Civile

Insinuazione al passivo, la disciplina sulle spese giudiziali si applica al credito professionale

Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 15244 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso di un legale

di Francesco Machina Grifeo

La regola per cui, in materia di liquidazione delle spese giudiziali, il giudice deve motivare la sua decisione unicamente quando si discosti dai valori mimini e massimi, vale anche nella determinazione dell'insinuazione al passivo del credito professionale. Lo ha stabilito la Corte di cassazione, con l'ordinanza n. 15244 depositata oggi, dichiarando inammissibile il ricorso di un legale.

Il Tribunale di Ancona dopo aver ritenuto non superata l'eccezione di inadempimento avanzata dalla curatela nei confronti dell'avvocato, ha deciso la rideterminazione del compenso tenuto conto dei risultati conseguiti in base all'attività prestata. Ed ha quantificato il credito secondo il Dm n. 140 del 2012, tenuto conto della natura dei giudizi - per lo più di opposizione a decreto ingiuntivo - oggetto dell'attività difensiva, e ha ammesso l'opponente al passivo per la somma di 98.696 euro in privilegio e 26.529 euro (corrispondente a Iva e cpa) al chirografo.

Proposto ricorso, la Prima Sezione civile ha ricordato che la disciplina, secondo cui i parametri specifici per la determinazione del compenso sono, "di regola", quelli di cui alla allegata tabella A dell'attuale tariffa, contiene tre importi pari, rispettivamente, ai valori minimi, medi e massimi liquidabili, con possibilità per il giudice di diminuire o aumentare "ulteriormente" il compenso in considerazione delle circostanze concrete. "Sicché – prosegue - la regola va intesa nel senso che l'esercizio del potere discrezionale del giudice contenuto tra i valori minimi e massimi non è soggetto a sindacato in sede di legittimità, attenendo pur sempre a parametri fissati dalla tabella, mentre la motivazione è doverosa allorquando il giudice medesimo decida di aumentare o diminuire ulteriormente gli importi da riconoscere, essendo necessario, in tal caso, che siano controllabili sia le ragioni dello scostamento dalla "forcella" di tariffa, sia le ragioni che ne giustifichino la misura (Cass. n. 19989-21)". Ed ha aggiunto che: "Il principio, per quanto dettato esplicitamente in tema di liquidazione delle spese giudiziali, è chiaramente estendibile ai casi in cui si discuta dell'insinuazione al passivo del credito professionale dell'avvocato, che il tribunale qualifichi come soggetta al d.m. n. 140 del 2012".

Così ricostruito il quadro, avendo il tribunale motivato la ragione dello scostamento, era onere del ricorrente indicare specificamente – per consentire alla Corte di controllare poi l'esattezza e la pertinenza delle ragioni evocate – "in qual senso e in qual modo la motivazione fosse da reputare non pertinente o illegittima in rapporto alla necessità di tener conto dei minimi tariffari". "Cosa – conclude la decisione - che non è stata fatta, così come non è stato specificato in qual modo e in qual senso quei minimi dessero conto di un credito superiore".

Affrontando una diversa questione sempre relativa agli onorari chiesti da un legale a seguito di una transazione conclusa tra l'assistito del ricorrente e la controparte da cui sono scaturiti più procedimenti, la Cassazione, sentenza n. 15193, ha ritenuto il ricorso sulla mancata riunione inammissibile. "Non essendovi un obbligo di mantenere riunite le due cause e non essendo necessario il consenso delle parti per separarle, giusta il disposto dell'art. 103, comma 2, seconda parte, cod. proc. civ. – si legge nella decisione - deve ribadirsi, in questa sede, l'orientamento di legittimità, secondo il quale «i provvedimenti che decidono sulla riunione o separazione delle cause sono atti processuali di carattere meramente preparatorio, privi di contenuto decisorio sulla competenza, ed insindacabili in sede di gravame, in quanto la valutazione dell'opportunità della trattazione congiunta delle cause connesse è rimessa alla discrezionalità del giudice innanzi al quale i procedimenti pendono». Per cui, conclude la Cassazione, l'opportunità di disporre o meno la riunione di più cause connesse, pendenti dinanzi allo stesso giudice in grado diverso, "costituisce oggetto di un giudizio assolutamente discrezionale, che è rimesso al potere esclusivo del giudice di merito, insindacabile in sede di legittimità".

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