Società

Concordato preventivo e potere di iniziativa del P.M.

Il P.M. è legittimato alla richiesta di declaratoria del fallimento in tutti i casi in cui abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis

di Rossana Mininno

La procedura concordataria, «diversamente dal fallimento, caratterizzato da finalità solo liquidatorie, tende piuttosto alla risoluzione della crisi di impresa» (Cass. civ., Sez. I, 20 febbraio 2020, n. 4329) e consente all'imprenditore di evitare, mediante la regolazione concertata dei rapporti con i creditori, che lo stato di crisi evolva in fallimento (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. I, 30 settembre 2005, n. 19210).

L'obiettivo del superamento dello stato di crisi è «ritenuto meritevole di tutela sotto il duplice aspetto dell'interpretazione della crisi come uno dei possibili e fisiologici esiti della sua attività e della ravvisata opportunità di privilegiare soluzioni di composizione idonee a favorire, per quanto possibile, la conservazione dei valori aziendali, altrimenti destinati ad un inevitabile quanto inutile depauperamento» (Cass. civ., Sez. Un., 23 gennaio 2013, n. 1521).

Il concordato preventivo è una procedura giudiziale e di massa: giudiziale in quanto il relativo svolgimento avviene con la necessaria presenza di organi giurisdizionali, quali il giudice delegato (cui è devoluta la direzione della procedura), il commissario giudiziale (cui sono demandate funzioni di vigilanza e di controllo dell'esecuzione del concordato) e, qualora si tratti di concordato con cessione dei beni ai creditori, il liquidatore giudiziale; di massa in quanto, una volta approvato ed eseguito, il concordato è produttivo di effetti nei confronti di tutti i creditori anteriori alla pubblicazione nel registro delle imprese della domanda di ammissione (c.d. creditori concordatari) rispetto ai quali l'imprenditore è definitivamente liberato per la parte di debito eccedente la percentuale fissata.

Quanto al profilo ontologico, il concordato preventivo risulta - a seguito dell'intervento riformatore di cui al decreto legislativo 12 settembre 2007, n. 169 - «caratterizzato da una prevalente natura contrattuale, e dal decisivo rilievo della volontà dei creditori e del loro consenso informato» (Cass. civ., Sez. I, 25 ottobre 2010, n. 21860).

La causa concreta del concordato preventivo, «da intendersi come obiettivo specifico perseguito dal procedimento, non ha contenuto fisso e predeterminabile, essendo dipendente dal tipo di proposta formulata, pur se inserita nel generale quadro di riferimento finalizzato al superamento della situazione di crisi dell'imprenditore, da un lato, e all'assicurazione di un soddisfacimento, sia pur ipoteticamente modesto e parziale, dei creditori, da un altro» (Cass. n. 1521/2013 cit.).

L'istituto, tuttavia, non è qualificabile in termini di contratto a prestazioni corrispettive, in quanto «avente una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici e conduce, all'esito dell'omologa, alla cristallizzazione di un accordo di natura complessa ove una delle parti (la massa dei creditori) ha consistenza composita e plurisoggettiva» (Cass. civ., Sez. I, 13 luglio 2018, n. 18738).

La riforma della legge fallimentare, attuata con il decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, convertito con legge 14 maggio 2005, n. 80, ha ridisegnato i ruoli degli organi preposti alle procedure concorsuali attribuendo al giudice il controllo della regolarità formale e sostanziale della procedura concordataria.

In sede di valutazione dell'ammissibilità della domanda, il tribunale «è tenuto ad una verifica della fattibilità del piano per poter ammettere il debitore alla relativa procedura, che comprende, non solo la fattibilità giuridica, ma anche quella economica, ove il piano si riveli "prima facie" irrealizzabile» (Cass. civ., Sez. VI-1, 9 marzo 2018, n. 5825).

Come chiarito dai Giudici di legittimità, «mentre il sindacato del giudice relativo alla fattibilità giuridica, intesa come verifica della non incompatibilità dello stesso con norme inderogabili, non incontra particolari limiti, il controllo sulla fattibilità economica, quale realizzabilità in concreto del piano proposto dal debitore, può essere svolto solo nei limiti della verifica della sussistenza o meno di una manifesta sua inettitudine a raggiungere gli obiettivi prefissati» (Cass. civ., Sez. VI-1, 1 marzo 2018, n. 4790).

In caso di approvazione del concordato il tribunale provvede con decreto motivato.
Successivamente all'omologazione del concordato il commissario giudiziale, «se accerta che il debitore ha occultato o dissimulato parte dell'attivo, dolosamente omesso di denunciare uno o più crediti, esposto passività insussistenti o commesso altri atti di frode», deve darne immediata notizia al tribunale, il quale è tenuto all'apertura ex officio del procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato ai sensi e per gli effetti dell'articolo 173 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267, il quale, peraltro, conferisce al P.M. una speciale legittimazione alla richiesta della declaratoria del fallimento del debitore.

Con l'ordinanza n. 27936 del 7 dicembre 2020 la Prima Sezione civile della Corte di cassazione si è pronunciata in ordine al «potere di iniziativa del P.M. ex art. 173 legge fall.», da ritenersi «specificamente espressivo, per una fattispecie peculiare (data appunto dalla ravvisata esistenza di atti di frode), del potere di iniziativa che in via generale è configurato dalla norma dell'art. 7 legge fall.».

Secondo i Supremi Giudici tra le due disposizioni (id est, articoli 7 e 173) intercorre «una sicura linea di continuità, come manifestata dall'oggettiva identità di ratio che risulta sottesa alle diverse ipotesi di potere di iniziativa del P.M.», essendo il medesimo legittimato alla richiesta della declaratoria del fallimento «in tutti i casi nei quali l'organo abbia istituzionalmente appreso la notitia decoctionis».

Con specifico riferimento all'ipotesi prevista e disciplinata dall'articolo 173 del regio decreto n. 267 del 1942 il potere di iniziativa del P.M. «non risulta condizionato alla presenza in concreto da una qualche segnalazione da parte del Tribunale, secondo quanto invece accade nella previsione di tratto generale» in quanto «la notitia decoctionis emerge nell'ambito di un procedimento in cui il P.M. partecipa a pieno e proprio titolo».

In altri termini, il procedimento per la revoca dell'ammissione al concordato assurge a ««segnalazione» di un'esistente insolvenza», legittimando il P.M. alla richiesta della dichiarazione di fallimento.

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