Civile

Riconosciuto lo status di rifugiato all'obiettore di coscienza ucraino

Lo ha deciso la Cassazione con l'ordinanza 18626/2022

di Camilla Insardà

L'ordinanza della Cassazione del 9 giugno 2022 n. 18626 consente di riflettere sull'applicazione della protezione internazionale allo straniero obiettore di coscienza.
Il Dlgs 251/2007, di attuazione della direttiva europea 83/2004, detta la disciplina minima in tema di protezione internazionale, la quale si articola in una tutela più ampia (Capo III) e in una sussidiaria (Capo IV). La prima è rivolta al rifugiato, definito dall'articolo 2, lettera e) come il cittadino straniero che, per fondato timore di essere perseguitato per motivi razziali, religiosi, sociali o politici, si sia recato all'estero o per tale ragione non voglia avvalersi della protezione offerta dal proprio Paese; la seconda è destinata alla persona che, ai sensi della lettera g), non abbia i requisiti per ottenere lo status di rifugiato, ma nei cui confronti vi sono fondate ragioni di ritenere che in caso di rimpatrio correrebbe un rischio concreto di subire un grave pregiudizio e che pertanto non possa o non voglia avvalersi della tutela dello Stato d'origine.

Atto persecutorio e danno grave
Ai fini del riconoscimento dello status di rifugiato è fondamentale il concetto di "atto persecutorio", come descritto dall'articolo 7. La norma rimanda alla Convenzione di Ginevra, precisando che essi devono essere sufficientemente gravi da rappresentare una lesione dei diritti umani, oppure essere la somma di varie misure che abbiano lo stesso grave effetto pregiudizievole per i diritti della persona.
Quanto al "danno grave" richiesto per l'ammissione alla protezione sussidiaria, l'articolo 14 si riferisce alla pena capitale; alla tortura, alle pene o ai trattamenti inumani o degradanti; alle minacce gravi e individuali alla vita o alla persona che si trovi in situazioni di violenza indiscriminata dovute a conflitti armati nazionali o internazionali.

Il caso esaminato
Dopo essersi regolarmente trasferito in Italia nel 2015, per sottrarsi al servizio di leva, un ventinovenne ucraino è stato raggiunto dalla moglie e dal figlio. Allo scoppio del conflitto con la Russia, nel febbraio del 2022, la coppia ha proposto istanza di protezione internazionale, respinta però sia dal Tribunale che dalla Corte d'Appello di Venezia, per mancanza dei requisiti.
Secondo i giudici di merito, lo svolgimento del servizio militare, essendo riconducibile a finalità di tutela dello Stato, non può qualificarsi come atto persecutorio e la relativa sanzione penale, prevista in caso di renitenza, non può ritenersi sproporzionata.
Ritenendo violate le norme del decreto 251/2007, per non aver tenuto conto delle ragioni connesse all'esercizio del diritto all'obiezione di coscienza nei confronti del servizio militare e della conseguente condizione di vulnerabilità dell'obiettore e della sua famiglia, i coniugi hanno impugnato la sentenza di secondo grado.

La decisione della Cassazione
Con l'ordinanza 18626/2022, dopo aver esaminato disgiuntamente le posizioni dei ricorrenti, la Cassazione ha riconosciuto all'uno lo status di rifugiato e all'altra la protezione sussidiaria. Il Collegio ha ritenuto che la sanzione penale comminata all'obiettore di coscienza che rifiuti di arruolarsi nello Stato d'origine, in cui le attuali circostanze comportano un serio pericolo di un coinvolgimento di militari e di civili nell'uso di armi e nella commissione di crimini di guerra e contro l'umanità, costituisca "atto persecutorio" ex articolo 7, comma II, lettera e) del Dlgs 251/2007 e che pertanto debba essere riconosciuta la protezione internazionale.
La Cassazione ha tenuto conto di tutti gli aspetti giuridici e fattuali del caso concreto, decidendo la questione anche nel merito. Innanzitutto, pur non avendo allegato sin da subito tutte le circostanze potenziali fonti di pericolo in caso di rimpatrio, i ricorrenti sono cittadini di uno Stato il cui intero territorio è interessato da una guerra, che vede coinvolti civili ed esercito. In secondo luogo, ammettendo – per ipotesi – la proporzionalità della sanzione conseguente alla renitenza alla leva, prevista dall'ordinamento ucraino, tale da escluderne la qualifica in termini di "atto persecutorio", l'articolo 7, comma II, lettera e) afferma che in tale categoria rientrano le azioni giudiziarie o le sanzioni penali conseguenti al rifiuto di arruolarsi in caso di conflitto, quando ciò può comportare la commissione di reati o di atti che a loro volta configurano ipotesi di esclusione dello status di rifugiato, ex articolo 10, co. II.
Infine, il ricorrente ha dichiarato di essersi trasferito in Italia nel 2015, per ragioni di obiezione di coscienza nei confronti del reintrodotto servizio militare, quando aveva comunque superato l'età massima richiesta dalla legge ucraina e il conflitto era ancora limitato ad una circoscritta area geografica. A quest'ultimo proposito, appare evidente che la Cassazione, diversamente dai giudici di merito, abbia tenuto conto del disposto di cui all'articolo 4. Tale norma impone di valutare il bisogno di protezione internazionale in relazione a circostanze che possono essersi verificate o ad attività che possono essere state svolte in un momento successivo alla partenza del richiedente dal Paese originario, prestando particolare attenzione a quelle che sono espressione e continuazione di convinzioni da sempre manifestate dall'interessato, anche nel territorio d'appartenenza.

L'obiezione di coscienza
L'obiezione di coscienza è un diritto della persona che trova le proprie radici non soltanto nella Costituzione, agli articoli 2, 19 e 21, ma anche nell'articolo 18 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, declinandosi in termini di diritto inviolabile, libertà di coscienza e di pensiero. Com'è noto, essa consiste nel diritto di rifiutarsi ad adempiere ad un obbligo imposto dall'ordinamento, che si ritene ingiusto per ragioni etiche, morali o religiose.
Alla luce di quanto sopra esposto, l'ordinanza 18626/2022 della Cassazione offre una soluzione logica, coerente e condivisibile, nel rispetto delle definizioni, dei principi e della normativa sulla protezione internazionale n. 251/2007.

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