Penale

Ricettazione di opera d'arte per chi compra Arnaldo Pomodoro accettando il rischio della contraffazione

Lo ha ribadito la Corte di cassazione, sentenza n. 39277 depositata oggi

di Francesco Machina Grifeo

Ricettazione e contraffazione d'opera d'arte per chi acquista consapevolmente un falso di un noto artista contemporaneo. Lo ha ribadito la Corte di cassazione, sentenza n. 39277 depositata oggi, accogliendo tuttavia la richiesta di prescrizione sollevata dall'imputato condannato alla pena di un anno e sei mesi di reclusione e trecento euro di multa. La condanna dunque era stata disposta nel 2019 dalla Corte di appello di Brescia per ricettazione di due sculture contraffatte "apparentemente create dall' artista Arnaldo Pomodoro costituite da due sfere di bronzo", nonché per il reato contraffazione (art. 178 comma 1 lett. b Dlgs n. 42/2004). La pena invece era stata sospesa "subordinatamente al risarcimento del danno in favore della parte civile Arnaldo Pomodoro".

Per la Suprema corte, dunque, la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio "per essere i reati estinti per prescrizione". Infatti, come affermato dal giudice di secondo grado "l'acquisto è avvenuto fra il 2009 ed il 2010 emergendo una obiettiva incertezza in ordine all'epoca di effettiva commissione del reato di ricettazione". "Deve, quindi – prosegue la decisione -, rilevarsi che, per quanto emerge dagli atti, i reati contestati, consumatisi verosimilmente intorno allo 01/01/2009 ed intorno allo 01/01/2013, si sono estinti per prescrizione rispettivamente in data 01/01/2019 e 01/07/2020 ai sensi del combinato disposto degli artt. 157, 160 e 161 cod. pen."

Mentre con riguardo alla responsabilità penale dell'imputato, la Cassazione afferma che "è stata ancorata ad una ricostruzione priva di aporie logico-giuridiche e non censurabile in questa sede basata sulle complessive risultanze istruttorie e sulla valutazione della medesima condotta tenuta dall'imputato nell'occasione dell'acquisto dall'autore della contraffazione delle sfere di bronzo de quibus, risultando evidente che il predetto ha accettato, concretamente, il rischio di acquistare da soggetto che aveva realizzato opere contraffatte".

"Si tratta di motivazione congrua, adeguata e del tutto coerente con gli evidenziati elementi fattuali – conclude la Corte -, sicché le censure in esame, da considerare una mera e tralaticia riproposizione della medesima tesi difensiva disattesa in entrambi i giudizi di merito, devono essere ritenute inammissibili in quanto, surrettiziamente tesa ad ottenere una nuova rivalutazione del merito".

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