Civile

Eredità digitale: quale sorte per i dati personali del de cuius?

La pronuncia in esame va a comporre la triade di sentenze, sino ad oggi, pronunciate dalle corti italiane in tema di eredità digitale. La questione è delicata e interseca tanto la materia successoria quanto quella dei diritti della personalità

di Laura Greco*

Con provvedimento cautelare pronunciato ai sensi dell'art. 700 c.p.c., l'ottava sezione civile del Tribunale di Roma ordina al colosso degli smartphone, Apple, di accordare alla ricorrente l'accesso ai dati personali contenuti nell'account del marito defunto, anche mediante consegna delle credenziali di accesso.

La pronuncia in esame va a comporre la triade di sentenze, sino ad oggi, pronunciate dalle corti italiane in tema di eredità digitale.

La questione è delicata e interseca tanto la materia successoria quanto quella dei diritti della personalità.

Se è vero che siamo ormai abituati a ragionare "in digitale" e molti istituti giuridici si sono adattati nel tempo al nuovo contesto virtuale (basti pensare alla firma, che ora è anche elettronica, e al documento, che è diventato informatico), prima d'ora – salvo qualche esemplare oltreoceano – il tema dei beni digitali non era stato affrontato dalla prospettiva della loro tutela post-mortem.

Inevitabile, tuttavia, che presto o tardi il legislatore, prima, e i giudici, poi, si sarebbero dovuti occupare di questa tematica, in considerazione della mole di dati digitali che viene prodotta quotidianamente.

Secondo il Report 2022 di WeAreSocial e Hootsuite, infatti, 4,62 miliardi di persone utilizzano le piattaforme social, pari al 58,4% della popolazione mondiale (in crescita di oltre il 10% rispetto all'anno scorso), e gli utenti internet sono più che raddoppiati negli ultimi 10 anni, passando da 2,18 miliardi nel 2012 a 4,95 miliardi oggi. Dunque, qual è la sorte dei dati che (consapevolmente o meno) produciamo on line ogni giorno?

I dati personali come beni digitali e la ordinanza n. 2688/2022

La questione è complessa e potrebbe essere trattata, come si vedrà di seguito, da molteplici e diverse prospettive del diritto, a seconda dell'interesse su cui si ponga l'accento.

Il Tribunale di Roma è stato chiamato a pronunciarsi sulla sorte dei beni digitali aventi contenuto strettamente personale quali, nel caso di specie, i dati personali contenuti nell'account i Cloud del de cuius. E, in effetti, è in relazione a questa categoria di beni digitali che si pongono le criticità maggiori, considerato che i beni digitali di contenuto patrimoniale, come le monete virtuali o i contenuti protetti dal diritto d'autore, rientrano tendenzialmente nella trasmissione iure successionis (sebbene la distinzione tra beni digitali patrimoniali e non, sia più astratta, che concreta, considerata l'eterogeneità di contenuto che può potenzialmente avere un file).

Come anticipato, il ricorso ex art. 700 c.p.c. aveva ad oggetto la richiesta di accesso ai dati contenuti nell'account iCloud del de cuius, morto improvvisamente, al fine di ricostruire la memoria del defunto attraverso foto e video presenti nell'account. Il ricorrente dimostrava il fumus boni iuris e il periculum in mora e il giudice accoglieva il ricorso.

Sotto il primo profilo, veniva invocato l'art. 2-terdecies del Codice in materia di protezione dei dati personali, come riformato a seguito dell'entrata in vigore del Reg. (UE) 2016/679 (anche noto come "GDPR"). L'art. 2-terdecies prevede che i diritti riconosciuti dal GDPR all'interessato (tra cui, i diritti di accesso e di portabilità dei dati) possano essere esercitati in relazione ai dati personali relativi a persone decedute "da chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell'interessato in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione". Nel caso di specie, il giudice capitolino ha ritenuto sussistente l'interesse a recuperare quanto possibile per garantire il ricordo del defunto, considerando tra l'altro la tenera età delle figlie del medesimo al momento del decesso.

Il periculum in mora era, invece, dimostrato dalla constatazione che il mancato utilizzo di un account per un periodo prolungato comporta la disattivazione automatica dei sistemi e, conseguentemente, la cancellazione irreversibile dei dati ad essi associati.

Ricorso fondato e accolto, ma il giudice si sofferma sull'esame e sulla valutazione negativa di un elemento fornito dalla Apple a contestazione della richiesta della ricorrente. Secondo la Big Tech, la richiesta non sarebbe potuta essere accolta in quanto le condizioni generali di contratto, sottoscritte dal de cuius al tempo dell'attivazione dell'account, prevedevano l'intrasferibilità dell'account e che qualsiasi diritto su di esso si sarebbe estinto con l'evento morte.

Secondo il giudice, tuttavia, tale previsione non era idonea a soddisfare i requisiti di forma e di sostanza previsti dall'art. 2-terdecies, 3° comma ai fini del corretto esercizio del diritto di autodeterminazione del deceduto volto a impedire l'esercizio dei diritti menzionati dopo la sua morte. In altre parole, il giudice non ha ritenuto che la sottoscrizione di clausole standard unilateralmente predisposte integrasse una manifestazione di volontà "specifica, libera informata" e non equivoca.

Ad abundantiam, il giudice richiamava come condizione di liceità del trattamento dei dati personali, oggetto della richiesta della ricorrente, la norma contenuta nell'art. 6, 1° comma, lett. f) del GDPR e, dunque, il legittimo interesse della ricorrente ad accedere all'account per ragioni familiari meritevoli di protezione.

I precedenti di Bologna e di Milano

L'ordinanza poc'anzi ripercorsa giunge a seguito di altre due recenti pronunce vertenti su casi analoghi e aventi esiti altrettanto affini, rispettivamente, del Tribunale di Bologna (ord. 25 novembre 2021) e di Milano (ord. 9 febbraio 2021).

Se l'iter logico-argomentativo dei giudici è pressoché il medesimo, si possono riscontrare alcune difformità nelle argomentazioni ostense dalla Apple (convenuta in tutti e tre i giudizi).

Mentre, infatti, nel giudizio radicato presso il Tribunale di Roma la multinazionale invocava le proprie condizioni contrattuali a sostegno del rigetto della richiesta attorea, negli altri due processi Apple sosteneva che avrebbe consentito l'accesso ai dati personali dell'account intestato ad un soggetto deceduto solo a fronte di un provvedimento giudiziale avente determinati requisiti, di fatto afferenti a istituti giuridici estranei all'ordinamento italiano.

In particolare, la società di Cupertino pretendeva che l'ordine del tribunale specificasse:

"1) che il defunto era il proprietario di tutti gli account associati all'ID Apple;

2) che il richiedente è l'amministratore o il rappresentante legale del patrimonio del defunto;

3) che, in qualità di amministratore o rappresentante legale, il richiedente agisce come ‘agente' del defunto e la sua autorizzazione costituisce un ‘consenso legittimo', secondo le definizioni date nell'Electronic Communications Privacy Act;

4) che il tribunale ordina a Apple di fornire assistenza nel recupero dei dati personali dagli account del defunto, che potrebbero contenere anche informazioni o dati personali identificabili di terzi".

Pretesa del colosso americano rigettata in toto dai giudici meneghino e bolognese che hanno ritenuto illegittimo subordinare l'esercizio di un diritto, riconosciuto dall'ordinamento giuridico italiano, alla previsione di requisiti estranei alle norme di legge che disciplinano la fattispecie in esame.

Gli altri modelli interpretativi

Le pronunce ora esaminate sono riconducibili ad uno specifico approccio regolatorio – quello personalistico – che rispecchia, d'altronde, il modello socio-culturale europeo e si fonda sulla tesi della persistenza di interessi giuridicamente tutelabili in capo ai prossimi congiunti del de cuius.

Vi sono tuttavia altri modelli, riscontrabili in alcune sentenze straniere, che abbracciano prospettive differenti e risolvono il tema che qui ci occupa attraverso l'applicazione di norme successorie o il rinvio all'autonomia contrattuale.

Ad esempio, una pronuncia del Bundesgerichtshof tedesco (BGH, 12 luglio 2018, III ZR 183/17), relativa ad una giovane donna scomparsa e al diritto dei genitori di accedere al suo account Facebook, ha fatto perno sul modello successorio. In questo caso, i giudici tedeschi hanno accolto la richiesta di accesso all'account del de cuius sulla base del principio di universalità della successione, in virtù del quale tutti i rapporti giuridici – compreso quello contrattuale con il social network – pertengono al patrimonio del de cuius e sono pertanto suscettibili di trasmissione ereditaria.

Al centro della pronuncia della Probate Court della Contea di Oakland County (Ellsworth, No. 2005/296, 651-DE), si intravede invece l'adozione di un modello volontaristico o di "autonomia contrattuale", fondato sulle clausole generali di contratto sottoscritte dall'utente al momento dell'apertura dell'account. Nel caso di specie, nonostante l'emissione di un ordine di consegna da parte del provider delle e-mail presenti sull'account del de cuius, la Corte ha rigettato la richiesta di comunicazione della password di accesso sulla base della clausola di "no right of survivorship and no trasferibility", secondo la quale l'account non poteva essere trasferito ed il servizio fornito sarebbe cessato al momento della morte dell'utente.

Il riconoscimento della tutela post-mortem dei dati personali

La tutela post-mortem dei dati personali, sebbene attraverso percorsi differenti, inizia ad ottenere sempre più riconoscimento tra le corti europee.

In Italia la giurisprudenza sembra far buon uso dello strumento accordato dal legislatore nell'ambito del Codice in materia di protezione dei dati personali. Manca un quadro normativo generale volto a regolare la trasmissione dei beni digitali post mortem, ma anche qui, come in altri settori, occorre valutare attentamente la necessità di definire nuovi modelli e nuove norme oppure se, anche per economia del diritto, sia possibile impiegare categorie già consolidate.

*a cura dell'avv. Laura Greco, Digitalmedialaws.

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