Società

Banche, il ripianamento del debito non è mutuo

La Cassazione, sentenza 1517/2021, ha escluso l'insinuazione al passivo in quanto basata su un titolo errato

di Francesco Machina Grifeo

La Cassazione, sentenza n. 1517 del 25 gennaio 2021, censura la pratica utilizzata dalla banche per rifinanziare lo scoperto di conto delle imprese di qualificare l'operazione come mutuo ipotecario, indicandone fittiziamente la destinazione ad investimenti immobiliari. Non basta infatti scrivere che il denaro verrà utilizzato per una determinata attività per realizzare un mutuo di scopo convenzionale.

Fallita la società, la banca aveva tentato di essere ammessa al passivo in via privilegiata ma il curatore si era opposto osservando che l'importo, accreditato sul conto in rosso, era pacificamente servito soltanto a coprire lo scoperto, trasformando un debito chirografario in privilegiato, in un momento in cui peraltro già vi erano dei creditori.

"L'operazione di ripianamento di debito a mezzo di nuovo credito, che la banca già creditrice realizzi mediante accredito della somma su un conto corrente gravato di debito a carico del cliente – scrive la I Sezione civile, affermando un principio di diritto -, non integra gli estremi del contratto di mutuo, bensì quelli di una semplice modifica accessoria dell'obbligazione, come conseguente alla conclusione di un pactum de non petendo ad tempus".

La struttura contrattuale del mutuo, spiega la decisione, "implica la consegna delle somme di denaro". Senza l'effettivo trasferimento della loro proprietà e disponibilità si realizza soltanto "un'operazione di natura contabile". Così è accaduto nel caso specifico, dove l'effetto è stato quello di una "automatica e immediata modifica del saldo di conto", così precludendo ogni eventuale utilizzabilità dell'importo da parte del cliente. Diversamente, quando la posta attiva supera il debito, e solo per quella parte, l'operazione può iscriversi nel contesto del contratto di mutuo.

Ma allora come qualificare l'operazione? Per la Suprema corte siamo davanti ad una fattispecie di "mero differimento del tempo di esecuzione della prestazione dovuta". Una semplice "modificazione accessoria dell'obbligazione" che quindi non comporta novazione e che dunque di per sé non è inidonea a supportare una domanda di insinuazione al passivo. La domanda semmai, come sostenuto nel ricorso incidentale da parte del curatore, avrebbe dovuto fare riferimento al titolo iniziale alla base dell'erogazione delle somme e cioè allo scoperto di conto.

La Suprema corte ha così cassato il decreto del Tribunale che aveva accolto il credito della banca al passivo in via chirografaria, in quanto la banca avrebbe dovuto formulare una domanda per titolo diverso dal mutuo ed in particolare per la restituzione di indebito per il capitale a suo tempo erogato alla società poi fallita a titolo di scoperto di conto.

In conclusione per i giudici: «La mera enunciazione, nel testo contrattuale, che il mutuatario utilizzerà la somma erogatagli per lo svolgimento di una data attività o per il perseguimento di un dato risultato non è per sé idonea a integrare gli estremi del mutuo di scopo convenzionale, per il cui inveramento occorre, di contro, che lo svolgimento dell'attività dedotta o il risultato perseguito siano nel concreto rispondenti a uno specifico e diretto interesse anche proprio della persona del mutuante, che vincoli l'utilizzo delle somme erogate alla relativa destinazione».

«Nel caso di mutuo di scopo convenzionale, il punto del necessario rispetto della destinazione delle somme erogate all'effettivo conseguimento dello scopo prefissato è assicurato sul piano dello svolgimento del sinallagma funzionale del rapporto, con la conseguenza che all'inadempimento del mutuatario seguirà la risoluzione del relativo contratto".

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