Società

Passaggi generazionali: il tema del trasferimento mortis causa di partecipazioni in società di capitali

Il ricambio generazionale presuppone il necessario momento della cessione della funzione imprenditoriale dalla generazione presente a quella emergente, al fine di garantire la continuità dell'impresa.

di Francesco Campochiaro e Daniele Iorio*

La transizione d'impresa tra persone della stessa famiglia ma di generazioni diverse, costituisce una fase delicata nel ciclo di vita aziendale. Il passaggio generazionale è una questione piuttosto ostica per gli imprenditori che sono costretti a confrontarsi con conflittualità connesse alla modifica della governance aziendale e della compagine societaria.

Il ricambio generazionale presuppone il necessario momento della cessione della funzione imprenditoriale dalla generazione presente a quella emergente, al fine di garantire la continuità dell'impresa.

Concentrandoci sul caso di morte dell'imprenditore, socio di società di capitali, tale momento aprirebbe alla successione nelle partecipazioni societarie da parte degli eredi, cui potrebbero seguire scenari non sempre debitamente valutati dal de cuius.

Partendo da un'analisi del dato normativo, in tema di società per azioni l'art. 2355 bis cod. civ. prevede che "(n)el caso di azioni nominative ed in quello di mancata emissione dei titoli azionari, lo statuto può sottoporre a particolari condizioni il loro trasferimento e può, per un periodo non superiore a cinque anni dalla costituzione della società o dal momento in cui il divieto viene introdotto, vietarne il trasferimento". Da un esame a contrario della richiamata disposizione possiamo dunque desumere che le azioni sono liberamente trasferibili, fatto salvo il caso in cui lo statuto sottoponga a "particolari condizioni" il loro trasferimento.

In tema di società a responsabilità limitata, invece, l'art. 2469, comma 1, cod. civ., afferma che "(l)e partecipazioni sono liberamente trasferibili per atto tra vivi e per successione a causa di morte, salvo contraria disposizione dell'atto costitutivo". La lettera della norma non lascia adito a dubbi ovvero ad interpretazioni difformi: le quote sono liberamente trasferibili, salvo che lo statuto sociale non contenga una "contraria disposizione".

Al netto di quanto indicato è possibile dunque affermare, con riferimento ai due tipi di società di capitali maggiormente diffusi sul territorio, che in tema di trasferimento delle partecipazioni societarie vige il principio di libera circolazione secondo cui le partecipazioni possono liberamente circolare, sia per atti inter vivos che mortis causa.

In caso di morte di un socio, pertanto, la propria partecipazione viene trasferita all'erede, dietro unica condizione costituita dall'accettazione dell'eredità.

Il regime della libera circolazione può però essere derogato da parte dei soci di una società di capitali, che hanno la facoltà di definire convenzionalmente delle limitazioni alla trasferibilità delle partecipazioni di loro titolarità, anche in favore dei propri eredi. Tali limitazioni potrebbero essere contenute ab origine nell'atto costitutivo o nello statuto della società, ovvero potrebbero essere inserite in un secondo momento, durante societate, previa delibera dell'assemblea dei soci da adottarsi con le maggioranze rafforzate previste in caso di modifiche statutarie.

Ad oggi è sempre più ampia la diffusione di clausole statutarie che tendono ad impedire, ovvero a subordinare ad un placet dei soci, degli organi sociali e in caso di società a responsabilità limitata financo dei terzi, il trasferimento delle partecipazioni. Si tratta, in particolare, delle cd. clausole di lock-up (relative o assolute) e di gradimento (mero e non mero), che consentono ai soci ‘superstiti' di preservare la compagine sociale e di impedire l'ingresso dell'erede del socio defunto.

A seguito dell'apertura della successione di un socio di società di capitali, andrà pertanto anzitutto verificata l'esistenza di clausole statutarie limitative della circolazione mortis causa. In mancanza, l'erede, previa accettazione dell'eredità, diventerà titolare delle partecipazioni, acquistando peraltro la legittimazione all'esercizio dei diritti sociali.

Diversamente, qualora il libero trasferimento delle partecipazioni sia compresso da apposite clausole statutarie, dovrà comunque essere rispettata la disciplina legale che si è preoccupata di preservare in ogni caso l'interesse dei successori mortis causa del socio premorto a non vedersi ‘espropriato' dai soci superstiti il valore della partecipazione. Deve infatti essere garantito in favore dell'erede il valore monetario delle partecipazioni del socio defunto, con discipline differenti a seconda che si tratti di azioni ovvero quote.

In conclusione, risulta doveroso chiarire che:

(i) in tema di società per azioni, il Legislatore ha previsto la possibilità di vietare il trasferimento delle azioni per un periodo non superiore a cinque anni, rispettivamente dalla costituzione della società o dall'introduzione del vincolo (art. 2355 bis, comma 1, cod. civ.).

L'efficacia di eventuali clausole che sottopongono a particolari condizioni il trasferimento mortis causa della partecipazione è assoggettata, ex art. 2355 bis, commi 2 e 3, cod. civ., (a) alla contestuale previsione di un obbligo di acquisto a carico della società o degli altri soci ovvero (b) al diritto di ‘recesso' in favore del socio al quale sia impedito di entrare a far parte della compagine sociale;

(ii) in tema di società a responsabilità limitata, l'art. 2469 cod. civ. prevede invece che lo statuto possa contemplare l'intrasferibilità delle partecipazioni o assoggettarne il trasferimento al gradimento di organi sociali, di soci o anche di terzi, anche senza previsione di condizioni o limiti, ovvero che possa dettare condizioni o limiti che nel caso concreto impediscono il trasferimento a causa di morte. In tal caso non è espressamente previsto un limite temporale, ma all'art. 2469, comma 2, cod. civ. il Legislatore ha previsto che nel caso in cui le previsioni convenzionali impediscano il trasferimento a causa di morte, "il socio o i suoi eredi possono esercitare il dritto di recesso". Secondo la dottrina e la giurisprudenza maggioritaria, a differenza delle analoghe previsioni della società per azioni, pur in assenza della previsione del diritto alla liquidazione in capo ai successori mortis causa del socio premorto, la clausola limitativa contenuta nello statuto di società a responsabilità limitata dovrà ritenersi in ogni caso valida ed efficace.

Il diritto di recesso avrà infatti natura legale, discendendo direttamente dalla disposizione di cui all'art. 2469, comma 2, cod. civ.

*a cura dell' avv. ti Francesco Campochiaro Junior Associate e Daniele Iorio, partner dello studio LegisLAB

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