Immobili

Cessione terreni, stop anche per il passato alla plusvalenza determinata in base al registro

La sentenza 22728 della Cassazione consolida l’indirizzo che chiude le porte alla rettifica induttiva del Fisco

di Gabriele Ferlito

L’articolo 5, comma 3, del Dlgs 147/2015, quale norma di interpretazione autentica con efficacia retroattiva, esclude che l’Amministrazione finanziaria possa determinare in via induttiva la plusvalenza realizzata nell’ambito della cessione di immobili e di aziende sulla sola base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro. È quanto affermato dalla Cassazione - in relazione ad un caso avente ad oggetto la vendita di un terreno - con la sentenza 22728/2020, che si inserisce nel solco di un orientamento ormai consolidato.

L’articolo 68 del Tuir (Dpr 917/1986) prevede che le plusvalenze realizzate mediante cessione di terreni sono costituite dalla differenza tra i corrispettivi percepiti nel periodo di imposta e il prezzo di acquisto del bene ceduto, aumentato di ogni altro costo inerente al bene medesimo.

La “tecnica” di accertamento del plusvalore derivante dalla cessione di immobili o aziende è stato oggetto, nel tempo, di due differenti orientamenti giurisprudenziali.
Il primo orientamento, più risalente nel tempo, legittimava l’Amministrazione finanziaria a procedere in via induttiva all’accertamento della plusvalenza sulla base del valore attribuito all’immobile o all’azienda ai fini dell’imposta di registro. In altri termini, si presumeva la corrispondenza del prezzo incassato con il valore di mercato accertato/definito in sede di applicazione dell’imposta di registro.

A questo si contrapponeva un filone giurisprudenziale secondo il quale, per le cessioni di immobili o aziende, la prova dell’esistenza di un maggiore corrispettivo incassato necessitava di elementi ulteriori rispetto al solo valore rilevante ai fini dell’imposta di registro.

Tale ultimo orientamento ha trovato definitiva conferma con la norma di interpretazione autentica recata dall’articolo 5, comma 3, del Dlgs 147/2015, secondo cui, nelle cessioni immobiliari e di aziende, l’esistenza di un maggiore corrispettivo non è presumibile soltanto sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell’imposta di registro ovvero delle imposte ipotecaria e catastale. Peraltro, trattandosi di norma di interpretazione autentica, non sussistono dubbi sulla applicabilità della stessa in senso retroattivo (in forza dell’articolo 1, comma 2, dello Statuto del contribuente – legge 212/2000), pertanto anche alle controversie sorte prima della sua entrata in vigore ed ancora “sub iudice”.

Ciò che è esattamente il caso oggetto della sentenza in commento. Infatti, nel 2009 l’Agenzia notificava a due soggetti, in qualità di eredi della madre “medio tempore” deceduta, un avviso di accertamento per recuperare a tassazione la maggiore Irpef calcolata sulla presunta plusvalenza realizzata dalla vendita di un terreno. La rettifica prendeva ad esclusivo riferimento il valore del terreno definito ai fini dell’imposta di registro, peraltro dal solo acquirente dell’immobile.

Entrambi i giudici di merito danno ragione all’Agenzia, ma nel 2014 i contribuenti presentano ricorso per cassazione e la Suprema orte lo accoglie sulla base della nuova norma intervenuta nel 2015, non avendo l’Agenzia individuato ulteriori indizi, gravi, precisi e concordanti a supporto dell’accertamento.

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