Civile

Dall’induttivo alla denuncia, i passaggi del disaccordo

immagine non disponibile

di Giorgio Gavelli

Le divergenze tra Suprema corte e commissioni di merito non si fermano all’aspetto della esatta decorrenza delle varie modifiche intervenute, ma, spesso, riguardano la sussistenza o meno, nel caso concreto, dei requisiti minimi richiesti dalla norma affinché possa operare il raddoppio dei termini.

L’assenza della denuncia

Tipica contestazione è quella dell’assenza della denuncia penale, spesso indicata dalle commissioni tributarie come elemento che giustifica l’illegittimità dell’atto emesso oltre i termini ordinari. Tuttavia, la Cassazione sembra avere una posizione esattamente contraria, avendo affermato che i termini di accertamento sono validamente raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale (sentenza 20368/2017), a prescindere che questa sia stata poi effettivamente presentata, che sia stata archiviata o che sia intervenuta la prescrizione del reato. Ciò in virtù del “doppio binario” esistente tra giudizio penale e procedimento tributario.

La denuncia non allegata

Altro “tormentone” riguarda il presunto obbligo di allegare la denuncia all’atto di accertamento, per poter permettere al giudice tributario di valutarne contenuti e il possibile utilizzo meramente strumentale. Molte commissioni di merito annullano gli atti di accertamento per questo motivo, ma la Cassazione è di diverso avviso, tanto è vero che ritiene addirittura superflua l’esistenza della denuncia, essendo sufficiente la presenza delle condizioni per il suo invio (sentenza 26037/2016). Secondo alcune decisioni di merito, l’accertamento deve seguire e non precedere la notizia di reato, a pena di nullità dell’atto, tesi anch’essa contrastata dalla Cassazione.

L’induttivo

Interessante uno spunto tratto da una recente decisione, su cui non risultano precedenti interventi della Cassazione: secondo la Ctp Parma (decisione 412/3/2017), l’accertamento induttivo puro, in quanto fondato su presunzioni semplici, esclude il ricorso al raddoppio dei termini, perché l’obbligo di denuncia previsto dall’articolo 331 del Codice di procedura penale sussiste solo in presenza di indizi di reato aventi i requisiti di gravità, precisione e concordanza.

L’imposta regionale

Su un aspetto la Suprema corte e le commissioni provinciali e regionali sono (almeno in prevalenza) allineate: la disciplina del raddoppio dei termini non si applica all’Irap, trattandosi di una imposta per cui non sono previste conseguenze penali. Ma già spostandosi sulla possibile estensione del raddoppio dei termini dalla posizione della società dichiarante a quella del socio (ad esempio in caso di società di persone o di società di capitali a ristretta base sociale), le opinioni divergono, addirittura nell’ambito della stessa Suprema corte.

Questi aspetti controversi non fanno che alimentare il contenzioso, estendendolo a tutti i gradi di giudizio. Bene ha fatto, quindi, il legislatore a espungere dalla disciplina dei termini di accertamento la controversa ipotesi del raddoppio in presenza di indizi di reato penal-tributario, confinando così le contestazioni agli atti emessi in passato. Tuttavia, per una sorta di “contrappeso”, ciò ha comportato l’estensione generalizzata dei termini ordinari di un anno (in caso di dichiarazione regolarmente presentata) o di due anni (in caso di dichiarazione omessa o nulla): periodi che sembrano difficilmente giustificabili nell’attuale livello di informatizzazione dei dati del Fisco.

Per saperne di piùRiproduzione riservata ©