Comunitario e Internazionale

Banche, Irap sui dividendi a rischio di incompatibilità

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di Giovanni Falsitta e Davide Settembre

L’Irap sui dividendi di banche e assicurazioni a rischio di incompatibilità con la normativa Ue alla luce delle recenti posizioni espresse dalla Corte di Giustizia con la sentenza C-365/16.

Con la sentenza gli eurogiudici hanno stabilito che l’articolo 4, paragrafo 1, lettera a) della direttiva 2011/96/Ue («Madri e Figlie»), anche alla luce del seguente paragrafo 3, debba essere interpretato nel senso che tali disposizioni ostano a una qualsiasi misura fiscale, prevista dallo Stato membro della società madre, che comporti un’imposizione dei dividendi eccedente la soglia del 5% (ragionevolmente da intendere in termini di concorso all’imponibile).

Nel caso di cui si tratta, i giudici comunitari erano stati chiamati a esaminare la domanda di pronuncia pregiudiziale, sollevata dal Consiglio di Stato francese nel corso di un procedimento inerente la compatibilità con la direttiva Madri e Figlie del codice delle imposte nella parte in cui prevede la riscossione, in capo alla società madre residente e al momento della distribuzione dei dividendi da parte della stessa, di un contributo aggiuntivo all’imposta sulle società nella misura del 3%.

La contrarietà alla disciplina comunitaria risiede nel fatto che la base imponibile del contributo potrebbe comprendere anche l’intero importo (ossia il 100%) dei dividendi provenienti dalle società “figlie”, circostanza che comporterebbe l’assoggettamento dei medesimi a un’imposizione che supera il limite del 5% previsto all’articolo 4, paragrafo 3, della direttiva.

Secondo la Corte «poco rileva che la misura fiscale nazionale sia o meno qualificata come imposta sulle società» (punto 33 della sentenza), in quanto la direttiva impone allo Stato della società “figlia”, al fine di neutralizzare la doppia imposizione giuridica, di non applicare le ritenute in uscita e, per quanto qui rileva, allo stato della “madre” di rimuovere la doppia imposizione economica.

In particolare, in base all’ articolo 4, par. 1, lett. a) e b), quando la società madre riceve utili distribuiti dalla società “figlia”, lo Stato membro della società madre deve:

astenersi dal sottoporre tali utili a imposizione nella misura in cui essi non sono deducibili per la società figlia e sottoporli a imposizione nella misura in cui essi sono deducibili per la società figlia, oppure

sottoporli a imposizione, autorizzando però detta società madre o la sua stabile organizzazione a detrarre dalla sua imposta la frazione dell’imposta societaria relativa ai suddetti utili pagata dalla società figlia e da una sua subaffiliata.

Inoltre, in base all’articolo 4, paragrafo 3 della direttiva, ogni Stato ha la facoltà di stabilire che le minusvalenze risultanti dalla distribuzione degli utili della società figlia e gli oneri di gestione relativi alla partecipazione non siano deducibili dall’utile imponibile della società madre.

Tuttavia, qualora le spese di gestione relative alla partecipazione siano determinate in modo forfettario, tale importo non può essere superiore al 5%o degli utili distribuiti dalla società figlia. Nel caso esaminato dalla Corte è acclarato che la Francia, al pari dell’Italia, abbia «optato per l’esenzione nella misura del 95%».

La sentenza potrebbe avere una ricaduta anche sul versante italiano, con particolare riferimento all’inclusione nella base imponibile Irap dei dividendi delle figlie con riguardo alle madri che operano nel settore finanziario. Infatti, mentre il regime Ires di questi soggetti sarebbe compatibile con quanto statuito dalla Corte, non altrettanto si può affermare per il trattamento Irap.

In particolare, per i soggetti che determinano la base imponibile ai sensi degli articoli 6, comma 1 (banche e altri enti finanziari diversi da Sim e Sgr) e articolo 7 (compagnie assicurative) del decreto Irap, i dividendi concorrono a formare la base imponibile nella misura del 50% del loro ammontare e quindi in misura eccedente il limite del 5% previsto dalla direttiva.

Pertanto, si potrebbe profilare una incompatibilità del descritto regime Irap con la direttiva «Madri e Figlie», a nulla rilevando, secondo la Corte, la tipologia dell’onere fiscale imposto.

A questo punto, per le ragioni evidenziate, i contribuenti interessati potrebbero recuperare le eventuali maggiori imposte versate a titolo di Irap presentando un’istanza di rimborso entro 48 mesi dal versamento dell’imposta eccedente o una dichiarazione integrativa a favore.

Corte di giustizia – Sentenza C 365/16

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