Società

Dalle Entrate contestazioni su R&S da verificare caso per caso

Nelle piccole e medie aziende l’imprenditore è spesso il motore della ricerca. Nel conteggio del beneficiooccorre tener presente il costo del revisore

di Roberto Lenzi

Gli indicatori sulle anomalie elaborati dalle Entrate per individuare gli utilizzi non corretti del credito d’imposta a supporto delle attività di ricerca e sviluppo sembrano tarati sulle grandi imprese, senza quindi considerare le caratteristiche peculiari delle Pmi. Queste imprese, infatti, sono caratterizzate dal fondamentale apporto del titolare o degli amministratori nello sviluppo di nuovi progetti o di nuovi cicli produttivi.

L’incentivo per la ricerca

La mancanza di attività di ricerca nel triennio 2012-2013-2014 viene considerata dall’Agenzia come un segnalatore di assenza di esperienza pregressa.

Si tratta per l’Agenzia di una presunzione che va a inficiare anche la capacità e le competenze per attività di ricerca svolte successivamente. Come tutti gli assunti generali questo andrebbe calato nelle singole situazioni.

Ci sono poi i casi di imprese che hanno realizzato attività di ricerca negli anni agevolabili (dal 2015 in poi) all’interno di progetti approvati su bandi regionali o ministeriali.

In questi casi, è chiaro che l’attività di ricerca è già stata approvata da soggetti pubblici al di sopra delle parti, a conferma che non era necessario avere esperienze precedenti per svolgerla.

Ci sono anche i casi di realtà in cui i soggetti interni sono cambiati nel tempo: pertanto la mancanza di esperienza nel 2012 potrebbe essere stata sopperita inserendo nuove figure negli anni seguenti.

In ogni caso un incentivo, anche secondo i principi comunitari, deve essere concesso con lo scopo di stimolare i beneficiari a realizzare progetti che, altrimenti, non sarebbero stati realizzati o, comunque, sarebbero stati realizzati in modo ridotto.

Quindi, dovrebbero essere incentivate le imprese che trovano nell’agevolazione il motivo per sviluppare progetti che, diversamente, non avrebbero portato avanti.

Restando sulla motivazione della mancanza di esperienze pregresse, è chiaro come siano molte le Pmi in cui non sono presenti figure qualificate. Ma in queste realtà, da sempre, la ricerca è spesso il frutto di un’intuizione del titolare o del management che viene poi testata direttamente in azienda e non in un “laboratorio sperimentale”.

Competenze e titoli

All’interno delle Pmi, le persone possono vantare l’esperienza per fare quello che viene loro richiesto, sia che questo serva per produrre sia che serva per sperimentare nuovi prodotti o nuovi cicli (competenze che spesso coincidono), senza che la mancanza di titoli possa mettere in discussione la loro capacità di sviluppare progetti.

In questo caso, l’attenzione andrebbe spostata su una figura, prevista anche dal Manuale di Frascati («ogni soggetto che svolge attività di R&S ha almeno una persona che è un ricercatore»), come quella dell’imprenditore o dell’amministratore che, se in possesso delle competenze, soddisfa i requisiti. È infatti lo stesso imprenditore/amministratore il soggetto da cui nasce l’idea per il progetto di ricerca e che ne imposta le attività di studio e sperimentazione. Inoltre, nelle Pmi è abbastanza ricorrente che l’attività di ricerca non sia svolta in maniera sistematica, ma solo quando opportuna.

Il costo del personale

L’ultimo aspetto importante è determinato dal fatto che la normativa, avendo previsto almeno fino a un certo punto di finanziare solo la parte in incremento rispetto alla media del triennio precedente alla norma, intendeva stimolare attività di ricerca che non venisse già svolta dai beneficiari, almeno dal punto di vista quantitativo.

Sarebbe curioso che aver raggiunto l’obiettivo di portare a fare attività di ricerca chi prima non la faceva diventi a questo punto un elemento a sfavore.

Sulla stessa falsariga, si colloca l’anomalia legata al fatto che venga segnalato il caso in cui il personale interno rappresenta oltre il 95% dei costi rendicontati della ricerca.

Considerando che i costi ammissibili sono principalmente relativi a consulenze esterne, personale e costi di attrezzature pro-quota in base all’utilizzo, sono molte le Pmi che, sviluppando la ricerca in autonomia o partecipando a progetti aggregati con università o centri di ricerca, siano oltre questa quota.

Il loro costo principale è sicuramente rappresentato dal personale interno, a cui si aggiunge a volte quello delle consulenze per prove e test.

Il costo per l’utilizzo dei macchinari pro-quota spesso non viene nemmeno conteggiato, in quanto il tempo da dedicare ai calcoli e alla gestione di questa voce è troppo elevato rispetto al beneficio specifico.

I calcoli del 50%

Gli altri parametri legati ai calcoli sono condivisibili. Solo l’anomalia sul contributo oltre il 50% del contributo sembra poter esser falsata (dando quindi un segnale) dal fatto che il costo del revisore, se presente, è ammissibile al 100% e, pertanto, laddove le Pmi abbiano rendicontato questo costo, si manifesta senz’altro il superamento della percentuale del 50%, senza che questo rappresenti un’anomalia.

In altri termini, l’Agenzia sembra non aver considerato che, se è vero che il contributo assomma al massimo al 50%, la normativa concede il 100% sul costo del revisore, elemento che porta l’agevolazione complessiva a superare la quota del 50 per cento.

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