Civile

Pirateria musicale, il giudice ordina il silenzio ai provider

Provvedimento d’urgenza del tribunale di Milano, sezione imprese

di Angelo Maietta

L’11 luglio 2022 il Tribunale di Milano – sezione specializzata in materia di impresa - ha emesso un provvedimento cautelare con cui, a quanto consta per la prima volta in Italia, ha ordinato a un provider di servizi di Dns (domain name system, ndr) alternativo pubblico la risoluzione in favore degli utenti italiani di alcuni siti BitTorrent (sistemi di distribuzione file, ndr) che mettevano abusivamente a disposizione opere musicali.

La pronuncia in esame, ancorché su base cautelare (in quanto tale provvisoria e soggetta a reclamo), appare interessante sotto il profilo della azionabilità dei diritti d’autore nei confronti degli Isp (internet service provider).

La vicenda riguarda alcune case discografiche che hanno agito innanzi al Tribunale meneghino nei confronti di un provider di servizi di Dns alternativo pubblico. Secondo la richiesta delle parti ricorrenti al provider avrebbe dovuto essere ordinato di cessare la fornitura dei propri servizi agli utenti italiani interessati ad accedere ad alcuni siti BitTorrent, che consentivano la messa a disposizione illecita di numerosi brani musicali.

L’azione proposta fa seguito a un procedimento della autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (Agcom), su istanza delle stesse case discografiche, di inibitorie nei confronti degli operatori di connessione, affinchè questi ultimi disabilitassero l’accesso ai menzionati siti da parte di utenti italiani.

Sempre nella prospettazione delle ricorrenti, nonostante le inibitorie emesse da Agcom, i siti BitTorrent continuavano a essere accessibili agli utenti italiani, attraverso i servizi di Dns alternativo pubblico forniti dal provider resistente, che gli utenti potevano utilizzare in luogo di quelli forniti dal proprio operatore di connessione.

La società resistente si è difesa principalmente affermando la carenza di giurisdizione del giudice italiano, l’indeterminatezza della domanda cautelare, la mancata prova dei fatti costitutivi dell’azione, l’inattuabilità e/o comunque l’inutilità di un ordine di inibitoria del tipo di quello richiesto.

L’ordinanza richiamata ha accolto le domande delle ricorrenti, affermando alcuni principi degni di notazione per gli spunti di riflessione in essa contenuti. In particolare va segnalata la nozione di sistema di Dns fornita dal Tribunale, per il quale «il sistema Dns identifica sia l’utente che il sito d’interesse in numeri predefiniti (gli indirizzi Ip), che corrispondono a una denominazione e consentono l’identificazione del soggetto in questione. La resistente ha creato e messo a disposizione un servizio Dns pubblico (omissis) che può essere utilizzato come servizio alternativo alla risoluzione Dns generalmente fornita dagli operatori di telecomunicazioni (mere conduit provider)». «Quando i mere conduit provider - su ordine dell’autorità regolatoria del settore - bloccano l’accesso ai siti in violazione, il servizio Dns (omissis) non tiene conto della natura illecita dei siti e consente agli utenti di individuare e successivamente accedere a tali siti».

Parimenti degno di nota appare il principio espresso dal Tribunale (che non è una assoluta novità, ma comunque qui ribadito con specifico riguardo ai servizi Dns) in relazione alla applicabilità del provvedimento di inibitoria ai sensi dell’articolo 156 legge sul diritto d’autore anche a prescindere dalla considerazione dei profili soggettivi della parte resistente, quando quest’ultima «rivesta il ruolo di intermediario che presta i suoi servizi agli utilizzatori che, nel caso di specie, svolgono la loro attività illecita tramite i medesimi, sfruttandone consapevolmente le potenzialità che consentono la prosecuzione dell’attività illecita».

Un ulteriore profilo di interesse è rinvenibile anche dove il Tribunale ha accolto la richiesta avanzata dalle case discografiche di inibire «la risoluzione Dns di qualsiasi nome a dominio (denominato “alias”) – che costituisca una variazione dei predetti Dns di primo, secondo, terzo e quarto livello – attraverso i quali, anche in futuro, i servizi illeciti attualmente accessibili attraverso i citati nomi a dominio possano continuare ad essere disponibili, a condizione che i nuovi alias siano soggettivamente e oggettivamente riferiti ai suddetti servizi illeciti».

Secondo il Tribunale ciò non integra un obbligo generale di sorveglianza nei confronti del provider in quanto l’inibitoria si riferisce a violazioni specifiche già accertate. La decisione segnalata, ripercorsa secondo l’iter decisionale del Tribunale rappresenta la prima, nel panorama giurisprudenziale nazionale, in argomento.

Non si tratta tuttavia di un unicum nel contesto europeo, poiché recentemente alcune corti tedesche si sono già occupate della problematica sottesa alla domanda cautelare, adottando principi simili e giungendo a conclusioni analoghe a quelle del Tribunale di Milano ma va tuttavia evidenziata la spinta propulsiva in subiecta materia anticipando de iure condendo, i principi contenuti nella recente proposta di regolamento Ue sui servizi digitali (Dsa - digital service act -) in tema di responsabilità dei prestatori di servizi nell’ambito dei media digitali.

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