Famiglia

Diritto di abitazione forte per il convivente superstite

La legge non statuisce un meccanismo legale di subentro nell’“universum ius” del convivente premorto da parte di quello sopravvissuto

a cura di Adriano Pischetola

Diverso completamente, rispetto a quello dell’unito civile (si veda la pagina 13), è lo “status” del convivente con riferimento ad eventuali diritti successori. Ci si riferisce qui alla situazione di chi integra la figura del «convivente di fatto», secondo la definizione datane dalla legge Cirinnà 76/2016, e cioè di persone maggiorenni unite stabilmente da legami affettivi di coppia e di reciproca assistenza morale e materiale, non vincolate da rapporti di parentela, affinità o adozione, da matrimonio o da un’unione civile. Il comma 37 dell’articolo unico della legge precisa poi che per l’accertamento della stabile convivenza si fa riferimento alla dichiarazione anagrafica resa dai conviventi all’ufficiale dell’anagrafe comunale.

Ebbene, fatta eccezione per quanto si dirà nel prosieguo, la legge non statuisce un meccanismo legale di subentro nell’“universum ius” del convivente premorto da parte di quello sopravvissuto, né tanto meno la “estensione” di norme dettate dal Codice civile con riferimento ai rapporti successori tra coniugi, come invece accade per i soggetti astretti da una unione civile.

È stabilito solo che in caso di decesso di un convivente:

a) l’altro, se al riguardo designato dal convivente mancato ai vivi, possa avere poteri, pieni o limitati (a seconda del tipo di designazione, che potrà essere effettuata in forma scritta e autografa oppure, in caso di impossibilità di redigerla, alla presenza di un testimone), per quanto riguarda la donazione di organi, le modalità di trattamento del corpo e le celebrazioni funerarie;

b) qualora il convivente defunto risulti essere stato proprietario della casa di comune residenza, il convivente di fatto superstite ha diritto di continuare ad abitare nella stessa per due anni o per un periodo pari alla convivenza se superiore a due anni e comunque non oltre i cinque anni. Ove nella stessa coabitino figli minori o figli disabili del convivente superstite, il medesimo ha diritto di continuare ad abitare nella casa di comune residenza per un periodo non inferiore a tre anni. Tale diritto però viene meno nel caso in cui il convivente superstite cessi di abitare stabilmente nella casa di comune residenza o in caso di matrimonio, di unione civile o di nuova convivenza di fatto;

c) qualora risulti che il convivente mancato ai vivi fosse conduttore di un immobile abitativo destinato a casa comune di residenza, il convivente di fatto sopravvissuto ha facoltà di succedergli nel contratto di locazione;

d) al convivente superstite, qualora l’altro sia mancato per fatto illecito di un terzo, nell’individuazione del danno risarcibile si applicano i medesimi criteri individuati per il risarcimento del danno al coniuge superstite.

Sulla natura del diritto di abitazione spettante al convivente superstite (nella fattispecie di cui sopra sub b), si è pronunciata l’Amministrazione finanziaria in una risposta ad interpello (la n. 463 del 4 novembre 2019), precisando, che, come ricordato dalla Suprema Corte di Cassazione nella sentenza n. 10377 del 27 aprile 2017, tale diritto ha natura di diritto «personale» di godimento acquisito dal convivente in dipendenza del titolo giuridico individuato dall’ordinamento nella «comunanza di vita» attuata anche mediante la coabitazione, ossia attraverso la destinazione dell’immobile all’uso abitativo dei conviventi. Non ha quindi natura «reale» e non dovrà formare oggetto di alcuna denuncia successoria; anche se, come la Corte stessa ha poi rimarcato, ciò non impedisce di assicurare al convivente sopravvissuto la necessaria tutela possessoria sicché «l’estromissione violenta o clandestina dall’unità abitativa, compiuta da terzi e finanche dal convivente proprietario in danno del convivente non proprietario, legittima quest’ultimo alla tutela possessoria, consentendogli di esperire l’azione di spoglio» (si veda anche Cassazione, sezione II, sentenza n. 7214 del 21 marzo 2013; sezione II, sentenza n. 7 del 2 gennaio 2014).

Proprio in riferimento alla prova che poi il convivente dovrà fornire per rivendicare il detto diritto «personale» di abitazione, merita segnalare l’ordinanza del Tribunale di Milano, sezione IX, del 31 maggio 2016 con la quale è stato affermato che «avendo la convivenza una natura “fattuale” e, cioè, traducendosi in una formazione sociale non esternata dai partners a mezzo di un vincolo civile formale, la (eventuale) dichiarazione anagrafica resa agli ufficiali dello stato civile è strumento privilegiato di prova e non anche elemento costitutivo e ciò si ricava, oggi, dall’art. 1 comma 36 della L. n. 76 del 2016, in materia di regolamentazione delle unioni civili tra persone dello stesso sesso e disciplina delle convivenze». Sicché ciò ha indotto l’amministrazione finanziaria, nella ricordata risposta ad interpello n. 463 del 2019 a ritenere che lo status di convivente possa essere riconosciuto sulla base di un’autocertificazione formulata ai sensi dell’articolo 47 del Dpr 445/2000, sebbene la convivenza con il de cuius non risulti da alcun registro anagrafico e il convivente superstite non abbia avuto la residenza anagrafica nella casa di proprietà del de cuius.

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