Civile

Fondi neri all'estero: per l'imposizione personale basta la materiale riconducibilità dei depositi bancari al possessore

Nel contenzioso tributario che coinvolgeva gli eredi di Craxi, la Cassazione dà ragione al fisco che aveva recuperato a tassazione oltre 19 miliardi di vecchie lire depositate su un conto svizzero

di Aldo Natalini

In tema di recupero a tassazione di redditi di capitale maturati su somme detenute all'estero, ai fini dell'imposizione a titolo personale sul reddito delle persone fisiche ai sensi dell'articolo 1 del Tuir rileva la materiale riconducibilità al possessore, a prescindere dal titolo giuridico, delle liquidità versate sul conto corrente estero, non essendo necessario, a fronte della dimostrata disponibilità esclusiva dei depositi bancari, che il Fisco provi l'interversione del possesso.
Così la V Sezione tributaria della Suprema corte, con la sentenza n. 19832/2021 , pubblicata il 12 luglio scorso, che, rigettando il ricorso dei contribuenti, pone fine, dopo quasi trent'anni, ad un contenzioso tributario risalente agli anni di Tangentopoli e che vedeva coinvolti gli eredi di Bettino Craxi, morto ad Hammamet nel 2000 mentre pendeva il giudizio di primo grado innanzi alla locale Commissione tributaria provinciale, in relazione a due avvisi di accertamento che recuperavano a tassazione a carico dell'ex premier:
- per il 1992, quasi 19 miliardi di lire di imponibile, cui corrispondeva una maggiore IRPEF di quasi dieci miliardi di lire (oltre alle sanzioni) e redditi di capitali, maturati su somme detenute all'estero (non dichiarate nel modello 740/w) per un imponibile di quasi un miliardo, cui corrispondeva maggiore IRPEF pari a oltre 270 milioni di lire (oltre sanzioni);
- per il 1993, redditi di capitali maturati su somme detenute all'esterno (non indicate nel modello 740/W) per un imponibile di oltre 3,6 miliardi di lire, cui corrispondeva una maggiore IRPEF pari a poco più di un miliardo di lire (oltre sanzioni).
Il denaro era depositato su un conto corrente svizzero denominato "International Gold Coast" (già comparso nelle cronache giudiziarie dei processi Enimont e All Iberian, NdA).
Secondo i contribuenti, negli atti vi sarebbe stata la prova circa la riferibilità del conto ginevrino al Psi anziché al suo segretario pro tempore, sicché – sostenevano – gravava sull'Ufficio dimostrare la traslazione del possesso dei fondi "neri" alimentati da alcuni finanziatori dalla sfera occulta del partito politico (cui sarebbero stati retrocessi) a quella del patrimonio personale del suo leader cui erano stati notificati gli avvisi di accertamento.
La Cassazione, sulla scorta degli accertamenti del Fisco e degli esiti dei procedimenti penali acquisiti nel giudizio tributario, ha bocciato l'assunto difensivo che – spiega nella sentenza allegata – muove da un postulato fallace perché la CTR, con accertamento di fatto insuscettibile di essere rimesso in discussione nel giudizio di legittimità, in quanto adeguatamente motivato e privo di carenze sul piano logico-giuridico, ha maturato il convincimento opposto: ovvero che l'Agenzia delle entrate avesse ben dimostrato che quel conto estero era «materialmente riconducibile al Craxi» e non al partito anche se era stato gestito, per diversi anni, da Giorgio Tradati (amico di infanzia di Craxi).

Il conto svizzero, gli esiti dei procedimenti penali ed il recupero a tassazione
Il risalente contenzioso tributario incardinato sulle liquidità dei fondi neri depositati sul conto ginevrino aveva già visto un primo approdo in Cassazione, dieci anni fa, con la sentenza n. 20032/2011 con cui, decidendo sul ricorso degli eredi di Craxi, la Suprema corte aveva rimesso la causa al giudice di merito per un'adeguata (ri)valutazione della controversia e della motivazione.
La causa era stata riassunta dai contribuenti e la CTR di Milano, nel 2014, nel contraddittorio con l'Amministrazione finanziaria, aveva confermato entrambi gli atti impositivi sulla base delle seguenti considerazioni:
- gli atti dei procedimenti penali da cui muoveva il recupero a tassazione delineavano un quadro probatorio idoneo a suffragare le pretesi erariali, nel quale «domina la figura del signor Benedetto Craxi, la cui attività risulta documentata dalla movimentazione, per il tramite di terze persone, del conto corrente International Gold Coast, materialmente riconducibile al Craxi medesimo» (pagina 7 sentenza CTR Milano);
- in base alle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio da Giorgio Tradati, in qualità di persona sottoposta ad indagini, quel conto corrente è stato aperto, alimentato e gestito da Craxi che, a prescindere dal titolo giuridico, disponeva delle somme versate su di esso «comportandosi come se ne fosse il proprietario» (pagina 8, ibidem);
- posto che Craxi era l'unico referente effettivo nella gestione delle disponibilità confluite su quel conto corrente, non rileva la destinazione delle somme, ossia se esse fossero utilizzate per scopi personali del contribuente ovvero per finalità politiche connesse al partito di cui era segretario;
- il "percettore", cui spettava il relativo onere probatorio, non ha dimostrato di avere versato nuovamente al partito su quel conto, al fine di eludere la tassazione personale.

Il ricorso per cassazione degli eredi di Craxi
Avverso questa decisione avevano proposto ricorso per cassazione i contribuenti, insistendo sull'illegittimità degli avvisi nel rilievo che l'imposizione personale sul reddito presuppone che la disponibilità delle somme abbia luogo per conto proprio (uti singulus), per scopi non connessi alla carica di segretario di partito, con la conseguenza che, mancando l'animus possidendi uti singulus, la pretesa fiscale era da annullare. Inoltre – sostenevano con secondo motivo di ricorso – la sentenza di appello era priva di adeguata valutazione delle risultanze probatorie, non essendo sufficiente a tal fine lo scrutinio di un singolo interrogatorio (nella specie, quello di Tradati).

Il dictum: la rilevanza del possesso delle somme recuperate a tassazione
Entrambi i motivi di ricorso sono stati ritenuti infondati dalla Cassazione che ha giudicato la gravata sentenza della Commissione regionale, quale giudice del rinvio, immune da critiche, avendo minuziosamente elencato gli atti dei procedimenti penali paralleli (al processo tributario) che punteggiavano il suo percorso argomentativo ed avendo composto, con dovizia di elementi, un quadro probatorio (in cui spiccano le dichiarazioni a carico rese agli inquirenti da Giorgio Tradati) che conferma la pretesa erariale e pone in rilievo il ruolo cruciale di Craxi, il quale – a giudizio della CTR – almeno a partire dalla seconda metà degli anni ottanta del secolo scorso, aveva fatto aprire all'estero a suoi prestanome, movimentava e gestiva, tramite "terze persone", un conto corrente – id est: il conto International Gold Coast – al quale affluivano i denari che «qualche persona […] doveva far arrivare all'On. Craxi», laddove, invece, era rimasto privo di riscontro l'assunto difensivo del contribuente secondo cui il "percettore", al fine di eludere la tassazione personale, avrebbe successivamente retrocesso somme al partito.
Traguardando il contestato punto di motivazione del giudice di merito attraverso le norme codicistiche in tema di possesso – delle quali i ricorrenti avevano lamentato in cassazione la violazione o falsa applicazione – rileva la Suprema corte come Craxi, ad avviso della CTR, risultava il possessore (articolo 1140 del Codice civile) delle somme versate sul conto corrente estero, di cui aveva la disponibilità esclusiva, come si confà al proprietario. Il dictum del giudice tributario, sorretto da libero apprezzamento di elementi di fatto non rivalutabili in sede di legittimità, nega in ragide il possesso (o quantomeno il "compossesso") di quelle somme da parte del partito politico sicché – conclude la Cassazione – è priva di fondamento la tesi dei ricorrenti circa la necessità che l'Agenzia delle entrate, per costruire sul piano fattuale la propria pretesa, dovesse dimostrare la circostanza essenziale dell'interversione del possesso (articolo 1141 del Cc) dei depositi bancari svizzeri, vale a dire la traslazione del possesso di quei fondi dalla sfera (occulta) del patrimonio del partito a quella (altrettanto occulta) del patrimonio del suo segretario, quale presupposto dell'imposizione a titolo personale sul reddito delle persone fisiche (articolo 1 TUIR).

La centralità delle dichiarazioni accusatorie
Da ultimo la sezione tributaria della Cassazione ha ritenuto immune da critiche il ragionamento del giudice di merito anche in relazione alla centralità attribuita alle dichiarazioni di Tradati, poiché, sotto questo profilo, la decisione della CTR è aderente al principio di diritto – oggi ribadito e fatto proprio – già enunciato dalla sentenza di rinvio (Cassazione, sezione V civile n. 20032/2011) la quale a sua volta ha richiamato il precedente (Cassazione, sezione V civile, n. 9320/2003) reso in un caso in cui si doveva valutare se il verbale di interrogatorio del medesimo Tradati reso nel corso delle indagini preliminari fosse idoneo, da solo, a costituire prova dell'avvenuto trasferimento dei capitali all'estero. Nell'occasione la Corte ha ribadito che l'individuazione di elementi di prova ritenuti rilevanti per la decisione è prerogativa del giudice tributario, che ha solo il dovere di spiegare il procedimento di ordine logico e giuridico che lo ha condotto a tale convincimento e che, in mancanza di un esplicito divieto di legge, il giudice di merito ben può utilizzare anche prove raccolte in un diverso procedimento ovvero dichiarazioni rilasciate da terzi alla polizia tributaria od all'autorità giudiziaria ed inserite nel processo verbale della guardia di finanza.

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