Penale

Malati psichiatrici: ordimento penitenziario alla Consulta

di Patrizia Maciocchi


Va alla Consulta l'ordinamento penitenziario per la parte in cui non prevede la detenzione domiciliare anche in caso di grave infermità psichica, e non solo fisica, sopravvenuta durante l'esecuzione della pena. La Corte di cassazione, con l'ordinanza 13382 , solleva d'ufficio i dubbi sul possibile contrasto con la Carta dell'articolo 47-ter comma 31ter della legge 354/1975, che metterebbe in atto una disparità di trattamento perché non prevede la detenzione domiciliare anche nel caso di gravi patologie psichiatriche che hanno colpito il detenuto durante l' espiazione della pena. I giudici della prima sezione penale, chiedono lumi alla Consulta per decidere sull'istanza di un detenuto, con numerosi precedenti penali, con una pena residua di sei anni e 4 mesi, per rapina. L'uomo, al quale era stato diagnosticato un disturbo bordel line della personalità, si era tagliato la gola in due occasioni ed era seguito da uno psichiatra. Il tribunale di sorveglianza aveva respinto la richiesta di differimento facoltativo dell'esecuzione della pena, come previsto dall'articolo 147 del codice penale, però solo per chi ha una malattia fisica. Il tribunale aveva osservato che non c'erano margini neppure per il rinvio obbligatorio dell'esecuzione pena (articolo 146 del Codice penale) applicabile in altri casi: dalla donna incinta al malato di Aids. La Suprema corte esclude la possibilità di applicare la norma sull'infermità psichica sopravvenuta che prevede il ricovero negli ospedali psichiatrici giudiziari (articolo 148 del Codice penale) per la sua “tacita” abrogazione. Né può ipotizzarsi la sostituzione degli Opg con le Rems, posto che le vigenti disposizioni indicano le Residenze come luoghi di esecuzione delle sole misure di sicurezza. Non è rilevante neppure la previsione della legge 103/2017, in particolare il punto della delega (lettera d) articolo 16, comma 1) che prevede l'assegnazione alle Rems anche dei soggetti portatori di una grave infermità psichica sopraggiunta nel corso della detenzione in caso di inadeguatezza dei trattamenti praticati all'interno del carcere. La possibilità non torna utile essendo, appunto, indicata in una delega non ancora tradotta in disposizione applicabile.
La Cassazione prende atto del fatto che, al momento, il nostro ordinamento non prevede una via d'uscita per chi si trova nella situazione del ricorrente, con una pena residua superiore a 4 anni. La mancata alternativa al carcere è però secondo i giudici sia in contrasto con la Costituzione sia con la Convenzione europea dei diritti dell'Uomo. I giudici della prima sezione avvertono anche del rischio di scivolare nel divieto di trattamenti inumani e degradanti, e attirano l'attenzione sul diritto fondamentale alla saluta oltre che sulla funzione rieducativa della pena. E' abbastanza per chiamare in causa il giudice delle leggi

Corte di cassazione – Ordinanza 22 marzo 2018 n.13382

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