Casi pratici

Controversie condominiali: rappresentanza e litisconsorzio

La rappresentanza

di Lina Aviglaino

la QUESTIONE
Se ci sono problemi con il condominio, a chi si deve fare causa: all'amministratore o a tutti i condomini? In altre parole: in quali casi si devono citare tutti i condomini e in quali basta citare l'amministratore? Se il giudizio viene mal introdotto, esistono rimedi o si deve ricominciare?


In ambito condominiale, non può parlarsi di litisconsorzio senza prima aver chiarito il concetto di rappresentanza, come formulato dall'art. 1131 c.c., interpretato dalle famose sentenze a Sezioni Unite della Corte di Cassazione, nn. 18331 e 18332 del 2010.
Ai sensi dell'art. 1131 c.c., l'amministratore ha la rappresentanza del condominio (attiva e passiva) in determinate materie, e cioè nell'ambito delle sue attribuzioni, siano esse ordinarie (legali o regolamentari) ovvero straordinarie.
Le citate Sezioni Unite hanno evidenziato come sia necessario verificare se la controversia sia compresa o esuli da quelle per le quali l'amministratore è autonomamente legittimato ex art. 1131 c.c., comma 1. Tale norma, infatti, conferisce una rappresentanza di diritto all'amministratore, il quale è legittimato ad agire (e a resistere) in giudizio (nonché a proporre impugnazione) senza alcuna autorizzazione, nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 c.c., o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea.
Le Sezioni Unite hanno analizzato la questione della rappresentanza attiva e passiva partendo da quanto previsto nell'65 disp. att. c.c., secondo il quale, quando per qualsiasi causa manca il legale rappresentante dei condomini, chi intende iniziare o promuovere una lite contro i partecipanti a un condominio può richiedere la nomina di un curatore speciale ai sensi dell'art. 80 c.p.c. e il curatore speciale deve convocare l'assemblea dei condomini per avere istruzioni sulla condotta della lite. Seguendo questo ragionamento, la Suprema Corte ha dedotto che l'amministratore di condominio non è un organo necessario del condominio. E questo è confermato anche dal fatto che l'art. 1129 c.c. richiede espressamente la nomina di un amministratore solo quando il numero di condomini sia superiore a otto; ne consegue che, in materia di condominio negli edifici, il depositario del potere decisionale è l'assemblea dei condomini. Nel condominio, l'essenza delle funzioni dell'amministratore è legata in modo imprescindibile al potere decisionale dell'assemblea e nessun potere decisionale o gestorio compete all'amministratore di condominio in quanto tale. Inoltre, anche l'art. 1131 c.c., nell'attribuire all'amministratore di condominio un potere di rappresentanza dei condomini e di azione in giudizio, chiarisce che tale potere è conferito nei limiti delle attribuzioni stabilite dall'art. 1130 o dei maggiori poteri conferitigli dal regolamento di condominio o dall'assemblea.
Circa la legittimazione passiva, poi, l'art. 1131 c.c., comma 2, prevede che l'amministratore possa essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell'edificio, e il comma 3 aggiunge che qualora la citazione abbia contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell'amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio comunicazione all'assemblea. Secondo le citate Sezioni Unite, tali disposizioni devono essere interpretate alla luce dei principi generali e, soprattutto, del ruolo e delle competenze dell'amministratore di condominio, nonché in base al diritto di dissenso dei condomini rispetto alle liti ai sensi dell'art. 1132 c.c. Poiché l'amministratore non ha autonomi poteri, egli si limita a eseguire le deliberazioni dell'assemblea ovvero a compiere atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio; così, anche in materia di azioni processuali, il potere decisionale spetta solo ed esclusivamente all'assemblea che dovrà deliberare se agire in giudizio, se resistere e se impugnare i provvedimenti in cui il condominio risulta soccombente.
L'attribuzione in via esclusiva in capo all'assemblea di condominio del potere di decisione se resistere in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole, per cui occorre che l'amministratore sia autorizzato a tanto, va però ancora raccordata con la legittimazione passiva generale attribuita all'amministratore dall'art. 1131 c.c., comma 2. Secondo le Sezioni Unite, tale legittimazione rappresenta lo strumento attraverso il quale bilanciare l'esigenza di agevolare i terzi e la necessità di una tempestiva difesa, con lo scopo di evitare decadenze e preclusioni dei diritti inerenti le parti comuni dell'edificio. Pertanto, l'amministratore convenuto può anche autonomamente costituirsi in giudizio o impugnare la sentenza sfavorevole, nel quadro generale di una tutela d'urgenza dell'interesse comune che integra la ratio della figura dell'amministratore di condominio e della legittimazione passiva generale, ma il suo operato deve essere ratificato dall'assemblea, titolare del relativo potere. La ratifica, che vale a sanare con effetti ex tunc l'operato dell'amministratore che abbia agito senza autorizzazione dell'assemblea, è necessaria sia per paralizzare la dedotta eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio o dell'impugnazione, sia per ottemperare al rilievo ufficioso del giudice che, in tal caso, dovrà assegnare, ex art. 182 c.p.c., un termine all'amministratore per provvedere. Con particolare riferimento alla legittimazione passiva, poi, l'amministratore di condominio è titolare del solo onere di ricevere gli atti e i provvedimenti in nome e per conto del condominio, ma non ha un autonomo potere di costituzione in giudizio o di impugnativa di provvedimenti negativi. L'amministratore potrà, a tutela delle esigenze del condominio per motivi di urgenza, costituirsi anche senza autorizzazione preventiva, ma dovrà fornirsi in un momento successivo di una deliberazione assembleare che con le necessarie maggioranze ratifichi il suo operato. In difetto di ratifica, la difesa svolta sarà sanzionabile con la declaratoria di inammissibilità.
Le Sezioni Unite sintetizzano quindi la loro riflessione enunciando il seguente principio di diritto: «L'amministratore di condominio, in base al disposto dell'art. 1131 c.c., commi 2 e 3, può anche costituirsi in giudizio e impugnare la sentenza sfavorevole senza previa autorizzazione a tanto dall'assemblea, ma dovrà, in tal caso, ottenere la necessaria ratifica del suo operato da parte dell'assemblea per evitare pronuncia di inammissibilità dell'atto di costituzione ovvero di impugnazione».
Litisconsorzio necessario
Ai sensi dell'art. 102 c.p.c.: «Se la decisione non può pronunciarsi che in confronto di più parti, queste debbono agire o essere convenute nello stesso processo. Se questo è promosso da alcune o contro alcune soltanto di esse, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito».
In buona sostanza, il litisconsorzio necessario ricorre quando la fattispecie di cui viene interessato il giudice riguarda una situazione sostanziale che sia plurisoggettiva e che debba essere necessariamente decisa in maniera unitaria nei confronti di ogni soggetto che ne sia partecipe, perché altrimenti il provvedimento giudiziario perderebbe utilità. Infatti, indipendentemente dalla natura del provvedimento richiesto, che sia una sentenza costitutiva, di condanna o meramente dichiarativa, risulterebbe completamente inutile e inapplicabile se pronunciato nei confronti di uno solo dei soggetti che la fattispecie coinvolge.
E così, anche portando il discorso all'istituto del condominio, si può dire che sussiste il litisconsorzio necessario di tutti i condomini ogni qual volta la sentenza, in vista della sua applicazione concreta, sarebbe inutile se non fosse vincolante per tutti. È il caso della declaratoria di nullità del regolamento di condominio; della revoca e/o nomina giudiziale dell'amministratore; dell'accertamento della proprietà esclusiva o comune di un bene; della modifica giudiziale delle tabelle millesimali, della demolizione di un bene comune.
Ai soli fini esemplificativi si pensi al caso della vertenza avente a oggetto la determinazione ex novo della tabella millesimale o comunque la dichiarazione di nullità di una deliberazione assembleare che l'abbia modificata a maggioranza in assenza dei requisiti previsti dal combinato disposto degli artt. 1138 c.c. e 68 e 69 delle disposizione di attuazione dello stesso (come rinnovato dalla riforma del 2012). Il provvedimento che andrà a decidere un tale giudizio avrà inevitabilmente effetti verso tutti i condomini, ma non solo per quanto riguarda i riflessi condominiali della sentenza (anche la semplice impugnativa di delibera svolge i suoi effetti su tutti i condomini), ma anche e soprattutto sui diritti soggettivi di ciascun singolo condomino. E questo perché se è vero, come è vero, che le tabelle millesimali sono generalmente dichiarative e non costitutive, è pur vero che esistono tabelle millesimali che, per tutta una serie di motivi, vanno a derogare la normale ripartizione delle spese, trattandosi pur sempre di diritti disponibili. Il provvedimento che conclude un tale giudizio incide direttamente nella sfera dominicale dei singoli condomini, giudizio che deve quindi interessare direttamente e personalmente i suddetti singoli condomini.
Lo stesso dicasi per il caso del distacco dal riscaldamento condominiale, laddove il giudizio correttamente instaurato dal condominio nei confronti di due condomini che si erano distaccati illegittimamente, sia poi giunto in grado di appello verso uno solo di detti condomini, avendo l'altro di fatto adempiuto a quanto stabilito nella deliberazione assembleare poi confermata in giudizio. In proposito la Suprema Corte sin dal 2000 ha stabilito che «se la decisione viene resa nei confronti di più condomini, che abbiano agito in uno stesso processo, tutti sono parti necessarie nei successivi giudizi di impugnazione, poiché per tutti deve potere fare stato soltanto la pronuncia finale, dandosi altrimenti luogo all'eventualità di giudicati contrastanti, con l'affermazione della legittimità della deliberazione per alcuni e della sua invalidità per altri».
Litisconsorzio facoltativo
Ai sensi dell'art. 103 c.p.c. sono invece regolati i casi di litisconsorzio facoltativo: «Più parti possono agire o essere convenute nello stesso processo, quando tra le cause che si propongono esiste connessione per l'oggetto o per il titolo dal quale dipendono, oppure quando la decisione dipende, totalmente o parzialmente, dalla risoluzione di identiche questioni. Il giudice può disporre, nel corso della istruzione o nella decisione, la separazione delle cause, se vi è istanza di tutte le parti, ovvero quando la continuazione della loro riunione ritarderebbe o renderebbe più gravoso il processo, e può rimettere al giudice inferiore le cause di sua competenza».
In buona sostanza, se un condomino, convenuto da un altro condomino che vanti il diritto di usare una cosa comune, quale può essere l'impianto di ascensore, proponga un'eccezione riconvenzionale di proprietà esclusiva al solo fine di paralizzare la pretesa avversaria, non si configura un'ipotesi di litisconsorzio necessario dei restanti condomini, ma solo facoltativo, perché il litisconsorzio necessario si verificherebbe ove egli proponesse, ai sensi degli artt. 34 e 36 c.p.c., una domanda riconvenzionale diretta a conseguire la dichiarazione di proprietà esclusiva del bene, con effetti di giudicato estesi a tutti i condomini.
Ciascuno dei singoli condomini e' legittimato ad esercitare, senza necessita' di litisconsorzio con gli altri comunisti, sia le azioni a tutela della rispettiva unita' immobiliare di proprieta' esclusiva, sia le azioni a difesa della cosa comune, e sia nei confronti dei terzi che di ogni altro partecipante alla comunione.
Il litisconsorzio facoltativo esiste sostanzialmente sempre nel contenzioso condominiale, ma motivi di economicità processuale rendono inutile l'adire in giudizio tutti i condomini. Ciò non toglie che, proprio per l'assenza di una personalità giuridica del condominio, per qualunque causa chiunque potrebbe citare in giudizio ogni singolo condomino, essendo la materia condominiale caratterizzata dal vincolo di comproprietà di alcuni beni strutturalmente e/o funzionalmente legati alle singole proprietà esclusive.
Considerazioni conclusive
In definitiva, il condomino che voglia adire in giudizio il condominio per questioni attinenti lo stesso potrà sempre citare ogni singolo condomino, ma nella grandissima maggioranza dei casi potrà citare in giudizio il solo condominio in persona dell'amministratore legale rappresentante pro tempore. Questi è infatti il soggetto individuato dalla vigente normativa, e in particolare dall'art. 1131 c.c., come il normale destinatario degli atti giudiziari indirizzati al condominio.
Vi sono poi casi in cui non sarà sufficiente citare in giudizio il condominio in persona dell'amministratore, ma sarà necessario che siano chiamati tutti i condomini singolarmente, in applicazione di un litisconsorzio necessario. La necessità deriva dal fatto che il provvedimento che andrà a definire il giudizio avrà conseguenze nella sfera dei diritti soggettivi dei singoli e, come tali, interessi non delegati alla cura dell'amministratore che è mero mandatario per la gestione delle parti comuni dell'edificio.

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