Alluvione di Genova del 2014, il parcheggio e l’assicurazione risarciscono i danni alle auto
La Cassazione, sentenza n. 21461 depositata oggi, ha confermato la condanna di una società che gestisce parcheggi, e in manleva dell’assicurazione, a risarcire con oltre 50mila euro il proprietario di un’auto di lusso finita sotto quintali di fango durante l’alluvione di Genova del 9 ottobre 2014.
A fondamento della domanda l’attore assumeva che i danni erano dipesi dall’omesso avvertimento, da parte del gestore e delle Pubbliche Autorità, del rischio alluvione, che gli avevano impedito di adottare le cautele richieste ai proprietari dei veicoli in caso di allerta e, quindi, di parcheggiare l’auto al di fuori dell’autorimessa. Egli, infatti, aveva in corso un contratto di parcheggio annuale per un posto auto al piano -3 che, a causa dell’esondazione del fiume Bisagno, si era allagato “causando danni alla propria autovettura, rimasta sommersa oltre la parte superiore della cappotta da acqua, detriti e fanghiglia per diversi giorni”.
Prima il Tribunale di Genova e poi la locale Corte di appello gli avevano dato ragione ritenendo dimostrato il rapporto di custodia, nonché il nesso di causalità “tra la cosa ed il danno” e valutando come “non eccezionale” il fenomeno meteorologico verificatosi la sera del sinistro. La Srl venne dichiarata responsabile e condannata al pagamento di 50.400 euro a titolo di risarcimento danni, oltre accessori e spese. Condannata anche la terza chiamata, Allianz S.p.A., in manleva della s.r.l., al pagamento diretto (ex articolo 1917, comma 2, c.c.) in favore dell’attore delle somme, con applicazione della franchigia; l’assicurazione veniva condannata anche al pagamento delle spese di lite.
Contro questa decisione Allianz ha proposto ricorso in Cassazione. Nel rigettare i diversi motivi di gravame, la Terza sezione civile ricorda che il giorno dell’alluvione “l’autorimessa era pacificamente aperta senza che fossero presenti cartelli o avvisi sul grado di allerta disposto con l’ordinanza sindacale n. 221/2012, che è stata pertanto disattesa, in violazione degli obblighi di custodia”.
La Suprema corte ricorda poi che nella responsabilità per danno cagionato da cose in custodia (articolo 2051 c.c.), “l’adozione, da parte dell’autorità amministrativa, di delibere dichiarative dello stato di calamità non costituisce di per sé prova dell’eccezionalità ed imprevedibilità degli eventi meteorici che abbiano causato danni alla popolazione, in quanto il concetto di ‘calamità naturale’ espresso nelle leggi sulla protezione civile si riferisce al danno o al pericolo di danno e alla straordinarietà degli interventi tecnici destinati a farvi fronte, non alle caratteristiche intrinseche degli eventi naturali che di quel danno siano stati la causa o la concausa”.
Mentre di recente le Sezioni Unite hanno stabilito che: (a) per sussistere la responsabilità è necessaria la sola dimostrazione del nesso causale tra la cosa in custodia e il danno, e non già una presunzione di colpa del custode; (b) tale responsabilità può essere esclusa solo in due casi: prova del caso fortuito, senza intermediazione di alcun elemento soggettivo, oppure dimostrazione della rilevanza causale della condotta del danneggiato, esclusiva o concorrente, alla produzione del danno, rientrando detta ipotesi invece nella categoria dei fatti umani, connotata in modo indefettibile da colpa ex art. 1227 c.c. e dalla oggettiva imprevedibilità e imprevedibilità rispetto all’evento dannoso; (c) concetti questi ultimi da intendersi non già come assoluta impossibilità di prevedere l’eventualità di una condotta imprudente, negligente o imperita del danneggiato, ma nel senso di rilevanza delle sue condotte come oggettivamente imprevedibili o anche solamente colpose, perché violative dei doveri minimi di cautela, che vanno valutati non sul piano soggettivo del custode, ma, ancora una volta, su quello puramente oggettivo della regolarità causale.
Tornando al caso specifico, la Corte territoriale ha concluso “per l’assenza del caso fortuito, per la prevedibilità dell’evento e, quindi, per la piena operatività dell’ordinaria regola generale della riconducibilità della responsabilità in capo al custode”, ancorando la sua decisione ad una motivazione “adeguata e intelligibile”, corroborata dagli elementi probatori acquisiti in primo grado, tra cui la CTU resa in un giudizio parallelo.