Penale

Riparazione per ingiusta detenzione: possibile anche in caso di silenzio dell'imputato in sede di interrogatorio

La Cassazione con la sentenza 8616 si è pronunciata per la prima volta sulla novella in materia di presunzione di innocenza introdotta dal Dlgs 188/2021

di Aldo Natalini

Riparazione per l'ingiusta detenzione e cause ostative. Il silenzio serbato dall'indagato in sede di interrogatorio non incide al fine dell'accertamento dell'eventuale colpa grave ostativa al riconoscimento del diritto alla riparazione.
Così la Quarta sezione penale della Cassazione, con la sentenza n. 8616/2022 , depositata il 15 marzo, che si è pronunciata per la prima volta sulla novella operata in seno all'articolo 314, comma 1, del Cpp ad opera dell'articolo 4, comma 4, lettera b), del Dlgs 8 novembre 2021, n. 188, entrato in vigore il 14 dicembre 2021, attuativo della Direttiva (UE) 2016/343 in tema di presunzione di innocenza.
La Suprema corte ha annullato con rinvio l'ordinanza del giudice della riparazione in relazione alla necessaria verifica di elementi, rimasti eventualmente accertati all'esito del verdetto assolutorio pronunciato a favore dell'imputato istante la riparazione, dai quali possa ricavarsi un comportamento dell'interessato, diverso dal silenzio serbato su circostanze ritenute rilevanti per neutralizzare la portata accusatoria degli elementi raccolti a suo carico nel corso delle indagini, idoneo a comportare la condizione ostativa di cui all'articolo 314, comma 1, del Cpp, come modificato dal succitato Dlgs n. 188/2021.

La fattispecie al vaglio del giudice della riparazione
La vicenda al vaglio della Corte di legittimità ha riguardato un caso di rapina, in concorso, culminato con l'applicazione di ordinanza cautelare fondata su vari elementi gravemente indiziari: le riprese degli occupanti dell'auto utilizzata per la rapina, esclusa la persona che si era trovata alla guida; il riconoscimento dei tre soggetti ritratti; la circostanza che costoro erano stati rintracciati presso un appartamento condiviso dall'istante; il possesso in capo a costui delle chiavi dell'auto usata per commettere la rapina, riconducibile peraltro a soggetto intestatario di oltre 150 veicoli.
Il giudice della riparazione aveva "stigmatizzato" la circostanza che l'istante – già attinto da misura cautelare in fase di indagini e poi assolto nel merito – avrebbe dovuto fornire, nell'immediatezza dei fatti, un contributo chiarificatore che, invece, era mancato per ben due volte. Tale scelta, pur legittima, è stata ritenuta "improvvida", siccome atta a contribuire all'applicazione e al mantenimento del titolo cautelare a suo carico. Infatti - secondo i giudici della riparazione - l'indagato avrebbe potuto spiegare la natura dei suoi rapporti con i tre correi, risultati coinvolti nella rapina; chiarire che la disponibilità dell'auto usata per commettere la rapina, indiscussa alla stregua del fatto che egli era stato trovato in possesso delle relative chiavi al momento del fermo, era stata solo occasionale; e le ragioni della detenzione delle chiavi di una macchina di origine sospetta, intestata a un prestanome intestatatrio di oltre 150 veicoli.

Il Dlgs 188/2021: il diritto al silenzio e a non autoincriminarsi
Il dictum in esame è il primo a dare attuazione allo ius superveniens, entrato in vigore lo scorso dicembre, sia pure in una fattispecie "riparatoria" esitata dalla competente Corte d'appello prima delle ultime modifiche legislative.
Al fine di dare attuazione alle previsioni di fonte eurounitaria, il Dlgs 188/2021, tra le modifiche operate al codice di rito (articolo 4), ha aggiunto all'articolo 314, comma 1, del Cpp, in fine, il seguente periodo: «L'esercizio da parte dell'imputato della facoltà di cui all'articolo 64, comma 3, lettera b), non incide sul diritto alla riparazione di cui al primo periodo.».
La novella è direttamente attuativa – in tema di riparazione per l'ingiusta detenzione – del diritto al silenzio e a non autoincriminarsi solennemente sancito all'articolo 7 della direttiva Ue 2016/343, secondo cui:
«1. Gli Stati membri assicurano che agli indagati e imputati sia riconosciuto il diritto di restare in silenzio in merito al reato che viene loro contestato.
2. Gli Stati membri assicurano che gli indagati e imputati godano del diritto di non autoincriminarsi.
3. L'esercizio del diritto di non autoincriminarsi non impedisce alle autorità competenti di raccogliere prove che possono essere ottenute lecitamente ricorrendo a poteri coercitivi legali e che esistono indipendentemente dalla volontà dell'indagato o imputato.
4. Gli Stati membri possono consentire alle proprie autorità giudiziarie di tenere conto, all'atto della pronuncia della sentenza, del comportamento collaborativo degli indagati e imputati.
5. L'esercizio da parte degli indagati e imputati del diritto al silenzio o del diritto di non autoincriminarsi non può essere utilizzato contro di loro e non è considerato quale prova che essi abbiano commesso il reato ascritto loro
[…]».
Significativi a tal fine i considerando 24, 25 e 26 della direttiva:
«(24) Il diritto al silenzio è un aspetto importante della presunzione di innocenza e dovrebbe fungere da protezione contro l'autoincriminazione.
(25) Anche il diritto di non autoincriminarsi è un aspetto importante della presunzione di innocenza. Gli indagati e imputati, se invitati a rilasciare dichiarazioni o a rispondere a domande, non dovrebbero essere costretti a produrre prove o documenti o a fornire informazioni che possano condurre all'autoincriminazione.
(26) Il diritto al silenzio e il diritto di non autoincriminarsi dovrebbero applicarsi a domande riguardanti il reato che una persona è indagata o imputata di avere commesso e non, ad esempio, a domande riguardanti l'identificazione dell'indagato o imputato
».
Le regole generali "interne" sull'interrogatorio dell'imputato (e dell'indagato in fase di indagini) contenute nell'articolo 64 del Cpp, al comma 3, lettera b) – applicabile anche a quello di garanzia di cui all'articolo 294, comma 4, del Cpp – assicuravano già, pienamente, la facoltà di non rispondere ad alcuna domanda da parte del soggetto raggiunto da misura cautelare senonché il silenzio serbato di fronte al giudice della cautela poteva costituire fattore di esclusione del diritto all'equa riparazione, dovendo il giudice della riparazione stabilire se chi l'ha patita (come nel caso di specie l'istante, attinto da misura custodiale e poi assolto) vi abbia dato o abbia concorso a darvi causa con dolo o colpa grave (dovendosi a tal fine valutare tutti gli elementi probatori disponibili al fine di stabilire, con valutazione ex ante ed avuto riguardo al momento genetico della perdita della libertà (Cassazione, Sezione 4, n. 24448/2021) - e secondo un iter logico-motivazionale del tutto autonomo rispetto a quello seguito nel processo di merito - non se tale condotta integri gli estremi di reato, ma solo se sia stata il presupposto che abbia ingenerato, ancorché in presenza di errore dell'autorità procedente, la falsa apparenza della sua configurabilità come illecito penale: così ad esempio Cassazione, Sezione 4, n. 9212/2013, dep. 2014, Ced 259082).

La pregressa giurisprudenza "affossata" dall'odierno dictum
L'orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità, anche di recente ribadito, è stato a lungo oggetto di interventi con i quali si è tentato di calibrare di volta in volta il rilievo accordato al silenzio ai fini della verifica della condizione ostativa di cui all'articolo 314, comma 1, ultima parte, del Cpp (ante novella del 2021), in termini di sussistenza o meno della colpa grave.
La Suprema Corte, infatti, ha avvertito la necessità di conciliare il diritto al silenzio e l'esercizio di facoltà riconosciute all'indagato/imputato con l'incidenza che tale comportamento possa assumere in termini di condotta gravemente imprudente/negligente da parte di chi, pur a conoscenza di fatti potenzialmente idonei a neutralizzare la portata del quadro indiziario posto a fondamento del titolo cautelare, scelga di esercitare le facoltà di legge, ostacolando l'accertamento dei fatti e contribuendo, in tal modo, a ingenerare la falsa apparenza di un reato (cfr., sulla rilevanza del silenzio serbato dall'interessato e sui limiti di essa: Sezione 4, n. 47047/2008, Ced Rv. 242759; Id., n. 4159/2008, dep. 2009, Ced 242760; Id., n. 7269/2011, dep. 2012, Ced 251928; Id., n. 25252/2016, Ced 267393; Sezione 3, n. 29967/2014, Ced 259941; Id., n. 51084/2017, Ced 271419).
Si era affermato, ad esempio, che un comportamento mendace dell'imputato non può giustificare la domanda di riparazione se proprio da quel comportamento sia derivata la conferma - o la protrazione - della custodia cautelare (Sezione 3, n. 13714/.2005, Ced. 231624; Sezione 4, n. 46470/2003, Ced 226729; Id. 956/1998, Ced 210632; con riferimento al rifiuto di rispondere in sede di interrogatorio, vedi in particolare: Sezione 4, n. 16370/2003, Ced 224774; Id., n. 15143/2003, Ced 224576; Id., n. 2154/2001).
Tale orientamento – cadenza oggi significativamente la Suprema corte – deve ritenersi ormai superato dall'intervento del legislatore di cui al Dlgs n. 188/2021 che, aggiungendo un nuovo periodo al comma 1 dell'articolo 314 del Cpp, «ha inteso adeguare la normativa nazionale alle disposizioni della Direttiva (UE) 2016/343 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 marzo 2016, sul rafforzamento di alcuni aspetti della presunzione di innocenza e del diritto di presenziare al processo nei procedimento penali, con specifico riferimento, per quanto di rilievo nel caso all'esame, alla emanazione di norme comuni sulla protezione dei diritti procedurali di indagati e imputati» (cfr. considerato n. 24 della Direttiva).
Dunque, come usa dirsi in questi casi citando il celebre aforisma di Kirchmann, con un "tratto di penna" il legislatore ha spazzato via decenni di giurisprudenza e di dibattiti sulla rilevanza in termini ostativi alla concessione del risarcimento, del silenzio tenuto dall'indagato in sede di interrogatorio.

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