Società

Società partecipate dagli enti locali, limitazioni antielusive al reintegro del capitale

Incidenza sul capitale sociale della perdita societaria e scioglimento della società - Funzionalizzazione e misura della ricapitalizzazione secondo la Corte dei conti

di Rossana Mininno

La gestione delle società partecipate dagli enti locali deve avvenire - in attuazione del principio costituzionale di buona amministrazione - con modalità ispirate a criteri di economicità ed efficienza.

Nell'ipotesi in cui la società abbia conseguito risultati d'esercizio negativi l'ente è tenuto in primis a procedere a una complessiva valutazione di convenienza della gestione esternalizzata dei servizi e in secundis a una specifica - e attentamente ponderata - attività di programmazione e pianificazione delle iniziative, di carattere strutturale, da intraprendere onde funzionalizzare l'eventuale sovvenzionamento del fabbisogno finanziario della partecipata al risanamento della medesima.

PERDITA SOCIETARIA, INCIDENZA SUL CAPITALE SOCIALE E SCIOGLIMENTO DELLA SOCIETÀ

In diritto societario con il termine ‘perdita' si intende una minusvalenza incidente sul patrimonio sociale.

Non tutte le perdite, tuttavia, sono tali da mettere a rischio l'integrità del capitale sociale, essendo prospettabili situazioni diverse in ragione della specifica entità della perdita, suscettibile, sul piano effettuale, di conseguenze differenti: perdita inferiore a un terzo del capitale sociale; perdita superiore a un terzo del capitale sociale, ma non tale da ingenerare l'obbligo di riduzione del medesimo capitale ai sensi degli articoli 2446, comma 2 e 2447 del codice civile (per le società per azioni) e degli articoli 2482-bis, comma 4 e 2482-ter del codice civile (per le società a responsabilità limitata); perdita di oltre un terzo del capitale sociale con riduzione del medesimo al di sotto del minimo stabilito dall'articolo 2327 (per le società per azioni) e dal numero 4) dell'articolo 2463 del codice civile (per le società a responsabilità limitata), con conseguente obbligo di riduzione del capitale e contemporaneo aumento dello stesso a una cifra non inferiore al detto minimo.

Nell'ipotesi di riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale «lo scioglimento della società si produce automaticamente ed immediatamente, salvo il verificarsi della condizione risolutiva costituita dalla reintegrazione del capitale o dalla trasformazione della società ai sensi dell'art. 2447 cod. civ., in quanto, con il verificarsi dell'anzidetta condizione risolutiva, viene meno "ex tunc" lo scioglimento della società» (Cass. civ., Sez. I, 22 aprile 2009, n. 9619, rv. 608228-01).

FUNZIONALIZZAZIONE E MISURA DELLA RICAPITALIZZAZIONE SECONDO LA CORTE DEI CONTI

In occasione dell'adozione - avvenuta in ossequio ai criteri fissati dalla legge 7 agosto 2015, n. 124 ("Delega al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche") - del Testo unico in materia di società a partecipazione pubblica (cfr. decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175 - c.d. TUSP) il legislatore, ponendosi in sostanziale continuità con il previgente regime normativo, ha confermato la preclusione del soccorso finanziario a favore di organismi partecipati in condizione di precarietà economico-finanziaria, dovuta a perdite di esercizio strutturali (cfr. art. 14, co. 5).

Tale preclusione costituisce espressione del più generale principio - rispondente a basilari criteri di razionalità economica e di tutela delle finanze pubbliche - che vieta di detenere partecipazioni in soggetti sistematicamente in perdita o di fatto insolventi ovvero di attuare interventi di mero sostegno finanziario preordinati a occultare o alleggerire momentaneamente tale condizione ove si tratti di organismi che «appaiono privi quantomeno di una prospettiva di recupero dell'economicità e dell'efficienza della gestione dei soggetti beneficiari» (C. conti, Sez. reg. contr. Liguria, 8 marzo 2017, n. 24/2017/PAR).

Con precipuo riferimento all'ipotesi in cui le perdite subite dalla società partecipata siano di entità tale da rendere necessaria, al fine di evitarne lo scioglimento, la ricostituzione del capitale sociale si è posta la questione della corretta interpretazione della clausola di salvezza recata dal quinto comma dell'articolo 14 del TUSP (id est, «salvo quanto previsto dagli articoli 2447 e 2482-ter del codice civile»), clausola di salvezza, peraltro, già prevista a livello normativo in epoca antecedente all'adozione del TUSP (cfr. art. 6, co. 19, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2010, n. 122).

Rispetto alla normativa previgente i Giudici contabili avevano chiarito che la clausola di salvezza ha natura di «norma di coordinamento tra la disciplina finanziaria e il diritto societario» (C. conti, Sez. reg. giur. Emilia-Romagna, 1 ottobre 2018, n. 175), come tale inidonea a fondare l'obbligatorietà di un qualsiasi tipo di intervento di sostegno finanziario da parte dell'ente partecipante a favore della società in perdita: «l'inciso "salvo quanto previsto dall'art. 2447 c.c." lascia infatti aperta la strada per consentire tutte le opzioni previste dalla disposizione, quindi anche la ricapitalizzazione al fine di evitare la liquidazione della società. Si deve pertanto ritenere che rimanga in capo alle pubbliche amministrazioni il potere discrezionale di valutare l'opportunità di mantenere in vita la società che abbia subito perdite tali da far scendere il capitale al di sotto dei limiti legali» (C. conti Emilia-Romagna n. 175/2018 cit.).

L'intervento dell'ente locale socio, tuttavia, è consentito soltanto se funzionale ad assicurare una continuità aziendale finanziariamente sostenibile, non potendo la clausola di salvezza de qua essere intesa quale indiscriminata e immotivata facoltà per gli enti locali soci di procedere alla ricapitalizzazione degli organismi partecipati in perdita (cfr. ex multis C. conti, Sez. aut., 6 giugno 2014, n. 15/2014/FRG).

La configurabilità - sostenuta sia dai Giudici amministrativi (cfr. ex multis Cons. Stato, Ad. Plen., 22 marzo 1999, n. 4) che da quelli di legittimità (cfr. ex multis Cass., Sez. un., 22 dicembre 2003, n. 19667) - di un'attività amministrativa anche nell'ipotesi in cui l'ente pubblico persegua le proprie finalità istituzionali mediante un'attività assoggettata, in tutto o in parte, alla disciplina prevista per i rapporti tra soggetti privati comporta, stante l'ontologica funzionalizzazione dell'attività amministrativa al perseguimento di interessi a soddisfazione necessaria, che alla base dell'opzione per la ricapitalizzazione vi debba comunque essere un interesse pubblico.

Ferma restando la legittimità - in via di principio - dell'operazione di ricapitalizzazione, «costituendo un'ipotesi ricadente nell'espressa eccezione di cui all'art. 2447 c.c.» (C. conti Emilia-Romagna n. 175/2018 cit.) e posto che, in ogni caso, la ricapitalizzazione «costituisce oggetto di una facoltà (e non di un obbligo)» (C. conti Sez. aut. n. 15/2014/FRG cit.), l'ente locale è tenuto a effettuare «una previa e adeguata verifica delle criticità che generano le perdite, i necessari accertamenti volti ad individuare eventuali responsabilità gestionali imputabili agli amministratori societari, nonché una compiuta valutazione circa l'opportunità della conservazione in vita dell'organismo partecipato o del semplice mantenimento della partecipazione, ossia della convenienza economico-finanziaria di tale modalità di gestione del servizio rispetto ad altre alternative possibili (ad esempio, gestione diretta, affidamento a terzi con gara ad evidenza pubblica, eccetera)» ( C. conti, Sez. reg. contr. Liguria, 8 marzo 2017, n. 24/2017/PAR ).

Ciò in virtù della dirimente considerazione che il modello societario «non può […] essere abusivamente utilizzato quale soggetto giuridico in cui si concentrano i costi di gestione del servizio pubblico al fine di non imputarli direttamente agli enti locali di pertinenza» ( C. conti, Sez. reg. contr. Lombardia, 4 febbraio 2010, n. 86/2010/PAR ).

La decisione di reintegrare il capitale sociale della partecipata, anziché prendere atto sic et simpliciter dell'automatico scioglimento della stessa, deve essere accompagnata, in un'ottica di buona amministrazione, da interventi di carattere strutturale finalizzati al risanamento della società, nonché adeguatamente ponderata e, nel contempo, sorretta da un analitico supporto motivazionale «sulla convenienza economica della ricapitalizzazione e sulla sostenibilità finanziaria della stessa», previo «adeguato approfondimento istruttorio […] idoneo a evidenziare le ragioni della ricapitalizzazione e di quelle che, eccezionalmente, inducano a effettuarla in misura superiore al minimo legale» ( C. conti, Sez. reg. contr. Lazio, 7 giugno 2022, n. 76/2022/PAR ).

Per quanto attiene, in particolare, alla misura della ricapitalizzazione (ovvero se l'intervento di ricapitalizzazione debba essere o meno limitato alla ricostituzione del minimo legale) i Giudici contabili hanno chiarito che, alla luce dei principi di proporzionalità e di efficienza della spesa pubblica, «la citazione dell'art. 2447 c.c. ha soltanto la funzione di rammentare la procedura necessaria a consentire la prosecuzione dell'attività societaria secondo la disciplina del diritto civile», senza, tuttavia, escludere l'applicazione della normativa giuscontabile, ma ponendosi in coordinamento con essa: «il ripristino del capitale sociale minimo, quando consentito […] deve, di regola, attestarsi nella misura del minimo legale, salve ragioni speciali, previste o comunque rinvenibili nel piano di risanamento, idonee a giustificare, nel caso concreto, una ricapitalizzazione superiore, in armonia con i principi di proporzionalità e ragionevolezza propri delle scelte discrezionali amministrative, in un'ottica di buon andamento delle gestioni finanziarie pubbliche» (C. conti Lazio n. 76/2022/PAR cit.).

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©