Amministratore di società di capitali, le cause del licenziamento vanno indicate nella delibera assembleare
Le ragioni della revoca per giusta causa devono essere rinvenibili in modo chiaro e esaustivo
Le ragioni che integrano la giusta causa di revoca dell'amministratore di società di capitali ai sensi dell'articolo 2383, comma 3, del codice civile devono essere specificamente enunciate nella delibera assembleare senza che sia possibile una successiva deduzione in sede giudiziaria di ragioni ulteriori. A ribadire questi principi è la sentenza della Corte di Cassazione n. 21495 depositata il 6 ottobre.
Il caso - Il presidente del consiglio di sorveglianza di una società quotata a partecipazione pubblica agiva nei confronti dell'ente al fine di ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito della revoca senza giusta causa dalla carica.
Il tribunale di primo grado accoglieva la domanda attorea, condannando la società al pagamento di un risarcimento pari ad un milione di euro. In particolare, il giudice territoriale rilevava che la revoca fosse priva di giusta causa poiché l'ordine del giorno e la delibera erano privi dell'enunciazione dei motivi posti a fondamento della decisione assembleare.
La Corte d'Appello innanzi alla quale veniva proposta impugnazione della sentenza, confermava la pronuncia di primo grado, rilevando peraltro che i motivi di revoca non erano stati adeguatamente descritti nel corso della discussione all'esito della quale era stata assunta la delibera. Tanto è che che alcuni membri del consiglio di sorveglianza avevano richiesto nel corso dell'assemblea spiegazioni ed integrazioni.
Da ciò conseguiva che i motivi indicativi della rottura del rapporto fiduciario tra il Presidente e i soci di maggioranza non potevano essere esaminati dalla corte di merito per mancanza di chiarezza sulle ragioni poste a base della revoca.
La società ricorreva quindi in Cassazione lamentando, sul punto, da un lato, la sussistenza di un vizio di motivazione per contraddittorietà della stessa e dall'altro un'errata applicazione della legge.
La posizione della Cassazione - La Suprema Corte, rigettando integralmente il ricorso della società per carenza di vizi di motivazione della pronuncia di merito, ha innanzitutto ricordato che, ai sensi delle ordinarie regole di ripartizione dell'onere probatorio stabilite dall'articolo 2697 codice civile, «grava sulla società l'onere di dimostrare la sussistenza di una giusta causa di revoca dell'amministratore, quale fatto costitutivo della facoltà di recedere senza conseguenze risarcitorie».
Secondo il costante orientamento della Suprema Corte, «la giusta causa di revoca consiste nell'esistenza di circostanze sopravvenute, anche non integranti inadempimento, siano o no provocate dall'amministratore, le quali pregiudicano l'affidamento nel medesimo ai fini del migliore espletamento dei compiti della carica», compromettendo così il "rapporto fiduciario" esistente tra amministratore e società. Precisa, inoltre, la Suprema Corte, che ai fini della sussistenza della giusta causa, non sono sufficienti mere divergenze o meri attriti con gli amministratori, ove si tratti di contrasti rientranti nella normale dialettica del consiglio di amministrazione, essendo dunque necessario un grave inadempimento o una condotta contraria a correttezza tale da compromettere irrimediabilmente il rapporto di fiducia.
La Corte ha ribadito, infine, il principio secondo il quale le ragioni della revoca per giusta causa devono essere rinvenibili in modo chiaro e esaustivo nella delibera assembleare, ai fini sia della sua validità sia della verifica della sussistenza di tali motivi in sede giudiziale.
Nella specie i giudici di merito avevano ritenuto che proprio tale ultimo requisito fosse del tutto assente, tanto da precludere al giudice qualunque verifica circa la correttezza dell'operato della società, con motivazione ritenuta dalla Suprema Corte adeguata e priva di vizi logici, e dunque incensurabile in sede di legittimità.