Società

Concorrenza sleale anche se la tutela del "modello non registrato" è scaduta

Lo ha stabilito il Tribunale di Torino, Sezione imprese, con l'ordinanza 15 gennaio 2021

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di Francesco Machina Grifeo

Anche se la tutela triennale accordata al "modello non registrato" è scaduta, ciò "non implica di per sé il rigetto della domanda di concorrenza sleale, la quale - in effetti - si nutre di altri presupposti". Lo ha chiarito il Tribunale di Torino, Sezione imprese, ordinanza 15/1/2021, accogliendo parzialmente il ricorso di Xiaomi contro un'azienda che aveva realizzzato dei fitness tracker identici. Aggiungendo che neppure l'affollamento del mercato autorizza alla messa in commercio di un prodotto "sostanzialmente identico a quello di un concorrente, non trattandosi di forme necessarie".

Per prima cosa dunque il Tribunale ha affermato che la domanda di Xiaomi, fondata sulla violazione di un modello non registrato, non può essere accolta per lo spirare del termine triennale di protezione. Infatti, spiega la decisione, "le successive lievi (e non sostanziali) modifiche apportate dalla ricorrente al proprio modello (...) non possono giustificare ogni volta la tutela industrialistica del modello non registrato". La ratio della norma, prosegue l'ordinanza, è infatti, finalizzata a fornire all'impresa "una privativa nell'utilizzo del proprio modello avente un termine contenuto, di soli 3 anni, ragion per cui delle successive lievi e non sostanziali modifiche al modello non possono far sorgere nuove privative triennali, pena uno snaturamento dell'istituto".

Il rigetto della domanda tuttavia non travolge l'accertamento della concorrenza sleale. E qui il Tribunale si riaggancia a due precedenti del Tribunale di Venezia: "L'esclusione della contraffazione di un modello industriale, non osta all'accertamento, con riferimento agli stessi prodotti, della concorrenza sleale per imitazione servile, atteso che quest'ultima richiede l'accertamento della confondibilità tra i prodotti quanto alle imprese di provenienza, parametrata alla diligenza del consumatore medio, e non a quella - più elevata - richiesta per l'utilizzatore informato nell'ambito della valutazione del carattere individuale dei modelli" (Ord. 13.02.2008 e ord. 13.07.2005).

In questo senso, prosegue il ragionamento, la domanda è fondata con riferimento all'utilizzo sulla confezione di vendita del prodotto della stessa fotografia utilizzata dalla ricorrente (o di una assai simile ed oggettivamente confondibile). Né rileva la titolarità o meno dei diritti autoriali sulle fotografie ma soltanto il mero fatto che la società convenuta ha successivamente utilizzato una fotografia identica: "sia il rischio confusorio sia il rischio di associazione dei prodotti e delle imprese da parte del consumatore medio risulta quindi palese, e come tale deve essere inibito".

Per il Tribunale poi anche l'indubbio ed accertato affollamento del mercato "non consenta di commercializzare un prodotto sostanzialmente identico a quello di un concorrente, non trattandosi di forme necessarie: anzi, essendo semmai da considerare capricciose viste le ampie possibilità di variazioni consentite dalla tipologia di prodotto in punto forma del display, del cinturino, del bottone".

In definitiva la domanda di concorrenza sleale è stata accolta sotto il profilo della concorrenza confusoria (anche in relazione all'effettiva origine del prodotto) e dell'appropriazione di pregi (utilizzo sulla confezione di una fotografia identica).

L'ordinanza richiama poi una serie di precedenti in materia. "Il giudizio di confusione tra prodotti per imitazione servile va effettuato con riferimento alla percezione che di essi può avere il consumatore medio e ha per contenuto il modello complessivamente considerato e non già le sue singole componenti. Il consumatore medio è infatti in grado di rilevare non tanto le differenze, quanto le somiglianze, dal momento che sono gli elementi comuni ad incidere in maniera preponderante sul rischio di associazione. " (Cass., n. 29775/2008; Trib. Milano, 25.12.2015, RG n. 61556/2015).

Fulcro della tutela approntata per le ipotesi di concorrenza sleale è, dunque, "la confondibilità dei prodotti parametrata al livello percettivo del consumatore medio, attuata mediante l'imitazione servile di una caratteristica esteriore del prodotto originario che abbia efficacia individualizzante rispetto alla sua provenienza da una determinata impresa" (Tribunale Palermo Civile, Sentenza del 9 febbraio 2011, n. 569).

La decisione ricorda anche che "la tutela anticoncorrenziale contro l'imitazione servile può essere più incisiva di quella prevista dalla disciplina a tutela dei modelli", essendo quest'ultima "parametrata alla diligenza del consumatore medio e non a quella - più elevata - richiesta per l'utilizzatore informato nell'ambito della valutazione del carattere individuale" (Trib. Napoli, ord. 01.07.2007).

In conclusione, il Tribunale ha proibito la commercializzazione (e quindi produzione, vendita, importazione ed esportazione nonché pubblicizzazione) dei prodotti e ne ha ordinato il ritiro dal mercato. Ha infine fissato una penale di 100 euro per ogni prodotto o confezione rinvenuto in commercio e di 2mila euro per ogni giorno di ritardo nell'esecuzione del ritiro.

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