Famiglia

Assegno divorzile: occorrono fatti gravi e precisi per il diritto a una somma perequativo-compensativa

Non basta che uno dei due coniugi viva in una situazione economica migliore. Occorre vedere se, durante la vita coniugale, l'ex più debole abbia partecipato alla realizzazione del patrimonio familiare

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di Giampaolo Piagnerelli

«Ai fini della quantificazione dell'assegno divorzile occorre valutare il contributo dato dal coniuge all'incremento del patrimonio dell'altro. Quest'ultima caratteristica non si può presumere, occorrendo fatti gravi, precisi e concordanti che la giustifichino, e deve essere quindi dimostrato dal coniuge che agisce in giudizio per il riconoscimento dell'assegno divorzile. In effetti, deve osservarsi che, ai fini del riconoscimento del diritto all'assegno divorzile, la sentenza impugnata ha richiamato il più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui l'istituto in questione assolve, oltre a una funzione assistenziale, anche una funzione perequativo-compensativa, che discende direttamente dalla declinazione del principio costituzionale di solidarietà, e conduce al riconoscimento di un contributo volto a consentire al richiedente non già il conseguimento dell'autosufficienza economica sulla base di un parametro astratto, ma il raggiungimento di un livello reddituale adeguato all'apporto fornito alla realizzazione della vita familiare, tenendo conto in particolare delle aspettative professionali sacrificate».

Il doppio requisito richiesto dalla Cassazione

La Cassazione - con l'ordinanza n. 10614/23 - nell'ambito del richiamato orientamento, ha precisato che, ai fini della valutazione dell'inadeguatezza dei mezzi economici e dell'impossibilità di procurarseli per ragioni obiettive, occorre tener conto:

1) dell'impossibilità per il richiedente di vivere autonomamente e dignitosamente;

2) della necessità di compensare l'assegno per il particolare contributo che dimostri di avere fornito, nel corso della vita coniugale, alla formazione del patrimonio comune o di quello dell'altro coniuge. E' stata , invece, esclusa la possibilità di attribuire rilievo, a tal fine, al solo squilibrio economico esistente tra le parti o all'alto livello reddituale dell'altro coniuge.

La Cassazione ha così rinviato la decisione al giudice di merito che dovrà valutare se durante il ventennale rapporto matrimoniale la moglie casalinga ha effettivamente apportato un contributo per la realizzazione di un patrimonio familiare (costituito per lo più dal marito imprenditore).

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