Civile

Assegno di traenza, la banca risponde del pagamento al non legittimato solo se la contraffazione è manifesta

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 17769 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

La banca non risponde per aver pagato un assegno di traenza non trasferibile ad un soggetto non legittimato in assenza di elementi di contraffazione percepibili a vista. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 17769 depositata oggi, accogliendo il ricorso di Poste italiane condannata in appello a ristorare Unipol Sai dell'intera cifra versata oltre agli interessi.

Per la Corte di Appello di Roma invece Poste era responsabile dell'errore commesso. In particolare, il portatore del titolo era stato identificato attraverso un documento di identità e tramite il codice fiscale, privo, dunque, di fotografia. Inoltre, non era stato allegato né dimostrato che il titolo fosse stato girato per l'incasso da un cliente abituale. L'assegno poi non risultava "collegato ad introiti e ad un'attività economica accertata". Secondo il giudice di secondo grado infatti per dar corso al pagamento di un assegno di traenza in favore di un soggetto con il quale la banca non ha un rapporto di clientela abituale, sarebbe stato necessario "effettuare specifici controlli presso i distinti comuni di residenza e di nascita" indicati nel documento esibito, ovvero presso l'Ufficio delle entrate, «al fine di accertare l'autenticità di quanto esibito all'incasso».

Una lettura totalmente bocciata dalla VI Sezione civile secondo cui la responsabilità del banchiere "si configura, in particolare, solo ove l'eventuale alterazione o falsificazione sia verificabile con la diligenza richiesta al bancario medio, e sia cioè riscontrabile ictu oculi".
Mentre esula dai parametri cui deve conformarsi la diligenza professionale, richiesta al
banchiere dall'articolo 1176, comma 2, c.c., la raccomandazione, contenuta nella circolare ABI del 7 maggio 2001 indirizzata agli associati, che segnala "l'opportunità per la banca negoziatrice dell'assegno di traenza di richiedere due documenti d'identità muniti di fotografia al presentatore del titolo". Secondo la Corte, infatti, "a tale prescrizione non può essere riconosciuta alcuna portata precettiva, e tale regola prudenziale di condotta non si rinviene negli standard valutativi di matrice sociale ovvero ricavabili dall'ordinamento positivo, posto che l'attività di identificazione delle persone fisiche avviene normalmente tramite il riscontro di un solo documento d'identità personale" (Cass. 19 dicembre 2019, n. 34107).

Allo stesso modo, prosegue la decisione, a fronte dell'esibizione di documenti di riconoscimento - che la Corte di appello non riferisce recassero segni di contraffazione -, e di una firma, sul titolo, che "non si assume dovesse sospettarsi, per evenienze specifiche, essere apocrifa, non può sostenersi che l'obbligo di diligenza del bonus argentarius implicasse, per la banca negoziatrice, l'effettuazione di complesse indagini dirette a verificare l'autenticità dei documenti di identità, o ad assicurarsi che l'incasso dell'assegno fosse «collegato ad un'accertata attività economica».

Tanto meno, aggiunge la Cassazione, appare rilevante la proclamata inesistenza di un «rapporto di clientela abituale». Se, infatti, come si è detto, la responsabilità della banca che paga l'assegno a soggetto non legittimato va verificata in relazione alle cautele suggerite dalle circostanze del caso ed essa non si configura in assenza di una alterazione o falsificazione percettibile ictu oculi, "è improprio imputare a Poste Italiane una qualche negligenza nell'identificazione del presentatore del titolo qualora non si dia previamente conto degli elementi di fatto che avrebbero dovuto indurla a ipotizzare, in concreto, e non in base a generiche petizioni di principio, la falsificazione della firma del beneficiario o la contraffazione dei documenti di riconoscimento esibiti al momento di negoziare l'assegno".

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