Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 2 e il 5 gennaio 2023

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa prima settimana dell'anno 2023 le Corti d'Appello si pronunciano in materia di copertura assicurativa RCA (per i sinistri su aree private), di rinunce e transazioni del lavoratore, sulle conseguenze sottese allo scioglimento di un consiglio comunale per infiltrazioni mafiose e, infine, sul risarcimento danni per lesione all'onore e alla reputazione.
Da parte loro i Tribunali trattano del principio di presunzione di conoscenza (ex articolo 1335 c.c.), del riparto delle spese funerarie, della responsabilità degli istituti scolastici per i danni riportati dagli allievi, della responsabilità precontrattuale, dei limiti all'esercizio del diritto di cronaca e, infine, del contratto preliminare.


CIRCOLAZIONE STRADALE
Circolazione stradale – Sinistro – Copertura assicurativa (Cc, articolo 2054; Dlgs 209/2005, articolo 122; Dlgs 285/1992)
Adita in materia di sinistri stradali la Corte d'Appello di Palermo è chiamata a pronunciarsi sulla corretta esegesi dell'articolo 122 Dlgs n. 209/2005 (Codice delle Assicurazioni), e quindi a chiarire se l'assicuratore sia tenuto al risarcimento danni solo ove il sinistro sia avvenuto su strade di uso pubblico o su aree a queste equiparate.
La Corte si riporta ad un'interpretazione estensiva della nozione di "circolazione" su aree "equiparate" alle strade di uso pubblico affermando così che il criterio discretivo a cui dare rilievo ai fini della determinazione dell'estensione della copertura assicurativa per la responsabilità civile derivante dalla circolazione di autoveicoli deve rinvenirsi nell'uso del veicolo conforme (o meno) alla sua funzione abituale.
A tale stregua, per l'assicurato-danneggiante rimane, dunque, non coperto dall'assicurazione solo il caso dell'utilizzo del veicolo in contesti particolari e avulsi dal concetto di circolazione sotteso alla disciplina ex articolo 2054 c.c. e a quella posta dal Dlgs n. 209/2005, e quindi – a prescindere dal tipo di accessibilità del luogo su cui avvenga l'uso del mezzo di trasporto – un impiego del veicolo in modo distorto rispetto alle sue caratteristiche.
Ipotesi, questa, che si ravvisa, essenzialmente, nell'utilizzazione di un mezzo non rientrante tra i veicoli disciplinati dal Codice della Strada (Dlgs n. 285/1992), oppure nell'utilizzazione anomala del veicolo, non conforme alle sue caratteristiche e alla sua funzione abituale, come allorquando venga, ad esempio, utilizzato come arma per investire e uccidere persone.
Tale interpretazione estensiva della nozione di "circolazione" su aree equiparate alle strade di uso pubblico, di cui all'articolo 122 Codice delle Assicurazioni, oltre che costituzionalmente orientata, si appalesa conforme al diritto dell'Unione Europea come interpretato dalla Corte di Giustizia.
Corte di Appello di Palermo, sezione III, sentenza 3 gennaio 2023 n. 1

LAVORO
Lavoro subordinato - Rinunzie e transazioni – Validità
(Cc, articolo 2113; Cpc, articoli 185, 409, 410, 411, 412 ter, 412 quater)
Secondo la Corte d'Appello di Bari l'invalidità delle rinunzie e transazioni aventi per oggetto il diritto del prestatore di lavoro derivante da disposizioni inderogabili della legge e dei contratti collettivi concernenti i rapporti di cui all'articolo 409 c.p.c. trova il suo limite d'applicazione nella previsione di cui all'ultimo comma dell'articolo 2113 c.c..
Secondo tale comma, infatti, sono comunque salve le conciliazioni intervenute ai sensi degli articoli 185, 410 e 411, 412 ter e quater c.p.c..
Precisamente, mentre la rinunzia, in quanto negozio unilaterale non recettizio, sortisce l'effetto dell'estinzione dei diritti patrimoniali connessi al rapporto di lavoro e già acquisiti al patrimonio del lavoratore, anche in assenza del beneficiario, la transazione, in quanto contratto, richiede l'incontro delle volontà di tutte le parti interessate e la contestuale sottoscrizione del verbale di conciliazione.
Il negozio transattivo stipulato in sede conciliativa, giudiziale o stragiudiziale, in forza del richiamato ultimo comma dell'articolo 2113 c.c., è assoggettato ad un regime giuridico derogatorio della regola generale dell'impugnabilità nel termine decadenziale di sei mesi, in quanto l'intervento del terzo investito di una funzione pubblica (Giudice, autorità amministrativa, associazione di categoria) è ritenuto idoneo a superare la presunzione di non libertà del consenso del lavoratore.
La sede "protetta", ove viene redatto e sottoscritto dalle parti il verbale di accordo, offre invero maggiori garanzia e protezione in ordine alla presenza di volontà effettiva in capo alla cosiddetta parte debole di aderire al testo dell'accordo, cosicchè la medesima, scevra da pressioni e/o raggiri, sia in grado di vagliare liberamente i benefici eventualmente conseguenti alla stipula, e, dunque, prestare il proprio consenso.
Pertanto, qualora non venga dimostrato che la volontà espressa dal lavoratore sia viziata, e qualora non siano sussistenti le comuni cause di nullità dell'atto, le conciliazioni e le rinunce che intervengono nelle sedi protette conferiscono all'atto in questione un imprimatur di sostanziale definitività.
Corte di Appello di Bari, sezione lavoro, sentenza 4 gennaio 2023 n. 2119/2022

ENTI LOCALI
Consiglio comunale – Infiltrazioni mafiose – Scioglimento - Conseguenze
(Dlgs 267/2000, articolo 143)
Sottolinea in sentenza la Corte d'Appello di Catanzaro come il provvedimento di scioglimento del consiglio comunale per infiltrazione mafiosa (reso ex articoo 143 Dlgs n. 267/2000 – TUEL) non sia di tipo sanzionatorio, ma preventivo, ragion per cui è sufficiente che gli elementi raccolti siano indicativi di un condizionamento dell'attività degli organi amministrativi e che tale condizionamento sia riconducibile all'influenza e all'ascendente esercitati da gruppi di criminalità organizzati.
L'incandidabilità che ne deriva non è automatica, ma richiede una valutazione delle singole posizioni, in nome del diritto all'elettorato passivo, al fine di verificare che collusioni e condizionamenti abbiano determinato una cattiva gestione della cosa pubblica.
Lo scopo del Legislatore è, invero, quello di arginare il pervicace fenomeno dell'infiltrazione della criminalità di stampo mafioso all'interno dell'apparato burocratico degli enti locali attraverso la predisposizione di un peculiare procedimento di verifica dell'esistenza di possibili collegamenti tra i consigli Comunali, ovvero tra i singoli amministratori o dipendenti dell' Amministrazione, e le organizzazioni criminali.
La misura (extrema ratio) della incandidabilità disciplinata dal citato articolo 143, comma 11, ha funzione preventiva, atteggiandosi quale misura interdittiva volta a porre rimedio al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto dell'ente possano aspirare a ricoprire cariche identiche, o simili, a quelle precedentemente rivestite, e in tal modo perpetuare potenzialmente l'ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali.
Ai fini della pronuncia di incandidabilità non si richiede necessariamente la prova di comportamenti idonei a determinare la responsabilità personale, anche penale, degli amministratori o ad evidenziare il loro specifico intento di assecondare gli interessi della criminalità organizzata, risultando sufficiente l'acquisizione di elementi idonei a far presumere l'esistenza di collegamenti, o di forme di condizionamento, tali da alterare il procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi o amministrativi del comune o della provincia, da compromettere il buon andamento e l'imparzialità dell'amministrazione nonché il regolare funzionamento dei servizi pubblici, o da arrecare grave pregiudizio alla sicurezza pubblica.
Corte di Appello di Catanzaro, sezione I, sentenza 4 gennaio 2023 n. 1

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Onore e reputazione – Lesione – Risarcimento danni
(Costituzione, articolo 2; Cc, articoli 1226, 2043, 2059)
Secondo la Corte d'Appello di Milano poiché l'onore e la reputazione costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti, la loro lesione legittima sempre la persona offesa a domandare il ristoro del danno non patrimoniale, quand'anche il fatto illecito non integri gli estremi di alcun reato.
Precisamente, l'onore e la reputazione – quest'ultima identificandosi con il senso della dignità personale in conformità all'opinione del gruppo sociale, secondo il particolare contesto storico - costituiscono diritti della persona costituzionalmente garantiti e, pertanto, alla luce di un'interpretazione costituzionalmente orientata degli articoli 2043 e 2059 c.c., la loro lesione è suscettibile di risarcimento del danno non patrimoniale, a prescindere dalla circostanza che il fatto lesivo costituisca o meno reato.
Anche la Corte di Cassazione può conoscere e valutare l'offensività delle frasi che si assumono lesive della altrui reputazione, essendo compito del Giudice di legittimità procedere, in primo luogo, a considerare la sussistenza, o meno, della materialità della condotta contestata e, quindi, della portata offensiva delle frasi ritenute diffamatorie.
Il danno arrecato alla reputazione deve essere inteso in senso unitario senza distinguere tra "reputazione personale", da un lato, e "reputazione professionale", dall'altro lato, trovando la tutela di tale diritto il suo fondamento nell'articolo 2 Cost. ed in particolare nel rilievo che esso attribuisce alla dignità della persona in quanto tale.
Il danno è pertanto ravvisabile – e come tale deve essere risarcito – nella diminuzione della considerazione della persona da parte dei consociati in genere o di settori, o categorie, di essi con le quali quella stessa persona abbia ad interagire.
Ai fini della liquidazione del risarcimento del danno, occorre valutare, in applicazione di un legittimo procedimento presuntivo, la portata dell'obiettivo pregiudizio alla reputazione, personale e professionale, tenendo conto anche dell'autorevolezza, notorietà e diffusione del mezzo utilizzato.
Tale valutazione, in ogni caso, non potrà che essere equitativamente determinata ai sensi dell'articolo 1226 c.c..
Corte di Appello di Milano, sezione II, sentenza 4 gennaio 2023 n. 7

PRESUNZIONE DI CONOSCENZA
Presunzione di conoscenza – Operatività – Limiti
(Cc, articolo 1335)
Secondo il Tribunale di Pisa la spedizione di un atto al corretto indirizzo del destinatario non basta, da sola, per far presumere che il destinatario l'abbia conosciuto.
A tal fine è invece necessario che il plico sia effettivamente pervenuto a destinazione, in quanto il principio di presunzione di conoscenza, posto dall'articolo 1335 c.c., opera per il solo fatto oggettivo dell'arrivo della dichiarazione nel luogo di destinazione, ma non quando l'agente postale, ancorché errando, l'abbia rispedito al mittente, dichiarando essere il destinatario sconosciuto.
Affinché, dunque, possa operare la presunzione di conoscenza della dichiarazione diretta a persona determinata stabilita dall'articolo 1335 c.c., occorre la prova, il cui onere incombe sul dichiarante, che la stessa sia stata recapitata all'indirizzo del destinatario, e cioè, nel caso di corrispondenza, che questa sia stata consegnata presso detto indirizzo.
Si giustifica così perché, ai fini dell'operatività della detta presunzione, sia stato ritenuto insufficiente un tentativo di recapito ad opera dell'agente postale, tutte le volte in cui questo, ritenuto - sia pure a torto - il destinatario sconosciuto all'indirizzo indicato nella raccomandata, ne abbia disposto il rinvio al mittente, stante la mancanza, in casi siffatti, di ogni concreta possibilità per il soggetto al quale la lettera è diretta, di venirne a conoscenza. Si è segnatamente esclusa la possibilità di richiamare, in senso contrario, la disciplina del recapito delle raccomandate con deposito delle stesse presso l'ufficio postale e rilascio dell'avviso di giacenza, evidenziandosi come, in tal caso, sussista comunque la possibilità di conoscenza del contenuto della dichiarazione, tanto più che questa si ritiene pervenuta all'indirizzo indicato solo dal momento del rilascio dell'avviso di giacenza del plico.
Tali principi, enunciati con riguardo all'invio della corrispondenza, si prestano ad operare anche in relazione alle notifiche degli atti processuali, tutte le volte in cui sia in gioco un effetto di carattere sostanziale degli stessi.
Con la precisazione che un telegramma, anche in mancanza di avviso di ricevimento, costituisce prova certa della spedizione, attestata dall'ufficio postale attraverso la relativa ricevuta, dalla quale consegue la presunzione, fondata sulle univoche e concludenti circostanze della spedizione anzidetta e dell'ordinaria regolarità del servizio postale e telegrafico, di arrivo al destinatario e di conoscenza dell'atto.
Tribunale di Pisa, sentenza 2 gennaio 2023 n. 2

SUCCESSIONI E DONAZIONI
Spese funerarie – Passivo ereditario – Eredi
(Cc, articolo 752)
Precisa in sentenza l'adito Tribunale di Sassari che le spese funerarie, quali oneri derivante dal decesso del testatore, scontano il medesimo regime giuridico dei debiti ereditari (articolo 752 c.c.).
Precisamente, le spese per le onoranze funebri rientrano tra i pesi ereditari che, sorgendo in conseguenza dell'apertura della successione, costituiscono, unitamente ai debiti del defunto, il passivo ereditario gravante sugli eredi, ex articolo 752 c.c., sicchè colui che ha anticipato tali spese ha diritto di ottenerne il rimborso da parte dei coeredi, purchè essi non abbiano manifestato una volontà contraria alla sua attività gestoria.
Il mancato dissenso, tuttavia, non giustifica anche il rimborso di spese incongrue ed eccessive, non potendosi ritenere che il coerede abbia l'onere di manifestare una volontà contraria anche sul "quantum", con la conseguenza che il Giudice del merito, nella quantificazione delle spese da rimborsare a chi le ha anticipate, è tenuto a verificare quale sia la somma congrua alla luce delle tariffe praticate da altre agenzie per lo stesso servizio.
E quindi, una volta correttamente ricondotta l'attività di colui che anticipa le spese funerarie nell'ambito della gestione di affari altrui, deve comunque escludersi che il mero disinteresse di un parte consenta di far gravare su di essa le spese che comunque la sentenza riconosca come eccessivamente onerose.
Precisamente, il cennato riferimento alla volontà contraria incide sull'an del diritto al rimborso, dovendosi sostenere che la manifestazione di una volontà contraria da parte degli altri eredi precluda a monte il diritto al rimborso, ma non impedisce di dovere sempre verificare se le somme spese del gestore siano congrue e comunque non eccessive, non potendosi invece ritenere che il dissenso espresso degli altri coeredi debba essere manifestato anche in merito all'ammontare delle spese sostenute o da sostenere.
Ne discende che, pur quando il Giudice di merito abbia rilevato la mancata opposizione alla conclusione del contratto per le onoranze funebri da parte di uno degli eredi, il contestuale rilievo della eccessività delle spese rende necessario verificare quale sia la somma ritenuta congrua alla luce delle richieste economiche di altre agenzie funebri in grado di prestare lo stesso servizio.
Tribunale di Sassari, sentenza 2 gennaio 2023 n. 3

SCUOLA E ISTRUZIONE
Istituto scolastico – Vigilanza sugli allievi – Responsabilità
(Cc, articolo 2048)
In sentenza il Tribunale di Firenze afferma, in punto di diritto, il principio secondo cui l'accoglimento della domanda di iscrizione, con la conseguente ammissione dell'allievo a scuola, determina l'instaurazione di un vincolo negoziale dal quale sorge a carico dell'istituto l'obbligazione di vigilare sulla sicurezza e l'incolumità del medesimo allievo nel tempo in cui questi fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni e, quindi, di predisporre gli accorgimenti necessari affinché non venga arrecato danno agli alunni in relazione alle circostanze del caso concreto. Tali circostanze possono essere ordinarie, come l'età degli studenti, che impone un controllo crescente con la diminuzione della stessa età, od eccezionali, implicando, allora, la prevedibilità di pericoli derivanti dalle cose e da persone, anche estranee alla scuola e non conosciute dalla direzione didattica, ma autorizzate a circolarvi liberamente per il compimento della loro attività.
L'istituto scolastico è tenuto poi a predisporre tutti gli accorgimenti necessari ed idonei ad evitare i danni che l'alunno possa provocare a sé stesso, sia all'interno dell'edificio scolastico che nelle sue pertinenze, di cui abbia la custodia.
Ne consegue che, al verificarsi di un danno cagionato dall'alunno a se stesso, la responsabilità dell'Istituto scolastico e dell'insegnante ha natura contrattuale. Da un lato, il danneggiato deve provare esclusivamente che l'evento dannoso si è verificato nel corso dello svolgimento del rapporto, dall'altro lato, sulla scuola incombe l'onere di dimostrare che esso è stato determinato da causa non imputabile, né all'istituto medesimo, né agli insegnanti e precettori.
In ipotesi, invece, di infortunio provocato dal fatto illecito di un alunno a danno di altro alunno si è nel campo della responsabilità extracontrattuale.
La norma di riferimento è rappresentata dall'articolo 2048 c.c. ai sensi del quale la responsabilità del precettore, e di riflesso quella dell'istituto, è presunta, salvo la prova di non aver potuto impedire il fatto.
E dunque, sull'allievo grava l'onere della prova dell'illecito commesso da altro allievo, quale fatto costitutivo della sua pretesa, mentre è a carico della scuola la prova del fatto impeditivo, e cioè dell'inevitabilità del danno nonostante la predisposizione, in relazione al caso concreto, di tutte le cautele idonee a evitare il fatto.
Tribunale di Firenze, sezione III, sentenza 3 gennaio 2023 n. 14

RESPONSABILITÀ PRECONTRATTUALE
Responsabilità precontrattuale – Fattispecie – Natura giuridica
(Cc, articolo 1337)
La responsabilità precontrattuale – chiarisce in sentenza il Tribunale di Latina - trova fondamento nell'articolo 1337 c.c., il quale impone alle parti di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative e nella formazione del contratto.
L'obbligo sancito da tale norma deve essere inteso in senso oggettivo, ossia come obbligo di correttezza, sicché non è necessario, affinché siano integrati gli estremi della responsabilità precontrattuale, che il comportamento della parte sia connotato da una condizione soggettiva di mala fede, consistente nell'intenzione di arrecare pregiudizio alla rispettiva controparte, ma è sufficiente anche una condotta non caratterizzata dal proposito di nuocere, sia essa volontaria o meramente colposa, purché oggettivamente contraria a buona fede.
In particolare, per ritenere integrata la responsabilità precontrattuale occorre che tra le parti siano in corso delle trattative; che queste siano giunte ad uno stadio idoneo ad ingenerare, nella parte che invoca l'altrui responsabilità, il ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto; che esse siano state interrotte, senza un giustificato motivo, dalla parte cui si addebita detta responsabilità; che, infine, pur nell'ordinaria diligenza della parte che invoca la responsabilità, non sussistano fatti idonei ad escludere il suo ragionevole affidamento sulla conclusione del contratto.
La responsabilità precontrattuale, peraltro, non è limitata al caso della rottura ingiustificata delle trattative, ma, consistendo l'articolo 1337 c.c. in una clausola generale, può risultare da ogni comportamento sleale o contrario a correttezza che abbia significativamente inciso sulle trattative.
Sotto il profilo della sua natura giuridica, poi, l'ipotesi qui in esame deve essere ricondotta nell'alveo della responsabilità aquiliana, con la conseguenza per cui qualora gli estremi del comportamento illecito siano integrati dal recesso ingiustificato di una parte, non grava su chi recede l'onere della prova che il proprio comportamento corrisponda ai canoni di buona fede e correttezza, incombendo, viceversa, sull'altra parte l'onere di dimostrare che il recesso esuli dai limiti della buona fede e correttezza.
Tribunale di Latina, sezione I, sentenza 3 gennaio 2023 n. 4

DIRITTO DI CRONACA
Diritto di cronaca – Esercizio – Limiti
(Costituzione, articoli 2, 21)
Secondo il Tribunale di Roma nel bilanciamento fra libertà di pensiero (con il suo corollario del diritto-dovere di informare ed essere informati) (articolo 21 Cost.) e tutela dell'onore e della reputazione, prerogative antagoniste e parimenti dotate di copertura costituzionale (articolo 2 Cost.), il diritto di cronaca risulta prevalente a condizione che le informazioni diffuse rispondano a requisiti di: a) verità oggettiva, o anche soltanto putativa, purché frutto di un serio e diligente lavoro di ricerca (che non sussiste quando, pur essendo veri i singoli fatti riferiti, siano dolosamente o anche soltanto colposamente taciuti altri fatti, tanto strettamente ricollegabili ai primi da mutarne completamente il significato; ovvero quando i fatti riferiti siano accompagnati da sollecitazioni emotive o da sottintesi, accostamenti, insinuazioni, allusioni o sofismi obiettivamente idonei a creare nella mente del lettore rappresentazioni alterate della realtà oggettiva); b) sussistenza di un interesse pubblico all'informazione, cosiddetta pertinenza; c) esposizione e valutazione dei fatti connotata da modalità appropriate e contenute (cosiddetta continenza), così che lo scritto non ecceda lo scopo informativo da conseguire, sia improntato a serena obiettività, con esclusione di ogni preconcetto intento denigratorio, e sia redatto nel rispetto di un canone minimo di dignità cui ha diritto ogni persona umana, indipendentemente dall'esecrabilità delle condotte ad essa ascrivibile.
Si tratta di requisiti tra loro strettamente connessi in composizione variabile a seconda che si eserciti un diritto di cronaca o un diritto di critica giornalistica.
Sempre in tema di esercizio dell'attività giornalistica, il carattere diffamatorio di un articolo non deve essere valutato sulla base di una lettura atomistica delle singole espressioni, ma con riferimento all'intero contesto della comunicazione, comprensiva di titoli e sottotitoli e di tutti gli altri elementi che rendono esplicito, nell'immediatezza della rappresentazione e della percezione visiva, il significato di un articolo, come tali in grado di fuorviare e suggestionare i lettori più frettolosi, dovendosi dunque riconoscere particolare rilievo alla titolazione, in quanto specificamente idonea, in ragione della sua icastica perentorietà, ad impressionare e fuorviare il lettore, ingenerando giudizi lesivi dell'altrui reputazione.
Tribunale di Roma, sezione XVIII, sentenza 3 gennaio 2023 n. 130

CONTRATTI
Contratto preliminare - Promissario acquirente – Immissione nel possesso – Effetti

Nella sentenza in esame il Tribunale di Milano è chiamato a pronunciarsi in tema di stipula di un contratto preliminare di compravendita di un immobile.
Come noto, qualora le parti, dopo aver stipulato un contratto preliminare, concludano in seguito il contratto definitivo, quest'ultimo costituisce l'unica fonte dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto e non mera ripetizione del primo, in quanto il contratto preliminare resta superato da questo, la cui disciplina può anche non conformarsi a quella del preliminare, salvo che i contraenti non abbiano espressamente previsto che essa sopravviva.
La presunzione di conformità del nuovo accordo alla volontà delle parti può, nel silenzio del contratto definitivo, essere vinta soltanto dalla prova – la quale deve risultare da atto scritto, ove il contratto abbia ad oggetto beni immobili – di un accordo posto in essere dalle stesse parti contemporaneamente alla stipula del definitivo, dal quale risulti che altri obblighi o prestazioni, contenute nel preliminare, sopravvivono, dovendo tale prova essere data da chi chieda l'adempimento di detto distinto accordo.
E così, in caso di costituzione progressiva di un rapporto giuridico attraverso la stipulazione di una pluralità di atti successivi, la fonte esclusiva dei diritti e delle obbligazioni inerenti al particolare negozio voluto va comunque individuata nel contratto definitivo.
In particolare, osserva in sentenza il Tribunale di Milano come la stipula di un contratto preliminare di compravendita di un immobile, anche quando seguita dall'immissione nel possesso del bene del promissario acquirente, non faccia venir meno la qualità di possessore del promittente venditore il quale è ugualmente legittimato passivo in relazione agli obblighi risarcitori rinvenienti dall'immobile stesso.
E così, nel caso di esecuzione di lavori non autorizzati dal condominio, quest'ultimo può ottenere la condanna del proprietario dell'immobile alla cessazione delle opere, e al ripristino della situazione precedente, anche se il medesimo immobile era in possesso del suo promissario acquirente.
Tribunale di Milano, sezione XIII, sentenza 4 gennaio 2023 n. 75

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©