Civile

Tra vescovo e Comune si riaccende la lotta per le investiture

La Corte d’appello lamenta che la pergamena del 1206 non è prodotta in originale

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di Saverio Fossati

La Chiesa trionfa sul Comune: il feudo non può essere dichiarato demaniale alla leggera. Ci vuole la prova dell’investitura.

La singolare questione sottoposto all’attenzione della Cassazione (che è intervenuta dando ragione alla diocesi di Teramo Atri con la sentenza 24390/2021, relatore Giuseppe Tedesco) nasce dalla pretesa del Comune di Crognaleto di impadronirsi di alcuni terreni che considerava demaniali. La questione, si direbbe, è un po’ datata, dato che nel ricorso si cita la relazione dell’agente demaniale Ciccone del 1810/1811, che infatti escludeva la demanialità dei beni ai fini del ben noto catasto Onciario, istituito nel XVIII secolo e precursore (ahimè non sopravvissuto, a differenza del coevo catasto teresiano) del modernissimo Catasto postunitario.

Una delle principali doglianze della diocesi (che in fatto di età batte tutte le istituzioni coinvolte, dato che la sua istituzione risale al V secolo dC) riguarda il fatto che la Corte d’appello di Roma avesse affermato che l’Istituto diocesano per il sostentamento del clero (cui evidentemente sono care queste terre) non avesse sufficientemente provato che i beni fossero stati donati da Guilberto di Tetone a monsignor Vescovo Pietro II di Goriano nel non lontano 1206. E dire che la Chiesa aveva anche pagato le tasse su quei terreni «pacificamente goduti» almeno quattro volte tra il 1324 e il 1526. L’eccellentissima Corte d’appello lamentava infatti che la pergamena del 1206 non fosse stata prodotta in originale.

Ma l’Istituto diocesano affonda i suoi fendenti ben protetto dalla corazza del diritto, in base al quale il solenne brocardo ubi feuda ibi demania va applicato con le ben note limitazioni: «La Corte d’appello - si legge nella esaustiva sentenza della Cassazione - non ha considerato che i confini giurisdizionali di un feudo coincidono con il demanio feudale solo in caso di feudo universale, mentre, fuori da tale ipotesi (...) il demanio feudale costituiva solo una parte del feudo giurisdizionale». E qui manca proprio la prova dell’investitura di Guilberto o almeno di un suo antenato!

Insomma, per la Cassazione la sentenza della Corte d’appello va rifatta, con diversa ripartizione dell’onere della prova, tenendo conto del fatto che il sacrosanto principio ubi feuda ibi demania opera solo se «sia stata data la prova della natura feudale di quelle terre. La preventiva ed essenziale verifica di tale presupposto non emerge dalla sentenza impugnata». Il Comune, insomma, dovrà trovare l’investitura regia concessa a Guilberto (o a un suo ancor più remoto antenato, con l’intervento di un genealogista) e farla valere. Chissà.

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