosa giurisprudenza nazionale pressoché unanime.

Alla luce di tutto quanto sopra considerato, l'atto amministrativo di proroga della concessione adottato conformemente alla norma anticomunitaria è da qualificarsi come un atto meramente ricognitivo, i cui effetti si considerano tamquam non esset, senza necessità di attivare il potere di autotutela: tutt'al più l'Amministrazione può ritenersi onerata della mera comunicazione dell'inconsistenza oggettiva dell'atto ricognitivo eventualmente già adottato al soggetto destinatario dell'atto stesso.

La portata della pronuncia del Consiglio di Stato è travolgente: gli effetti della disapplicazione della normativa interna anticomunitaria si producono anche con riferimento ai rapporti oggetto di eventuale sentenza passata in giudicato favorevole per il concessionario; in altri termini, i giudicati favorevoli per il concessionario formatisi sulla normativa nazionale in contrasto con l'ordinamento europeo cessano di disciplinare il rapporto concessorio in essere.

Ecco allora il correttivo.

Al fine di evitare il significativo impatto socio-economico che deriverebbe da una decadenza immediata e generalizzata di tutte le concessioni demaniali in essere, e tenuto conto delle tempistiche proprie per l'organizzazione di procedure ad evidenza pubblica funzionali ad individuare i nuovi concessionari, le concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative in essere continuano ad essere efficaci sino al 31 dicembre 2023.

Con l'auspicio di un intervento sistematico del legislatore nazionale, più volte promesso e in minima parte abbozzato, ma mai veramente attuato.

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