Civile

Tribunali civili: le principali sentenze di merito della settimana

La selezione delle pronunce della giustizia civile nel periodo compreso tra il 12 e il 16 dicembre 2022

di Giuseppe Cassano

Nel corso di questa settima le Corti d'Appello si sono pronunciate in tema di retribuzione nel lavoro subordinato, querela di falso, contratto di agenzia, fideiussione e, infine, contratto di assicurazione.
Da parte loro i Tribunali si soffermano su: forma scritta dei contratti della Pa, rettificazione di attribuzione di sesso, distacco di un condominio dall'impianto di riscaldamento centralizzato, legittima difesa e infine rovina e difetti di cose immobili.


LAVORO
Lavoro subordinato - Retribuzione - Autonomia sindacale
(Costituzione, articoli 36, 39)
Afferma la Corte d'Appello di Torino che, in tema di adeguamento della retribuzione ai sensi dell'articolo 36 Cost., il Giudice, per i rapporti non tutelati da contratto collettivo, può utilizzare quale parametro di raffronto, la retribuzione tabellare prevista dal contratto nazionale del settore corrispondente a quello dell'attività svolta dal datore di lavoro ovvero, in mancanza, da altro contratto che regoli attività affini e prestazioni analoghe, dovendo considerare le sole componenti integranti il cosiddetto minimo costituzionale (anche con riguardo alle imprese di non rilevanti dimensioni), con esclusione delle voci retributive legate all'autonomia contrattuale (come ad esempio i compensi aggiuntivi, gli scatti di anzianità e la quattordicesima mensilità).
L'inciso "per i rapporti non tutelati da contratti collettivi" rende evidente – secondo la Corte adita - che devono essere esclusi dalla valutazione di conformità ex articolo 36 Cost. quei rapporti di lavoro che sono regolati da contratti collettivi propri del settore di operatività del datore siglati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative a livello nazionale e che rappresentano quindi il risultato delle trattative tra i soggetti istituzionalmente deputati a valutare le contrapposte esigenze economiche e a definire un assetto di interessi adeguato per entrambe le parti.
Il Legislatore, invero, tende a considerare, in linea generale, la retribuzione prevista dalla norma collettiva come il parametro più idoneo a specificare (nei confronti dei non iscritti) la retribuzione prevista dall'articolo 36 Cost., attraverso l'adeguamento di questo principio alle contingenze reali, non solo temporali (con una norma che man mano si rinnova), ma anche spaziali.
Risulta così valorizzato il principio dell'autonomia sindacale (articolo 39, IV, Cost.) alla quale, nell'attuale quadro normativo, la contrattazione collettiva è demandata in via esclusiva, essendo le associazioni sindacali in grado di realizzare i più adeguati assetti degli interessi collettivi, in relazione alla concreta vicinanza delle associazioni stipulanti a ciascun ambito produttivo di riferimento, avuto riguardo alle reali caratteristiche dell'area contrattuale, ivi comprese le specifiche delle imprese operanti e le possibilità e/o le esigenze occupazionali, potendo sempre dette associazioni adeguare le scelte operate al momento del rinnovo contrattuale.
Corte di Appello di Torino, sezione lavoro, sentenza 12 dicembre 2022 n. 656

QUERELA DI FALSO
Querela di falso – Esperibilità - Limiti
(Cc, articolo 2702; Cpc, articoli 215, 216)
La Corte d'Appello di Cagliari, nella sentenza in esame, afferma (tra l'altro) il principio di diritto secondo cui il riconoscimento tacito della scrittura privata (ex articolo 215 c.p.c.), e la verificazione (ex articolo 216 c.p.c.). attribuiscono ad essa il valore di piena prova fino a querela di falso, secondo quanto dispone l'articolo 2702 c.c., della sola provenienza da chi ne appare sottoscrittore, ma non anche della veridicità del contenuto, sicché quest'ultimo può essere contestato con ogni mezzo di prova, entro i rispettivi limiti di ammissibilità.
Ne consegue che la querela di falso sarà esperibile nel caso di falsità materiale, al fine di scindere il collegamento, quanto alla provenienza, tra dichiarazione e sottoscrizione, ma non in quello di falsità ideologica, per impugnare la veridicità di quanto dichiarato, al qual fine può invece farsi ricorso alle normali azioni volte a rilevare il contrasto tra volontà e dichiarazione.
La querela di falso, tanto se proposta in via principale quanto se proposta in via incidentale, ha invero lo scopo di privare una scrittura privata riconosciuta o un atto pubblico della sua intrinseca idoneità a far fede, vale a dire a servire come prova di atti o di rapporti.
Se questo è lo scopo della querela di falso allora la stessa è proponibile contro chi possa avvalersi del documento, per fondare su di esso una pretesa giuridica, sia o meno l'autore della falsificazione.
Ciò rende evidente che il giudizio civile di falso ed il procedimento penale di falso, pur conducendo entrambi ad un'eliminazione dell'efficacia rappresentativa del documento risultato falso, sono sostanzialmente differenti tra loro: il primo tende soltanto a dimostrare la totale o parziale non rispondenza al vero di un determinato documento nel suo contenuto obiettivo o nella sua sottoscrizione; il secondo, mira anche ad identificare l'autore, al fine di assoggettarlo alle pene stabilite dalla legge.
Ed allora il presupposto della querela di falso è che il documento contro cui essa è rivolta possegga, o sia idoneo a possedere, quella particolare efficacia probatoria che appunto la legge sancisce "fino a querela di falso", trattandosi dello strumento processuale atto a togliere il valore di prova legale alle fonti di prova documentale.
Corte di Appello di Cagliari, sezione spec. agraria, sentenza 13 dicembre 2022 n. 4003

CONTRATTI
Contratto di agenzia – Diritto di esclusiva – Deroga
(Cc, articoli 1743, 1748)
Il diritto di esclusiva – secondo la Corte d'Appello di Milano - benché costituisca elemento naturale del contratto di agenzia ai sensi dell'articolo 1743 c.c., non ne è tuttavia elemento essenziale e può pertanto essere validamente derogato ad opera della volontà delle parti (deroga che può desumersi anche in via indiretta, purché in modo chiaro ed univoco).
Con la precisazione che la predetta deroga ben può essere esplicitata per il tramite di una tacita manifestazione di volontà, che può desumersi dal comportamento tenuto dalle parti al momento della conclusione del contratto ed anche successivamente al momento dell'esecuzione dello stesso.
Al contempo, ove il diritto di esclusiva non venga esplicitamente o tacitamente, per facta concludentia, derogato dalle parti, vincola contrattualmente il preponente a non concludere direttamente gli affari oggetto dell'attività di impresa e a non avvalersi dell'opera di altri collaboratori per la promozione di tali affari nell'ambito della zona pattiziamente stabilita e costituente un territorio geograficamente determinato e delimitato, salvo che tale deroga non avvenga sporadicamente e in modo da non ridurre notevolmente il diritto di esclusiva dell'agente.
Escluso che il preponente possa operare con continuità nella zona di competenza dell'agente, è riconosciuta al medesimo, ai sensi dell'articolo 1748, II, c.c., solamente la facoltà di concludere, direttamente nella zona di esclusiva dell'agente, singoli affari, anche se di rilevante entità, dal cui compimento sorge il diritto dell'agente medesimo a percepire le cosiddette provvigioni indirette.
Poichè gli obblighi delle parti inerenti all'esclusiva derivano dal contratto e non già dalla legge, e difatti possono essere esclusi pattiziamente, la loro inadempienza determina l'insorgere di una responsabilità di natura contrattuale.
Precisamente, l'agente, la cui esclusiva sia stata lesa dalla captazione dei clienti compiuta da agenti incaricati per una diversa zona dalla medesima preponente, ha diritto al risarcimento dei danni contrattuali nei confronti della preponente e al risarcimento dei danni extracontrattuali nei confronti degli agenti concorrenti.
Corte di Appello di Milano, sezione II, sentenza 13 dicembre 2022 n. 3933

FIDEIUSSIONE
Fideiussione - Violazione della normativa antitrust – Nullità parziale
(Cc, articolo 1419; Tfue, articolo 101; legge 287/1990, articolo 2)
Secondo la Corte d'Appello di Firenze sono da considerarsi nulle - per derivazione diretta della nullità - le clausole del contratto di fideiussione che riproducono quelle contenute nel modello Abi dichiarate nulle con provvedimento della Banca d'Italia n. 55/2003.
Tale ipotesi di nullità derivata si esaurisce, esattamente, in una nullità parziale limitata alle clausole stesse non coinvolgendo, quindi, in maniera totalizzante l'intero contratto che tali clausole ha mutuato, nella fondamentale logica interpretativa di conservazione del contratto (vitiatur sed non vitiat) di cui all'articolo1419 c.c..
In sintesi la Corte ha ritenuto che le clausole del contratto di fideiussione a valle, costituendo lo sbocco dell'intesa nulla a monte, vengono ad essere contagiate dalla medesima forma di invalidità ogniqualvolta tra le stesse sussista un collegamento funzionale idoneo a veicolarne l'effetto anticoncorrenziale; collegamento che si riscontra con evidenza quando il contratto a valle riproduce le clausole dell'intesa dichiarata nulla dall'autorità amministrativa di vigilanza (il cui provvedimento costituisce prova privilegiata proprio della sussistenza della condotta anticoncorrenziale).
Le fideiussioni a valle risultano così nulle solo limitatamente alle clausole riproduttive dello schema Abi, poiché solo esse sono poste in violazione della normativa antitrust, a meno che la parte che deduca la nullità totale del contratto non provi che tali disposizioni siano essenziali per l'assetto degli interessi perseguito da entrambe le parti.
È così enunciato il seguente principio di diritto: i contratti di fideiussione a valle di intese dichiarate parzialmente nulle dall'Autorità Garante, in relazione alle sole clausole contrastanti con l'articolo 2, II, lettera a), della legge n. 287/1990 e con l'articolo 101 del Trattato sul Funzionamento dell'Unione Europea, sono parzialmente nulli, ai sensi degli articoli 2, III, della legge succitata e 1419 Cc, in relazione alle sole clausole che riproducano quelle dello schema unilaterale costituente l'intesa vietata, salvo che sia desumibile dal contratto, o sia altrimenti comprovata, una diversa volontà delle parti.
Corte di Appello di Firenze, sezione II, sentenza 14 dicembre 2022 n. 2783

ASSICURAZIONE
Contratto di assicurazione – Rischio – Onere della prova
(Cc, articoli 1341, 1900; Dlgs 209/2005 , articolo 166)
La Corte d'Appello di Venezia afferma, in punto di diritto, il principio secondo cui, quando un'assicurazione preveda la copertura per gli eventi atmosferici naturali in genere, non è indispensabile, per il danneggiato, la prova di un evento atmosferico di carattere straordinario e/o eccezionale al fine di conseguire il risarcimento dovuto.
Resta inteso che l'obbligo dell'assicuratore non è comunque illimitato ma contenuto in limiti temporali, nonché nel limite di un importo stabilito dal contratto (c.d. massimale) che è a sua volta determinato in funzione dell'entità del rischio e dell'ammontare del premio pagato.
Precisamente, quello previsto nel contratto di assicurazione è, di norma, un rischio delimitato, attraverso patti di vario genere che circoscrivono, a seconda delle volontà delle parti e del premio pagato, l'indennizzabilità ai sinistri derivanti da determinate cause, ovvero ai sinistri consistiti in determinati eventi, od ancora ai sinistri che abbiano prodotto determinati effetti.
Come sancito dall'articoilo 166 Dlgs n. 209/2005, le clausole che prevedono limitazioni alle garanzie dell'assicurato devono essere riportate in contratto mediante caratteri di particolare evidenza. Per quanto concerne invece le condizioni che limitano la responsabilità della compagnia assicurativa, l'articolo 1341, II, c.c. prevede che queste debbano essere specificamente approvate dall'assicurato, non avendo altrimenti effetto in quanto vessatorie.
Nell'assicurazione contro i danni, poi, il fatto costitutivo del diritto dell'assicurato all'indennizzo consiste in un danno verificatosi in dipendenza di un rischio assicurato e nell'ambito spaziale e temporale in cui la garanzia opera, essendo pertanto onere dell'assicurato dimostrare che si è verificato un rischio coperto dalla garanzia assicurativa e che esso ha causato il danno di cui reclama il ristoro, analogo onere probatorio incombendo sull'assicurato con riferimento agli elementi temporali e spaziali della garanzia.
Sull'assicuratore, anche in ragione di quanto previsto dall'articolo 1900, I, c.c. (in forza del quale non è dovuto indennizzo per i sinistri cagionati da dolo o colpa grave del contraente), grava l'onere di provare la causa impeditiva o estintiva del diritto all'indennizzo.
Corte di Appello di Venezia, sezione IV, sentenza 14 dicembre 2022 n. 2682  

CONTRATTI
Contratti della Pa – Forma scritta – Conclusione a distanza
(Rd 2440/1923, articoli 16, 17)
Il Tribunale di Cosenza osserva in sentenza come – alla stregua di quanto sancito dagli articoli 16 e 17 Rd n. 2440/1923 - i contratti conclusi con la Pa, ancorché quest'ultima agisca "iure privatorum", debbano rivestire a pena di nullità la forma scritta e debbano, di regola, essere consacrati in un unico documento, salvo che la legge non ne autorizzi espressamente la conclusione a distanza, a mezzo di corrispondenza, come nell'ipotesi prevista per i contratti conclusi con imprese commerciali (che possono essere conclusi attraverso atti non contestuali, a mezzo di corrispondenza, secondo l'uso del commercio).
Per la valida stipulazione dei contratti con la Pa, anche diversi da quelli conclusi a trattativa privata, con le ditte commerciali, il requisito della forma scritta "ad substantiam" non richiede dunque necessariamente la redazione di un unico documento, sottoscritto contestualmente dalle parti, poiché l'articolo 17 cit. contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l'incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente, che per l'Amministrazione possono assumere la forma dell'atto amministrativo.
In sostanza – secondo l'adito Tribunale - la forma solenne può dirsi rispettata sia quando il privato abbia accettato per iscritto la volontà dell'Amministrazione espressa in precedenza attraverso l'attività provvedimentale, sia nell'ipotesi inversa, in cui il privato formuli la proposta in seno ad una domanda tesa ad ottenere un provvedimento amministrativo, cui fa seguito l'accettazione dell'Amministrazione attraverso il rilascio del medesimo atto invocato.
Tale modello di formazione del vincolo contrattuale è ritenuto compatibile con il predetto articolo 17 in quanto l'istanza del privato si atteggia a proposta negoziale, accettata dall'amministrazione mediante il rilascio, congruente rispetto alla richiesta, del provvedimento stesso.
Con la precisazione, infine, che per l'esistenza di un valido contratto con la Pa è essenziale che la manifestazione della volontà dell'ente, in forma scritta, emani dall'organo autorizzato a rappresentarlo, sì che la conclusione del medesimo contratto non può desumersi da atti provenienti da organi preposti ad altri servizi, aventi contenuto e finalità diversi, o da fatti concludenti. Quanto innanzi è a dirsi anche per le ipotesi di rinnovo o di proroga del contratto.
Tribunale di Cosenza, sezione I, sentenza 12 dicembre 2022, n. 2097

STATO CIVILE
Rettificazione di attribuzione di sesso – Domanda - Requisiti
(Legge 164/1982 , articoli 1, 5; Dlgs 150/2011, articolo 31; Dpr 396/2000, articolo 11)
In sentenza il Tribunale di Torino si pronuncia su una domanda di rettificazione di attribuzione di sesso richiamando così, preliminarmente, la normativa di riferimento, ovvero l'articolo 1 della legge n. 164/1982 e l'articolo 31 del Dlgs . n. 150/2011.
Emerge che per la rettificazione di attribuzione di sesso prevista non deve (più) considerarsi presupposto imprescindibile il trattamento chirurgico di modificazione dei caratteri sessuali, sufficiente essendo il rigoroso accertamento del disturbo di identità di genere e di un serio, univoco e tendenzialmente irreversibile percorso individuale di acquisizione di una nuova identità di genere.
Il ricorso alla modificazione chirurgica dei caratteri sessuali risulta, quindi, autorizzabile in funzione di garanzia del diritto alla salute, ossia laddove lo stesso sia volto a consentire alla persona di raggiungere uno stabile equilibrio psicofisico, in particolare in quei casi nei quali la divergenza tra il sesso anatomico e la psicosessualità sia tale da determinare un atteggiamento conflittuale e di rifiuto della propria morfologia anatomica.
La prevalenza della tutela della salute dell'individuo sulla corrispondenza fra sesso anatomico e sesso anagrafico, porta a ritenere il trattamento chirurgico non quale prerequisito per accedere al procedimento di rettificazione, ma come possibile mezzo, funzionale al conseguimento di un pieno benessere psicofisico.
Si sottolinea così la necessità, per il Giudice, di procedere ad un accertamento rigoroso non solo della serietà e dell'univocità dell'intento, ma anche dell'intervenuta oggettiva transizione dell'identità di genere, emersa nel percorso seguito dalla persona interessata; percorso che deve corroborare e rafforzare l'intento così manifestato.
Pertanto, è escluso che il solo elemento volontaristico possa rivestire prioritario o esclusivo rilievo ai fini dell'accertamento della transizione.
Infine, l'attribuzione del nuovo nome - pur non essendo espressamente disciplinata dalla legge n. 164/1982 - consegue necessariamente all'attribuzione di sesso differente, al fine di evitare una discrepanza inammissibile tra sesso e nome, come, peraltro si evince sia dall'articolo 5 della citata Legge del 1982, sia dalla normativa in materia di stato civile (Dpr n. 396/2000, articolo 11), secondo cui il nome di una persona deve corrispondere al sesso.
Tribunale di Torino, sezione VII, sentenza 12 dicembre 2022, n. 4785

CONDOMINIO
Condominio – Impianto di riscaldamento centralizzato – Distacco
(Cc, articolo 1138)
In punto di diritto il Tribunale di Roma afferma in sentenza che la rinuncia unilaterale al riscaldamento condominiale, operata da parte del singolo condomino, mediante il distacco del proprio impianto dalle diramazioni dell'impianto centralizzato, è da ritenersi pienamente legittima, purché l'interessato dimostri che, dal suo operato, non derivino né aggravi di spese per coloro che continuano a fruire dell'impianto, né, tanto meno, squilibri termici pregiudizievoli della regolare erogazione del servizio.
E cioè a dire, i condomini che intendono distaccarsi dall'impianto centralizzato possono farlo, ma a due condizioni: 1) che il distacco non danneggi il funzionamento dell'impianto centralizzato; 2) che, se il distacco provochi degli aumenti delle spese per gli altri condomini, la percentuale d'aumento venga da loro sostenuta.
Tale distacco è dunque in tesi da ritenersi giuridicamente possibile. Il condomino può, pertanto, legittimamente, rinunziare all'uso del riscaldamento centralizzato e distaccare le diramazioni della sua unità immobiliare dall'impianto termico comune, senza necessità di autorizzazione od approvazione degli altri condomini, e, fermo il suo obbligo di pagamento delle spese per la conservazione dell'impianto, è tenuto a partecipare a quelle di gestione, se e nei limiti in cui il suo distacco non si risolva in una diminuzione degli oneri del servizio di cui continuano a godere gli altri condomini.
Di conseguenza, la delibera assembleare che, pur in presenza di tali condizioni, respinga la richiesta di autorizzazione al distacco è nulla per violazione del diritto individuale del condomino sulla cosa comune.
Non solo. Si precisa ancora in sentenza che, ai fini del distacco dal riscaldamento centralizzato, non osta la natura contrattuale della norma impeditiva contenuta nel regolamento di condominio poiché questo è un contratto atipico le cui disposizioni sono meritevoli di tutela solo ove regolino aspetti del rapporto per i quali sussista un interesse generale dell'ordinamento. Il regolamento di condominio, anche se contrattuale, approvato cioè da tutti i condomini e richiamato in tutti gli atti di acquisto (o semplicemente trascritto), non può pertanto derogare alle disposizioni richiamate dall'articolo 1138, XIV, Cc, menomando i diritti che ai condomini derivano dalla legge.
Tribunale di Roma, sezione V, sentenza 13 dicembre 2022 n. 18392

LEGITTIMA DIFESA
Legittima difesa – Condizioni – Limiti
(Cc, articolo 2044; Cp, articolo 52)
Il Tribunale di Firenze è chiamato a pronunciarsi sull'operatività, o meno, nel caso oggetto del suo intervento dell'articolo 52 c.p., norma a cui fa riferimento l'articolo 2044 c.c. in tema di "legittima difesa", che al comma 1 afferma: "non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere un diritto proprio od altrui contro il pericolo attuale di una offesa ingiusta, sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa".
Si osserva così come sia configurabile l'esimente della legittima difesa solo qualora l'autore del fatto versi in una situazione di pericolo attuale per la propria incolumità fisica, tale da rendersi necessitata e priva di alternative la sua reazione all'offesa mediante aggressione.
Mentre nel giudizio penale la "semipiena probatia" in ordine alla sussistenza della scriminante comporta l'assoluzione dell'imputato, nel giudizio civile il dubbio si risolve in danno del soggetto che la invoca e su cui incombe il relativo onere della prova.
Benchè poi l'articolo 2044 c.c., nel sancire l'esonero da responsabilità civile per colui che ha cagionato il danno per legittima difesa, non riproduca espressamente la condizione relativa alla proporzione tra la difesa e l'offesa, non può tuttavia fondatamente dubitarsi che la norma civile abbia recepito la stessa nozione dell'esimente penalistica in tutti i suoi estremi costitutivi, ivi compresa la predetta condizione, senza della quale la reazione difensiva, per effetto del suo trasmodare in eccesso, cessa ovviamente di essere legittima, ponendo in essere un fatto contra jus, soggetto a sanzione penale e fonte di obbligazione civile risarcitoria.
La struttura della scriminante de qua, dunque, è composta da un elemento primario, positivo e imprescindibile - la reazione necessaria (e perciò costretta) al pericolo attuale di una offesa ingiusta, cioè di un illecito - nonchè da un elemento secondario, che rileva esclusivamente nel caso in cui si presenti in veste negativa (sproporzione della reazione), e i cui effetti sono circoscritti dall'elemento primario (proprio perchè la reazione è costretta da un pericolo attuale di offesa ingiusta l'elemento soggettivo di un eventuale eccesso non può essere doloso, dal momento che la volontà di reagire di chi ha posto in essere la condotta è stata "coartata"; solo la colpa pertanto può integrare l'elemento soggettivo).
Tribunale di Firenze, sezione II, sentenza 14 dicembre 2022 n. 3478

RESPONSABILITA' E RISARCIMENTO
Rovina e difetti di cose immobili – Vizi rilevanti – Requisiti
(Cc, articolo 1669)
Il Tribunale di Milano è chiamato a pronunciarsi (tra l'altro) sui vizi riconducibili alla previsione di cui all'articolo 1669 c.c.. Precisa così in sentenza come la nozione di difetto di costruzione ricomprenda sia le alterazioni che investono parti essenziali dell'immobile, sia quelle che riguardano elementi secondari o accessori funzionali all'impiego duraturo dell'opera e tali, pertanto, da incidere in modo considerevole sul godimento dell'immobile.
Non si tratta dunque, necessariamente, di vizi influenti sulla staticità dell'edificio, ma di vizi che possono consistere in qualsiasi alterazione che, pur riguardando soltanto una parte dell'edificio, incida sulla struttura e sulla funzionalità globale dell'edificio medesimo, menomandone il godimento in misura apprezzabile.
I vizi ex art. 1669 c.c., dunque, devono possedere i requisiti della intensità, ossia deve integrarsi un apprezzabile grado di forza o di violenza con cui si produce o si manifesta il vizio, e della diffusività, intesa come capacità e idoneità del vizio ad estendersi presso una porzione rilevante del manufatto. Devono, pertanto, ritenersi gravi solo i vizi che, sebbene riguardanti anche elementi secondari, siano tali da produrre una compromissione effettiva sull'utilizzo e sul godimento dell'immobile.
Pertanto, se è vero che si qualificano come gravi le infiltrazioni e le macchie di umidità, ed altresì le fessurazioni e i distacchi di intonaco della facciata di un edificio, è anche vero che ciò può affermarsi solo quando, per intensità e diffusività, essi siano tali da ridurre l'effettivo godimento dell'immobile.
Con la precisazione che l'art. 1669 c.c. delinea un'ipotesi di responsabilità extracontrattuale in cui possono incorrere, a titolo di concorso con l'appaltatore che abbia costruito un fabbricato minato da gravi difetti di costruzione, tutti quei soggetti che, prestando la loro opera, abbiano contribuito per colpa professionale all'insorgenza dei medesimi vizi.
Tribunale di Milano, sezione VII, sentenza 14 dicembre 2022 n. 9807

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