Lavoro

Avvocati, la gravità della condanna legittima la "sospensione"

Lo ha stabilito la Cassazione, sentenza n. 10740 depositata oggi, respingendo il ricorso di un avvocato di Rieti

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di Francesco Machina Grifeo

Lo "strepitus fori" che autorizza la sospensione cautelare dalla professione di avvocato, è insita, senza dunque bisogno di ulteriore dimostrazione, nella condanna a tre anni e tre mesi del legale per truffa nell'esercizio della professione e patrocinio infedele ai danni di tre clienti.

Lo hanno stabilito le Sezioni unite della Cassazione, sentenza n. 10740 depositata oggi, respingendo il ricorso di un avvocato di Rieti contro la misura adottata dal locale Consiglio dell'Ordine, e poi confermata dal Consiglio nazionale forense, che aveva sollevato per otto mesi il professionista dall'esercizio della professione.

Secondo il ricorrente invece la decisione violava gli artt. 32 del Regolamento disciplinare n. 2/2014 e 60, Legge n. 247/2012, in quanto il provvedimento di sospensione "avrebbe dovuto trovare giustificazione nella necessità di sedare il c.d. strepitus fori, non potendo trovare fondamento solo nella gravità dell'imputazione".

Al contrario, per la Suprema corte, il Giudice disciplinare, "ben lungi dall'avere assegnato automaticità alla sospensione, e, peraltro ben conscio della gravità dei fatti (tutti maturati nell'esercizio della professione d'avvocato) addebitati con la sentenza di condanna penale, ha compiutamente e razionalmente spiegato che la naturale diffusività della notizia, procurata dalla pubblicità del dibattimento penale, imponeva la misura cautelare, al fine di tutelare il decoro e la dignità dell'avvocatura".

Del resto, prosegue, "non è dubbio" che sia l'entità della pena che il titolo dei reati addebitati rientrano nell'ipotesi normativa prevista della legge professionale e dal Regolamento.

Mentre "l'eco di notorietà dei fatti derivante dalla pronuncia di pubblica condanna penale, a prescindere dall'epoca alla quale i fatti risalgono, e, come ovvio, dalla consistenza dell'incolpazione, di esclusivo dominio del giudice penale, rende attuale quello ‘strepitus fori' costituente ratio della misura".

Nel caso in esame, dunque, conclude la Corte, "il professionista risulta essere stato condannato con sentenza penale, a seguito di pubblico dibattimento, quindi, il disdoro che ne deriva per la professione, oltre che attuale, appare necessariamente concreto, specie ove i fatti risultino, non solo corrispondenti alle tipologie di reato previste dalla legge, ma intimamente correlati all'esercizio della professione d'avvocato".

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