Dire alla moglie che è brutta e grassa è reato
Gli insulti alla moglie se ripetuti e abituali costituiscono reato di maltrattamenti familiari
Insultare quotidianamente la moglie costituisce reato di maltrattamenti familiari. Lo sa bene un uomo condannato in via definitiva dalla Cassazione (sezione IV penale sentenza n. 34351/2020) per i comportamenti vessatori tenuti abitualmente nei confronti della consorte, offesa ogni giorno e definita, tra l'altro, brutta e grassa.
La vicenda
Nella vicenda, la corte d'appello di Bologna riformava parzialmente la sentenza del tribunale con cui l'uomo era stato dichiarato responsabile del reato di cui all'art. 572 c.p. per avere sottoposto la moglie e la figlia minore a continue vessazioni, percosse e violenze nonché del reato di cui all'art. 609 bis comma 1 c.p. per avere costretto la moglie a subire atti sessuali contro la sua volontà, assolvendo il medesimo dal reato di maltrattamenti nei confronti della figlia e riconoscendo l'attenuante di cui all'art. 609 bis ultimo comma per il reato di violenza sessuale nei confronti della consorte.
La Cassazione già in precedenza aveva annullato la sentenza precedente della corte d'appello (di conferma della sentenza di primo grado) in ordine ai reati di maltrattamenti in famiglia per difetto di motivazione circa la ripetitività e ossessività degli atti necessaria ai fini della sussistenza del delitto nonché per la mancata concessione dell'attenuante per il reato di violenza sessuale.
L'uomo però ricorre avverso la sentenza d'appello (nella veste di giudice del rinvio) lamentando omessa valutazione di una prova decisiva al fine della valutazione della credibilità della persona offesa.
Rileva, in particolare, che la corte territoriale ha errato ritenendo che con la sentenza di annullamento fosse stato chiesto al giudice del rinvio di limitarsi a valutare l'abitualità degli atti di maltrattamento, sostenendo invece che il mandato affidato dalla Cassazione doveva ritenersi relativo all'accertamento della sussistenza degli atti vessatori, implicando questo una valutazione sostanziale della credibilità della moglie.
Inoltre non erano state coerentemente giudicate ai fini della valutazione di credibilità della persona offesa neanche le dichiarazioni rese spontaneamente dalla stessa, con cui venivano ribadite l'assenza di atti di violenza verbale o fisica e l'"ammissione" di avere un "po' esagerato".
La decisione
Le parole dell'uomo tuttavia non fanno breccia presso gli Ermellini.
Per il Supremo Consesso infatti, come correttamente ritenuto dal giudice del rinvio, il mandato del giudice di legittimità non era affatto quello di procedere a una nuova valutazione della credibilità della persona offesa bensì quello di valutare se le condotte indicate nell'atto di imputazione fossero inquadrabili nel delitto di cui all'art. 572 c.p. in quanto "connotate da ripetitività tale da costituire quella continuità e abitualità che configura la condotta materiale del reato, dovendo questa consistere nella sottoposizione del familiare a una serie di sofferenze fisiche e morali che isolatamente considerate potrebbero anche non costituire reato, accompagnata, sotto il profilo soggettivo, dalla coscienza e dalla volontà dell'agente di porre in essere siffatti atti vessatori".
Ora, pur ripercorrendo il racconto della persona offesa, non era certo stato richiesto alla corte in sede rescissoria di completare il vaglio della testimonianza della persona offesa in relazione all'affidabilità complessiva della narrazione attraverso la rivisitazione delle sue affermazioni. E ciò basta, per il Palazzaccio, a rendere inammissibile il ricorso.
Il reato di maltrattamenti in famiglia
D'altro canto, la corte territoriale con la sentenza impugnata ha rappresentato gli episodi di prevaricazione nei confronti della vittima, consistenti in continui insulti ("sei una scrofa, come sei brutta, copriti, fai schifo, sei grassa, dovrei cambiare le porte perché non ci entri più, tra dieci anni ti cambio con una più giovane e bella"), pronunciati nella quotidianità della vita e non solo nel corso di litigi, oltre che nel far mancare alla persona offesa i mezzi necessari per l'acquisto di beni di prima necessità cui si sono accompagnate le sporadiche condotte violente riferite ed accertate.
Tutto questo è ben sufficiente, dunque, a sorreggere il giudizio di ripetitività e abitualità dei comportamenti richiesto dal delitto di cui all'art. 572 c.p. costituendo il nucleo di un abituale comportamento vessatorio dell'imputato ai danni della moglie.
*di Marina Crisafi , Caporedattore "Il diritto quotidiano Studiocataldi.it"