Business judgement rule, la Cassazione torna sui limiti della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione
Nota a Corte di Cassazione, Sez. II Civile, Ordinanza 20 settembre 2024, n. 25260
Con la pronuncia n. 25260 del 20 settembre 2024, la Corte di Cassazione ha ribadito alcuni principi in tema di business judgement rule in occasione di una lite per risarcimento danni derivanti dalla mala gestio di un amministratore di una società a responsabilità limitata.
La questione nasce dall’opposizione proposta da una società immobiliare contro il decreto ingiuntivo richiesto da un ingegnere in relazione ai propri compensi professionali relativi a prestazioni rese alla società. Tuttavia, quest’ultima aveva contestato che l’amministratore, al momento del conferimento dell’incarico all’ingegnere, ero privo di poteri di rappresentanza. Inoltre, la società aveva domandato la condanna al risarcimento danni per mala gestio, affermando che l’amministratore aveva mancato di mettere a frutto gli immobili della società, utilizzandoli per scopi personali.
Giunta in Cassazione, la Suprema Corte ha affermato che “il rappresentato non diviene terzo rispetto al contratto stipulato a suo nome e per suo conto solo perché ne eccepisca la conclusione dopo la revoca della procura, e non può avvalersi, quindi, dell’art. 2704 c.c. per riversare sulle altre parti l’onere di provare che il contratto si è perfezionato nella data indicata e prima della suddetta revoca o della perdita dei poteri rappresentativi; ne consegue che la società a nome della quale sia stata sottoscritta una scrittura che neghi l’opponibilità del documento nei suoi confronti, sostenendo che è stato redatto in data successiva a quella che figura apposta e quando il sottoscrittore era decaduto dalla carica di amministratore, è tenuta a fornire la prova della non veridicità della data apposta rimanendo, in difetto, vincolata dalla predetta indicazione”. Di conseguenza, era onere della società dimostrare che la manifestazione di volontà dell’amministratore era intervenuta in seguito alla perdita del potere rappresentativo.
Sempre con riguardo al riparto dell’onere probatorio, era stato eccepito che il debito nei confronti del professionista incaricato non risultava iscritto in bilancio. Sul punto, la Suprema Corte ha affermato che i libri e le altre scritture contabili soggetti a registrazione non provano i rapporti intercorsi con le altre parti o l’inesistenza di altre prestazioni.
Infine, venendo alla business judgement rule, la Suprema Corte ha ribadito quanto affermato con una recente sentenza, secondo cui l’amministratore “non può essere imputato, a titolo di responsabilità, di aver compiuto scelte inopportune dal punto di vista economico, atteso che una tale valutazione attiene alla discrezionalità imprenditoriale e può eventualmente rilevare come giusta causa di sua revoca, ma non come fonte di responsabilità contrattuale nei confronti della società: ne consegue che il giudizio sulla diligenza dell’amministratore nell’adempimento del proprio mandato non può mai investire le scelte di gestione o le modalità e circostanze di tali scelte, anche se presentino profili di rilevante alea economica, ma solo la diligenza mostrata nell’apprezzare preventivamente i margini di rischio connessi all’operazione da intraprendere, e quindi, l’eventuale omissione di quelle cautele, verifiche e informazioni normalmente richieste l’adempimento dei suo doveri sociali previsti dall’art. 2932 c.c.”.
Inoltre, la Suprema Corte ha aggiunto che l’azione di responsabilità contro amministratori e sindaci ha natura contrattuale, con l’effetto che la società ha l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro.
Qualora le condotte contestate non siano vietate dalla legge o dallo statuto, occorre verificare se ricorre un obbligo di astensione derivante dal dovere di lealtà e diligenza. Dovere di lealtà secondo cui l’amministratore non deve agire in conflitto di interessi con la società amministrata, e dovere di diligenza, consistente nell’adottare tutte le misure necessarie alla cura degli interessi sociali a lui affidati. Si noti che l’onere della prova che incombe sulla società non si esaurisce nella dimostrazione dell’atto compiuto dall’amministratore, ma investe una serie di elementi dai quali dedurre che lo stesso implica violazione dei suddetti doveri. Ne consegue che chi agisce in giudizio per l’accertamento della responsabilità dell’amministratore deve provare una serie di indici dai quali è possibile dedurre la violazione del predetto dovere.
Infine, la Suprema Corte, in tema di responsabilità dell’amministratore per i danni cagionati alla società amministrata, ha affermato che il principio della insindacabilità nel merito delle scelte di gestione (cd. business judgement rule), non si applica in presenza di irragionevolezza, imprudenza o arbitrarietàpalese dell’iniziativa economica.
Sulla scorta dei suddetti principi la Cassazione ha cassato la decisione della corte di merito che aveva errato nella ripartizione dell’onere probatorio e giudicato l’assoluta insindacabilità delle scelte gestionali, senza verificare se si trattasse di scelte prudenti a mente dell’oggetto sociale.
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*A cura di Antonio Martini (Partner – CBA Studio Legale e Tributario), Ilaria Canepa (Senior Associate – CBA Studio Legale e Tributario), Alessandro Botti (Associate – CBA Studio Legale e Tributario), Arianna Trentino (Associate – CBA Studio Legale e Tributario)