Civile

Comunione dei beni: non può esserci dolo nel cambio di regime patrimoniale

La Corte d'appello di Firenze con la sentenza n. 971/2021 prende in esame una singolare controversia per vizio del consenso di un atto notarile

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di Andrea Alberto Moramarco

La scelta da parte dei coniugi di modificare il regime patrimoniale della comunione dei beni, optando per la separazione dei beni, non può essere oggetto di dolo. La natura e l’oggetto dell’atto, le caratteristiche della prestazione e le qualità dell’altro contraente non sono, infatti, elementi sui quali può esserci alcun raggiro da parte di un coniuge nei confronti dell’altro. Questo è quanto afferma la Corte d’appello di Firenze con la sentenza n. 971/2021.

La vicenda

La singolare controversia prende le mosse dalla domanda con la quale una signora citava in giudizio l’ex marito, chiedendo l’annullamento per vizio del consenso dell’atto notarile con il quale due anni prima gli stessi avevano mutato il regime patrimoniale, passando dalla comunione alla separazione dei beni. Ciò avrebbe consentito all’uomo di mantenere per sé l’abitazione con evidente raggiro nei confronti della moglie.

Il Tribunale accoglieva la domanda della signora, ritenendo che vi fosse un caso di “violenza morale”, perpetrata nei confronti dell’attrice, in quanto la sua volontà «sarebbe stata viziata da una fragilità psicologica ed emotiva» che l’avrebbero portata ad assecondare la volontà del marito, il quale avrebbe poi tradito la sua fiducia.

La decisione

La Corte d’appello cambia però il verdetto accogliendo i diversi rilievi sollevati dal marito, incredulo per la vicenda giudiziaria, dopo che era stata la stessa moglie a chiedere la separazione. Per i giudici di secondo grado la sentenza del Tribunale non spiega quale sia stato l’artificio doloso che avrebbe viziato la volontà della donna, né tantomeno l’errore in cui la stessa sarebbe caduta. Ai fini dell’annullamento del contratto, infatti, il dolo «assume rilevanza quando incida sul processo formativo del consenso, dando origine ad una falsa o distorta rappresentazione della realtà all’esito della quale il contraente si sia determinato a stipulare». L’effetto invalidante è subordinato cioè alla prova che la volontà negoziale sia stata manifestata in presenza di una tale falsa rappresentazione, che spetta al giudice di merito accertare, sulla base delle risultanza probatorie.

Ebbene, il giudice di primo grado non spiega quale sia il comportamento doloso imputabile all’uomo, «né chiarisce come i comportamenti dell’agente siano stati percepiti dalla vittima, falsandone la capacità rappresentativa e volitiva». Il Tribunale si è, invece, soltanto soffermato su alcuni tratti della personalità della donna, ovvero «una generica debolezza e suggestionabilità», che avrebbero al più potuto determinare l’annullamento dell’atto per incapacità naturale.

D’altra parte, puntualizza ancora il Collegio, non è dato sapersi su cosa sarebbe precisamente caduto l’errore da parte della signora. Difatti, risulta «difficile immaginare che andando dal notaio per passare dal regime della comunione alla separazione dei beni la donna non avesse la percezione del cambiamento».

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