Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 27 e il 31 marzo 2023

Nel corso di questa settimana le Corti d'Appello si soffermano in tema di onorario dell'avvocato, di acquisizione della prova nel processo civile, di distanze legali tra costruzioni, di crisi del debitore non fallibile e, infine, di diritto alla retribuzione.
I Tribunali trattano le materie delle prestazioni a carico del SSN, della garanzia per i vizi della cosa venduta, del rapporto tra procacciatore d'affari e agente, della rappresentanza reciproca nel condominio e, infine, del danno da vacanza rovinata.


AVVOCATI
Rapporto tra avvocato e cliente – Onorario – Prestazione espletata
((legge 794/1942, articolo 6)
Secondo quanto affermato dalla Corte d'Appello di Roma, nei rapporti tra avvocato e cliente, sussiste sempre la possibilità del concreto adeguamento degli onorari al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione rispetto a quello derivante dall'applicazione delle norme del codice di rito.
Pertanto, il Giudice è chiamato a verificare, di volta in volta, l'attività difensiva che il legale ha svolto, tenuto conto delle peculiarità del caso specifico, in modo da stabilire se l'importo oggetto della domanda possa costituire un parametro di riferimento idoneo, ovvero se lo stesso si riveli del tutto inadeguato all'effettivo valore della controversia, perché, in tale ultima eventualità, il compenso preteso alla stregua della relativa tariffa non può essere ritenuto corrispettivo della prestazione espletata.
Ai fini della liquidazione degli onorari dovuti all'avvocato per la difesa del proprio cliente, l'individuazione dello scaglione applicabile deve avvenire in base al criterio dell'effettivo valore della controversia, desumibile dal decisum.
Non solo. Il contestuale conferimento del mandato a difendere a più avvocati non comporta l'automatica liquidazione a favore di ciascuno di essi degli onorari relativi a tutte le prestazioni professionali rese nel (o in funzione del) giudizio (con ingiustificato moltiplicarsi di oneri a carico del cliente), spettando ai singoli difensori il compenso per le attività rispettivamente espletate in concreto. Pertanto, ai fini della liquidazione delle relative voci di onorario, la preparazione e redazione dell'atto introduttivo del giudizio o della comparsa di risposta e, in generale, la redazione degli scritti difensivi, debbono costituire espressione di un diretto impegno intellettuale del professionista che chiede il compenso.
Si fa così applicazione in sentenza del principio di diritto per il quale, nel caso in cui più avvocati siano incaricati della difesa in un procedimento civile, ciascuno di essi ha diritto all'onorario nei confronti del cliente solo in base all'opera effettivamente prestata (articolo 6 legge n. 794/1942), potendosi, peraltro, limitare il diritto al compenso in capo ad ogni procuratore solo previa dimostrazione che lo stesso abbia svolto in parte l'attività professionale per la quale chieda di essere ricompensato.
Corte di Appello di Roma, sezione V, sentenza 28 marzo 2023 n. 2283

PROVA
Prova – Acquisizione della prova – Riparto dell'onere probatorio
(Cc, articolo 2697)
Adita in materia di testamento olografo la Corte d'Appello di Bari osserva in sentenza, tra l'altro, come nell'attuale sistema processual-civilistico, specie dopo il riconoscimento costituzionale del principio del giusto processo, opera il principio di acquisizione della prova, in forza del quale un elemento probatorio, una volta introdotto nel processo, è definitivamente acquisito alla causa e non può più esserle sottratto, dovendo il Giudice utilizzare le prove raccolte indipendentemente dalla provenienza delle stesse dalla parte gravata dell'onere probatorio.
Ne consegue che i principi in materia di riparto dell'onere probatorio (articolo 2697 c.c.) debbono essere, in ogni caso, coordinati con il detto principio di acquisizione, in base al quale le risultanze istruttorie, comunque ottenute e quale che sia la parte ad iniziativa o ad istanza della quale sono formate, concorrono tutte, indistintamente, alla formazione del convincimento del Giudice, senza che la diversa provenienza possa condizionare tale formazione in un senso o nell'altro.
E così, si precisa ancora in sentenza, una volta entrata nel giudizio una CTU grafologica, sia pur ad iniziativa della parte convenuta (che abbia richiesto la verificazione di scrittura privata pur non essendovi tenuta) essa è legittimamente esaminata ed utilizzata dal Giudice.
Pertanto, nulla impedisce al Giudice di utilizzare una prova invocata da una parte per trarne elementi in favore della controparte.
In altri termini, il principio dell'onere della prova non comporta che la prova dei fatti costitutivi debba desumersi unicamente da quanto dimostrato dall'attore, senza potere utilizzare altri elementi acquisiti al processo; tale principio ha la limitata funzione di individuare la parte che deve risentire le conseguenze del fallimento della prova.
In quest'ottica, perde rilievo la questione della distribuzione dell'onere della prova e viene in considerazione la questione dell'efficacia probatoria delle risultanze utilizzate.
Corte di Appello di Bari, sezione I, sentenza 29 marzo 2023, n 521

EDILIZIA
Distanze legali – Nozione di costruzione – Terrapieni
(Cc, articoli 871, 872, 873)
La Corte d'Appello di Brescia, in sentenza, fa suo il principio di diritto secondo cui, nel caso di dislivello tra fondi confinanti derivante dall'opera dell'uomo, devono ritenersi costruzioni in senso tecnico-giuridico il terrapieno ed il relativo muro di contenimento che lo abbiano prodotto, o che abbiano accentuato quello già esistente per la natura dei luoghi.
Secondo la Corte, invero, in tema di distanze legali, rientrano nel concetto di costruzione, agli effetti dell'articolo 873 c.c., il terrapieno, ed i locali in esso ricompresi, avendo il medesimo terrapieno la funzione essenziale di stabilizzare il piano di campagna posto a quote differenti dal fondo confinante, mediante un manufatto eretto a chiusura statica del terreno.
Se dunque il muro di sostegno di un terrapieno ha natura di costruzione esso è di conseguenza soggetto, ex articolo 873 c.c., all'osservanza dell'eventuale maggiore distanza stabilita delle norme dei regolamenti locali integrativi della disciplina codicistica.
All'interno dell'insieme delle "regole da osservarsi nelle costruzioni" - cui fa riferimento l'articolo 871 c.c. - occorre distinguere le disposizioni che hanno per oggetto la disciplina delle distanze tra le costruzioni, da quelle che tendono più genericamente alla tutela dell'igiene e dell'estetica in materia edilizia.
Le norme del primo tipo sono definite integrative della disciplina codicistica inerente ai rapporti di vicinato, mentre tutte le altre norme, pur essendo genericamente richiamate dagli articoli 871 e 872 c.c., non sono integrative.
Mentre la violazione delle norme del primo tipo legittima chi ha subito il conseguente pregiudizio a richiedere, non solo il risarcimento del danno, ma anche l'eliminazione della situazione antigiuridica prodotta, attraverso la riduzione al pristino stato delle opere costruite a distanza illegale, in caso di violazione di norme del secondo tipo, il vicino danneggiato può chiedere soltanto il risarcimento del danno.
L'azione conseguente alla violazione delle disposizioni del codice civile in tema di distanze, o da questa richiamate, e che ha per oggetto la riduzione in pristino, è di natura reale, potendosi assimilare all'actio negatoria servitutis.
Corte di Appello di Brescia, sezione II, sentenza 29 marzo 2023 n. 530

FALLIMENTO
Debitore non fallibile - Stato di sovraindebitamento - Liquidazione controllata dei beni
(Dlgs 14/2019; legge 3/2012 ; Rd 267/1942, articolo 1)
Il Codice della Crisi dell'impresa e dell'insolvenza (Dlgs n. 14/2019) – osserva la Corte d'Appello di Firenze - prevede per il debitore non fallibile, anche se consumatore, che versi in stato di sovraindebitamento, la possibilità di domandare con ricorso al Tribunale territorialmente competente l'apertura di una procedura di liquidazione controllata dai suoi beni e, se il debitore è in stato di insolvenza, la domanda può essere presentata anche da un suo creditore e, quando l'insolvenza riguardi un imprenditore, dal Pubblico Ministero.
Il detto Codice in realtà ha previsto nel proprio corpo normativo l'istituto già introdotto dalla legge n. 3/2012, della "liquidazione del patrimonio in ipotesi di sovraindebitamento", modificandolo nella parte in cui ha stabilito la possibilità anche per i creditori di richiedere al Tribunale la liquidazione controllata dei beni del debitore in stato di insolvenza.
La procedura è la seguente: il ricorso può essere presentato personalmente dal debitore con l'assistenza dell'OCC (Organismo di composizione della Crisi) e ad esso deve essere allegata una relazione che esponga una valutazione sulla completezza e l'attendibilità della documentazione depositata con la domanda e che illustri la situazione economica patrimoniale e finanziaria del debitore.
Il Tribunale, a seguito dell'apertura della procedura, nomina il liquidatore confermando in caso di domanda presentata dal debitore l'OCC, ovvero, in caso di giustificati motivi, scegliendolo nell'elenco dei gestori della crisi. Il liquidatore giudiziale esercita le azioni di recupero dei creditori, le eventuali azioni revocatorie, aliena i beni e distribuisce il ricavato ai creditori in modo da assicurare la par condicio, ragion per cui l'apertura della procedura di liquidazione comporta il blocco di tutte le procedure esecutive e cautelari e gli eventuali giudizi di cognizione sono, su autorizzazione del giudice, proseguiti dal liquidatore.
La liquidazione comporta la messa a disposizione di tutti i beni del debitore al fine di soddisfare i creditori attraverso la distribuzione delle somme ricavate.
In sostanza, argomenta ancora l'adita Corte, si tratta di una procedura concorsuale minore prevista appunto per le piccole e medie imprese non assoggettabili al fallimento per i limiti dimensionali di cui all'articolo 1, II, Rd n. 267/19742 (L.F.).
Corte di Appello di Firenze, sezione II, sentenza 29 marzo 2023 n. 638

LAVORO
Diritto alla retribuzione - Retribuzione feriale - Retribuzione ordinaria
(Direttiva 2003/88/CE, articolo 7)
La Corte d'Appello di Milano si riporta espressamente all'orientamento per il quale la retribuzione feriale non può essere inferiore a quella ordinaria.
Tale orientamento, nell'interpretare l'articolo 7 Dir.2003/88/CE, afferma che la retribuzione delle ferie annuali deve essere calcolata, "in linea di principio", in modo tale da coincidere con la retribuzione ordinaria del lavoratore e che un'indennità determinata ad un livello appena sufficiente ad evitare un serio rischio che il lavoratore non usufruisca delle ferie, non soddisfa le prescrizioni del diritto dell'Ue.
Benché, infatti, la struttura della retribuzione ordinaria del lavoratore ricada nelle disposizioni, e nelle prassi, disciplinate dal diritto degli Stati membri, essa non può incidere sul diritto dell'interessato di godere, nel corso del periodo di riposo, di condizioni economiche paragonabili a quelle relative all'esercizio del suo lavoro.
Ne deriva che, in presenza di una retribuzione composta da parte fissa e parte variabile, anche le voci variabili debbono essere incluse nella base di calcolo della retribuzione spettante durante le ferie, ove si tratti di indennità che compensino qualsiasi incomodo intrinsecamente collegato all'esecuzione delle mansioni che il lavoratore è tenuto ad espletare in forza del suo contratto di lavoro, oppure di indennità correlate allo status personale o professionale del lavoratore (quali, le integrazioni collegate alla qualità di superiore gerarchico, all'anzianità e alle qualifiche professionali).
Diversamente, gli elementi della retribuzione diretti esclusivamente a coprire spese occasionali o accessorie che sopravvengano in occasione dell'espletamento delle mansioni, non devono essere presi in considerazione nel calcolo dell'importo da versare durante le ferie annuali.
L'inciso "in linea di principio" non può dunque essere inteso nel senso che solo una retribuzione "irrisoria" possa ledere il diritto irrinunciabile alle ferie, perché, malgrado la retribuzione di cui il lavoratore dispone nel corso del periodo in cui effettivamente fruisce delle ferie annuali, tale lavoratore può essere dissuaso dall'esercitare il proprio diritto alle ferie annuali tenuto conto dello svantaggio finanziario differito, ma subìto in modo assolutamente concreto, nel corso del periodo successivo a quello delle ferie annuali.
Corte di Appello di Milano, sezione lavoro, sentenza 29 marzo 2023 n. 213

SANITA'
Prestazioni a carico del SSN - Malati cronici - Prestazioni socio-assistenziali
(Legge 730/1983, articolo 30; legge 833/1978)
Afferma il Tribunale di Firenze che, in tema di prestazioni a carico del SSN, l'articolo 30 della legge n. 730/1983 - che per la prima volta ha menzionato le attività di rilievo sanitario connesse con quelle assistenziali - deve essere interpretato, alla stregua della legge n. 833/1978 che prevede l'erogazione gratuita delle prestazioni a tutti i cittadini, entro i livelli di assistenza uniformi definiti con il piano sanitario nazionale, nel senso che, nel caso in cui oltre alle prestazioni socio-assistenziali siano erogate prestazioni sanitarie, tale attività, in quanto diretta in via prevalente alla tutela della salute, deve essere considerata comunque di rilievo sanitario e, pertanto di competenza del SSN.
Ne consegue che la degenza presso una RSA debitamente attrezzata rientra nell'ambito esclusivamente sanitario, con la garanzia di gratuità, nel caso in cui si proceda all'individuazione di un trattamento terapeutico personalizzato che, per le sue peculiari caratteristiche, non possa essere somministrato se non congiuntamente alla prestazione socioassistenziale, derivandone una inscindibilità che comporta il totale carico dei costi in capo al SSN.
La componente meramente assistenziale non può essere scissa, in tale ipotesi, da quella sanitaria erogata con continuità ad un soggetto non autosufficiente, necessitato a ricevere prestazioni sanitarie 24 ore su 24.
Quanto al soggetto obbligato al rimborso della retta, una volta escluso che tale possa essere il paziente, sono affermati i seguenti principi: l'individuazione della ASL tenuta al rimborso delle rette di degenza di un malato cronico, ricoverato in una regione diversa da quella di residenza, va compiuta in base alle legge vigente nel luogo dove è avvenuto il ricovero; nel caso di dubbio interpretativo al riguardo, la legge regionale va interpretata nel senso che essa può escludere il rimborso delle prestazioni erogate da enti privati agli assistiti provenienti da altre regioni, ma non può escludere il rimborso delle prestazioni erogate ai propri assistiti in altre regioni; nel caso di malati cronici, tenuta al rimborso dei costi di assistenza affrontati dalla struttura che li ha ospitati è la ASL del luogo di residenza dell'assistito; e nel caso di trasferimento dell'assistito, l'obbligo si trasferisce alla ASL di destinazione.
Tribunale di Firenze, sezione III, sentenza 28 marzo 2023 n. 942

VENDITA
Cosa venduta - Garanzia per i vizi – Imperfezioni materiali della cosa
(Cc, articoli 1490, 1492, 1495)
Il Tribunale di Piacenza rammenta in sentenza come l'articolo 1490 c.c., disciplinando la garanzia per vizi, si riferisce al caso in cui la cosa acquistata presenti un'alterazione patologica o una anomalia strutturale che la renda inidonea all'uso cui è destinata (c.d. inidoneità assoluta), o ne diminuisca in modo apprezzabile il valore (c.d. inidoneità relativa).
La garanzia per i vizi legittima il compratore all'esercizio di tre distinte azioni nei confronti del venditore:
1) la prima è l'azione di risoluzione (actio redhibitoria), la quale non differisce da quella ordinaria di risoluzione, salvo che per i seguenti aspetti: non rileva la colpa del venditore; si onera il compratore dell'onere della preventiva denunzia dei vizi entro un breve termine (8 giorni) a pena di decadenza, decorrente dalla scoperta del vizio (salvo il diverso termine stabilito dalle parti o dalla legge e con la precisazione che la denuncia che non è tuttavia necessaria se il venditore ha riconosciuto l'esistenza del vizio o l'ha occultato); si sottopone l'azione ad un breve termine prescrizionale (1 anno), a partire dalla consegna della cosa; rilevano gli usi;
2) la seconda è l'azione estimatoria (actio aestimatoria o quanti minoris), volta a conservare il sinallagma contrattuale mediante la riduzione del prezzo di vendita in misura corrispondente alla diminuzione di valore del bene provocata dal vizio (anche per essa operano i predetti termini di decadenza e di prescrizione);
3) la terza è l'azione risarcitoria, la quale, essendo basata sui generali principi in tema di inadempimento, spetta al compratore indipendentemente dalla proposizione delle prime due azioni, pur essendo soggetta (al pari delle altre due) ai termini di cui all'articolo 1495 c.c..
Quanto alla denuncia dei vizi della cosa venduta, ai fini della decorrenza del termine di decadenza di cui all'articolo 1495 c.c., pur dovendosi, di regola, distinguere tra vizi apparenti ed occulti - là dove per i primi detto termine decorre dalla consegna della cosa, mentre per i secondi dal momento in cui essi sono riconoscibili per il compratore - occorre comunque che il dies a quo si faccia risalire al momento in cui il compratore acquisisce la certezza obiettiva del vizio, non essendo sufficiente il semplice sospetto.
Tribunale di Piacenza, sentenza 28 marzo 2023 n. 166

CONTRATTI
Procacciamento d'affari – Contratto di agenzia – Rapporto
(Cc, articolo 1742)
Si sofferma in sentenza il Tribunale di Bari sul rapporto tra procacciamento d'affari e agenzia sottolineando come quello di procacciamento sia un contratto atipico non oggetto di specifica norma di legge.
Al contrario l'articolo 1742 c.c. definisce quello di agenzia come il contratto con cui una parte assume stabilmente l'incarico di promuovere, per conto dell'altra, verso retribuzione, la conclusione di contratti in una zona determinata; sicché caratteristica dell'agenzia è la stabilità dell'incarico e, quindi, il contratto di agenzia è un contratto di durata, di regola, a tempo indeterminato.
Sussistono molteplici differenze tra il procacciatore d'affari e l'agente: innanzitutto nel contratto di agenzia, l'agente si obbliga a favorire, nell'interesse di una parte, la conclusione di contratti in una specifica area territoriale, nel procacciamento d'affari, invece, il procacciatore non assume alcuna obbligazione rispetto alla conclusione del contratto tra le parti, ma la sua attività consiste nel promuovere e segnalare al preponente eventuali clienti interessati ad un'opportunità commerciale.
Così il procacciatore svolge un'attività, caratterizzata dall'assenza di subordinazione e dalla mancanza di stabilità, consistente nella segnalazione di potenziali clienti e nella raccolta di proposte di contratto ovvero di ordini, senza intervenire nelle trattative per la conclusione dei contratti, sicché il suo compito è limitato a mettere in contatto le parti su incarico di una di queste.
Ove, invece, il procacciatore d'affari operi stabilmente con un determinato preponente, la disciplina del rapporto risulta assimilabile piuttosto al rapporto di agenzia.
Una serie di indici qualificano l'agente, ovvero: la presenza di un incarico avente ad oggetto l'attività di promozione per la conclusione di contratti di vendita, compensata con provvigioni; il conferimento di un incarico duraturo; l'erogazione di provvigioni a scadenze trimestrali o comunque con periodicità regolare; l'entità considerevole delle somme riconosciute al collaboratore, idonea a confermare l'esistenza di un rapporto complesso, riguardante una pluralità di affari; la causale delle fatture riferita al periodo mensile di collaborazione e non ad uno o più affari determinati; la fatturazione con numero progressivo; il conferimento di un incarico riferito a tutti i possibili affari e non già ad un determinato affare.
Tribunale di Bari, sezione lavoro, sentenza 29 marzo 2023 n. 952

CONDOMINIO
Condominio negli edifici – Unità immobiliari danneggiate – Risarcimento danni
(Cc, articolo 1669, 2058)
Il condominio si configura come un ente di gestione sfornito di personalità giuridica distinta da quella dei singoli condomini, così che l'esistenza di un organo rappresentativo unitario, quale è l'amministratore, non priva i singoli partecipanti della facoltà di agire a difesa dei diritti, esclusivi e comuni, inerenti all'edificio condominiale: in sostanza, la legittimazione ad agire a tutela delle cose comuni trova fondamento nell'esercizio dei poteri inerenti al diritto di comproprietà di cui ciascun condomino è titolare.
Precisamente, secondo il Tribunale di Rimini, il principio della cosiddetta rappresentanza reciproca e della legittimazione sostitutiva - in base al quale il condomino può agire a tutela dei diritti comuni nei confronti dei terzi - non può essere invocato qualora il condomino, nel chiedere il rimborso anche delle spese anticipate dagli altri comproprietari rimasti estranei al giudizio, agisca non a tutela di un bene comune, bensì per far valere l'interesse personale alla reintegrazione del proprio patrimonio individuale; in tal caso il condomino non è legittimato ad agire in giudizio né ad interporre impugnazione per conto e nell'interesse dei condomini estranei al giudizio.
E così, qualora i vizi di costruzione di un edificio in condominio riguardino soltanto alcuni appartamenti e non anche le parti comuni, l'azione di risarcimento dei danni nei confronti del venditore-costruttore, ex articoli 1669 e 2058 c.c., ha natura personale e può essere esercitata da qualsiasi titolare del bene oggetto della garanzia, senza necessità che al giudizio partecipino gli altri comproprietari.
Tale azione deve essere proposta, peraltro, esclusivamente dai proprietari delle unità danneggiate, non sussistendo un'ipotesi di litisconsorzio necessario nei confronti degli altri condòmini, ancorché possa insorgere, in sede di esecuzione ed in modo riflesso, un'interferenza tra il diritto al risarcimento del danno in forma specifica riconosciuto in sentenza ed i diritti degli altri condòmini, dovendo i danneggiati procurarsi il consenso di questi ultimi per procedere, nella proprietà comune, ai lavori necessari ad eliminare i difetti, giacché tale condizionamento dell'eseguibilità della pronuncia costituisce soltanto un limite intrinseco della stessa, che non cessa comunque di costituire un risultato giuridicamente apprezzabile.
Tribunale di Rimini, sentenza 29 marzo 2023 n. 295

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Danno da vacanza rovinata – Risarcimento - Limiti
(Costituzione, articolo 2; Cc, articolo 2059; Dlgs 79/2011, articolo 46)
Il Tribunale di Ravenna è adito in tema di risarcimento del danno non patrimoniale da vacanza rovinata, previsto dall'articolo 46 Dlgs n. 79/2011 (Codice del Turismo), ossia del "danno correlato al tempo di vacanza inutilmente trascorso ed all'irripetibilità dell'occasione perduta", quale conseguenza dell'asserito inadempimento delle prestazioni oggetto di un pacchetto turistico.
Osserva così Il Giudice che il danno non patrimoniale da vacanza rovinata non è integrato da qualsiasi disagio, o contrarietà, avveratosi durante la fruizione del pacchetto turistico, ma solo da fatti eccedenti una certa soglia di offensività del bene-vacanza come momento di realizzazione della persona umana, tali da incidere in misura apprezzabile sul godimento del viaggio turistico come occasione di piacere, svago e riposo; i pregiudizi minori devono essere accettati in virtù del dovere di tolleranza che la convivenza impone.
Invero, il danno non patrimoniale da vacanza rovinata richiede la verifica della gravità della lesione e della serietà del pregiudizio patito dall'istante, al fine di accertarne la compatibilità con il cennato principio di tolleranza delle lesioni minime (precipitato, a propria volta, del dovere di solidarietà sociale previsto dall'articolo 2 Cost.), e si traduce in un'operazione di bilanciamento demandata al prudente apprezzamento del Giudice di merito, il quale, dalla constatazione della violazione della norma di legge che contempla il diritto oggetto di lesione, attribuisce rilievo solo a quelle condotte che offendono in modo sensibile la portata effettiva dello stesso.
Ai diritti inviolabili della persona non può negarsi la tutela civile offerta dal risarcimento dei danni non patrimoniali che assicura una protezione basilare, riconoscibile a tutti e idonea a svolgere una funzione solidaristico-satisfattiva, talora integrata - in presenza di una particolare gravità soggettiva dell'illecito e relativamente alla componente del danno morale - anche da una funzione individual-deterrente.
Tribunale di Ravenna, sentenza 29 marzo 2023, n. 238

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