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Crediti maturati dopo la declaratoria del fallimento e termini per l'insinuazione al passivo

L'insinuazione al passivo fallimentare dei crediti sopravvenuti è soggetta a un termine annuale, che decorre - in tutti i casi in cui il credito abbia maturato le condizioni di partecipazione al passivo dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo - dal momento stesso in cui si siano verificate le dette condizioni

di Rossana Mininno

La disciplina del fallimento è improntata ai principi della concorsualità ed esclusività dell'accertamento del passivo, nonché della par condicio creditorum: la sentenza dichiarativa del fallimento introduce una fase del processo concorsuale, che è precipuamente finalizzata alla individuazione, quantificazione e graduazione dei crediti esistenti nei confronti del fallito (cfr. Cass. civ., Sez. I, 16 maggio 2019, n. 13271 ), crediti che devono essere accertati nell'ambito di un procedimento volto ad assicurare la partecipazione e il contraddittorio di tutti i soggetti che vantino pretese creditorie da far valere sul patrimonio acquisito all'attivo.

Il procedimento di formazione e di verifica dello stato passivo, soggetto a un rito speciale funzionale agli obiettivi di specializzazione, concentrazione e speditezza delle procedure concorsuali (cfr. Cass. civ., Sez. I, 7 febbraio 2020, n. 2990 ), ha natura giurisdizionale e decisoria, è strutturato sullo schema del processo di cognizione con salvezza degli adattamenti necessari in virtù del carattere sommario della cognizione (cfr. Cass. civ., Sez. I, 11 dicembre 2003, n. 18935 ) ed è funzionale alla cristallizzazione del patrimonio del fallito.
La finalità di detta cristallizzazione è porre il patrimonio del fallito al riparo dalle pretese di soggetti che vantino titoli formatisi in epoca successiva alla declaratoria del fallimento e, nel contempo, impedire che siano fatte valere, nel concorso fallimentare, pretese aggiuntive rispetto a quelle facenti parte del patrimonio del fallito alla data della declaratoria del fallimento (cfr. Cass. civ., Sez. I, 8 agosto 2013, n. 19025 ).

La partecipazione al procedimento di accertamento del passivo costituisce per il creditore un adempimento necessario e imprescindibile, rectius un onere per poter ottenere - in sede di distribuzione dell'attivo - il soddisfacimento della pretesa creditoria vantata: «i creditori hanno diritto di soddisfarsi sul ricavato della liquidazione dell'attivo solo in proporzione delle rispettive ragioni, fatti salvi i diritti di prelazione, ed i rispettivi crediti devono essere accertati unitariamente, quali che siano i relativi titoli e le domande cui possono dar luogo» ( Cass. civ., Sez. I, 24 novembre 2011, n. 24847 ).

A tale verifica sono soggetti - indistintamente - tutti i creditori, a prescindere dal rango del credito vantato (id est, chirografario o privilegiato): solo con l'ammissione al passivo fallimentare i creditori da ‘concorsuali' diventano ‘concorrenti' e acquisiscono il diritto a concorrere alla ripartizione dell'attivo.

La domanda di insinuazione di un credito si propone con ricorso, i cui termini di presentazione sono stabiliti dagli articoli 93 e 101 della Legge Fallimentare: la domanda si considera tempestiva se trasmessa almeno trenta giorni prima dell'udienza fissata per l'esame del progetto di stato passivo; se trasmessa oltre detto termine e non oltre quello di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, la domanda si considera tardiva; in caso di particolare complessità della procedura il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo può essere prorogato dal Tribunale fino a diciotto mesi.

Oltre il termine di dodici mesi dal deposito del decreto di esecutività dello stato passivo, eventualmente prorogato a diciotto mesi, la domanda tardiva è ammissibile a condizione che non siano esaurite tutte le ripartizioni dell'attivo fallimentare e che l'istante provi che il ritardo è dipeso da causa a lui non imputabile: in tal caso la domanda si considera ultra-tardiva o super-tardiva.

La domanda di insinuazione tardiva di un credito non preclude agli organi della procedura il compimento di ulteriori attività processuali, ivi compresa la chiusura del fallimento per l'integrale soddisfacimento dei creditori ammessi o per l'esaurimento dell'attivo, né comporta l'obbligo per il curatore di accantonare una parte dell'attivo a garanzia del creditore tardivamente insinuatosi, stante la mancata inclusione di tale fattispecie tra le ipotesi - tassative (cfr. ex multis Cass. civ., Sez. VI, 2 settembre 2014, n. 18550 ) - di accantonamento previste dall'articolo 113 della Legge Fallimentare.

Per quanto attiene al trattamento dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare (crediti c.d. sopravvenuti) - intendendosi tali «i crediti che vengono a maturare le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare dopo la sentenza dichiarativa di fallimento» ( Cass. civ., Sez. I, 10 luglio 2019, n. 18544 ) - la giurisprudenza di legittimità si è - costantemente e pacificamente - pronunciata nel senso della non assoggettabilità della domanda di insinuazione ai termini decadenziali previsti dall'articolo 101, commi 1 e 4, della Legge Fallimentare ove il momento genetico del credito sia collocabile temporalmente all'interno della procedura fallimentare (cfr. Cass. civ., Sez. I, 13 luglio 2015, n. 16218; Cass. civ., Sez. I, 31 luglio 2018, n. 20310; Cass. civ., Sez. VI-1, 17 maggio 2019, n. 13461; Cass. civ., Sez. I, 18 gennaio 2019, n. 1391).

Secondo un recente - peraltro, prevalente - orientamento (cfr. Cass. civ., Sez. I, 10 luglio 2019, n. 18544; Cass. civ., Sez. I, 17 febbraio 2020, n. 3872; Cass. civ., Sez. I, 2 febbraio 2021, n. 2308; Cass. civ., Sez. I, 13 maggio 2021, n. 12735 ), l'insinuazione al passivo dei crediti sorti nel corso della procedura fallimentare, pur non applicandosi il termine di decadenza previsto dall'articolo 101, commi 1 e 4, della Legge Fallimentare, è soggetta al limite temporale di un anno, decorrente «dal momento in cui si verificano le condizioni di partecipazione al passivo fallimentare» ( Cass. n. 3872/2020 ) o «dalla maturazione del credito» ( Cass. n. 18544/2019 ).

Con la recente sentenza n. 34435/2021, pubblicata in data 15 novembre 2021, la Prima Sezione civile della Corte di cassazione si è pronunciata sulla vexata quaestio del trattamento dei crediti maturati successivamente alla declaratoria del fallimento (crediti c.d. sopravvenuti).

I Giudici della Prima Sezione, ponendosi in sostanziale continuità con l'orientamento prevalente, hanno affermato che «la non imputabilità del ritardo e la sopravvenienza del credito non sono situazioni che si sovrappongono in modo perfetto; nel caso in cui il termine, al momento del sorgere del credito, non sia scaduto, al creditore sopravvenuto residuerebbe, per provvedere all'insinuazione, un tempo comunque più breve di quello a disposizione dei creditori preesistenti, con conseguenti dubbi di legittimità costituzionale sotto il profilo del principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e del diritto di azione in giudizio (art. 24 Cost.); l'applicazione dell'art. 101 l.fall. ai crediti sopravvenuti introdurrebbe una decadenza non prevista dalla legge ma derivata da un intervento di natura pretoria, mettendo a repentaglio i principi espressi dall'art. 24 Cost.»: in altri termini, ove si ammettesse l'applicabilità dell'articolo 101 della Legge Fallimentare si produrrebbe «un'evidente discriminazione dei creditori sopravvenuti rispetto agli altri, a dispetto del principio della parità di trattamento previsto dall'art. 3 Cost.».

Secondo i Supremi Giudici, «le indubbie esigenze di celerità e concentrazione del procedimento di verifica del passivo non bastano a giustificare l'applicazione non solo delle modalità di accertamento dei crediti sopravvenuti, pacificamente ritenute applicabili, bensì pure dei termini di decadenza previsti dall'art. 101 l.fall.».

Tali esigenze, tuttavia, «debbono comunque trovare coordinamento con i principi costituzionali sopra richiamati, che non possono venire tralasciati rispetto al creditore sopravvenuto»: in mancanza di una disposizione ad hoc la disciplina applicabile deve essere ricavata «in via sistematica», facendo riferimento ai principi generali dell'ordinamento e nel rispetto dei principi costituzionali sanciti dagli articoli 3 e 24 della Costituzione, ovvero, rispettivamente, del principio di uguaglianza e di parità di trattamento e del diritto (inviolabile) alla difesa, declinato nel diritto di azione giurisdizionale.

Conclusivamente, i Giudici della Prima Sezione hanno ritenuto - alla luce delle coordinate ermeneutiche fissate - l'applicabilità all'insinuazione dei crediti sopravvenuti di un «termine annuale», decorrente - «in tutti i casi in cui il credito abbia maturato le condizioni di partecipazione al passivo dopo il deposito del decreto di esecutività dello stato passivo - dal momento stesso in cui si siano verificate le dette condizioni».

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