Commette sottrazione di minore chi porta via il figlio, anche se in un luogo noto all’ex
Per la Cassazione rileva il fatto che l’altro genitore viene escluso dal diritto di esercitare la responsabilità genitoriale
Commette il reato di sottrazione di minore il genitore che toglie all’altro la possibilità di esercitare la responsabilità genitoriale, anche se è noto il luogo dove risiede il figlio. Lo ha chiarito la Sesta sezione penale della Cassazione che, con la sentenza 32005 del 30 agosto 2022, ha respinto il ricorso presentato contro una sentenza della Corte d’appello di Venezia.
La ricorrente, una madre, aveva sostenuto che i suoi comportamenti non avevano integrato il reato di sottrazione di minore (previsto dall’articolo 574 del Codice penale), dato che si era trattato di «condotte puramente negative», volte a «ostacolare gli incontri del figlio con il padre»; invece, il reato di sottrazione di minore «esige la volontà di sottrarre il minore alla sfera di controllo del genitore e non già meramente di rendere più difficoltoso l’esercizio della bigenitorialità». Infatti, il padre conosceva la residenza della ex partner e del figlio e aveva esercitato il suo diritto-dovere di visita nei confronti del figlio.
Argomentazioni non condivise dalla Cassazione, che ha dichiarato l’infondatezza del motivo di ricorso.
La Suprema corte richiama le pronunce dei giudici di merito. La sentenza di primo grado descrive la condotta della madre emerge come «sottrazione totale del figlio alla vigilanza dell’altro genitore, impossibilitato a esercitare la propria responsabilità genitoriale». Il Tribunale ha inoltre rilevato l’interruzione della relazione tra padre e figlio, determinata dalla condotta della madre, «che ha completamente escluso la figura paterna dall’esercizio delle prerogative genitoriali, assumendo in via unilaterale tutte le scelte fondamentali relative alla vita del minore, violando reiteratamente i provvedimenti adottati dalla autorità giudiziaria», adita dal padre proprio al fine di veder tutelato il proprio ruolo nei confronti del figlio.
Nella sentenza d’appello, impugnata in Cassazione, i giudici hanno osservato che la madre ha dapprima impedito al padre di intrattenere una relazione autonoma con il figlio, e poi l’ha trasferito lontano, contro la volontà del padre. La Corte d’appello ha dunque ritenuto integrato il delitto di sottrazione di minore perché è stata provocata un’interruzione significativa del legame tra il minore e il genitore, e cioè della loro mutua relazione, che si realizza con qualsivoglia ostacolo che non abbia carattere e durata meramente simbolica e che impedisca la coltivazione di un rapporto stabile, continuativo e autonomo tra il figlio minore e uno dei suoi genitori.
Queste conclusioni sono confermate dalla Cassazione, che precisa la differenza tra i reati previsti dall’articolo 574 Codice penale (sottrazione di persone incapaci) e dall’articolo 388 (mancata esecuzione dolosa di un provvedimento del giudice).
La mancata esecuzione dolosa del provvedimento del giudice si configura quando il reo non ottempera a particolari disposizioni del giudice civile, ad esempio sulla quantità e durata delle visite consentite al genitore non affidatario o sulle modalità e condizioni fissate nel provvedimento. Mentre ricorre il reato di sottrazione di persone incapaci se la condotta di uno dei genitori porta a una globale sottrazione del minore alla vigilanza del genitore co-affidatario, «così da impedirgli non solo la funzione educativa e i poteri insiti nell’affidamento, ma da rendergli impossibile quell’ufficio che gli è stato conferito dall’ordinamento, nell’interesse del minore e della società».