Società

Divieto del patto leonino, la Cassazione conferma il proprio indirizzo

La pronuncia conferma un orientamento assai rilevante in materia che può senza dubbio considerarsi prevalente, costituendo un vincolo particolarmente significativo per il giudice del merito

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di Antonio Martini, Alessandro Botti, Ilaria Canepa e Arianna Trentino*

La Corte di Cassazione, con la recente decisione del 1° settembre 2023 n. 25594 , ha precisato in modo estremamente chiaro i presupposti perché possa configurarsi un patto leonino.

La pronuncia è ricca di significato in quanto conferma un orientamento assai rilevante in materia che, anche in forza della decisione in esame, può senza dubbio considerarsi prevalente, costituendo un vincolo particolarmente significativo per il giudice del merito.

Il caso concreto, per quanto di interesse, riguarda alcune società consorziate e l’esclusione di una di esse dal rischio d’impresa e dagli utili.

L’evento che avrebbe determinato questa esclusione sarebbe un lodo precedentemente pronunciato, inerente a tali società, che aveva statuito sugli effetti di un accordo concluso con terzi da un organo del consorzio, in contrasto con la volontà di una consorziata e da questa non ratificato.

La Corte di Cassazione ha evidenziato chiaramente che tale genere di fattispecie non può integrare un patto leonino vietato.

Innanzitutto la Corte ha chiarito che il divieto di patto leonino è estendibile a tutti i tipi sociali, indipendentemente dalla modalità con cui nel concreto si declina, in quanto finalizzato alla preservazione della « purezza della causa societatis ».

In seconda battuta ha osservato che per integrare tale patto è necessaria una situazione statutaria che lo legittima; in altri termini, ha confermato che il patto leonino deve essere regolato nello statuto.

La Corte ha poi posto l’accento sul fatto che l’esclusione dagli utili o dalle perdite debba potersi qualificare, sia come assoluta, sia come costante.

Circa il requisito dell’assolutezza, l’esclusione del socio deve riguardare, « ogni partecipazione agli utili o alle perdite », dunque una partecipazione parziale o solo inferiore, in proporzione rispetto a quella degli altri soci, non concreta un patto leonino.

Con il riferimento alla costanza, si intende invece che l’esclusione non deve essere occasionale, cioè non può riferirsi solo ad un «periodo circoscritto», ma deve essere tale da comportare una stabile alterazione effettiva della posizione del socio, del suo status , all’interno della compagine societaria.

Seguendo tale rigoroso metodo di analisi, la Corte ha concluso che il patto leonino non si può configurare in casi come quello sottoposto al suo esame in cui il patto non costituisce il frutto della volontà delle imprese consorziate, ma si tratta di una decisione assunta da arbitri e che influenza solo dall’esterno la posizione di una parte.

Si rimarca che, nella citata decisione, la Corte ha richiamato precedenti di legittimità che hanno ricoperto tutto l’arco degli scorsi decenni e pare dunque che oggi, in definitiva, non vi possano essere dubbi sulla volontà del giudice delle leggi di contenere il patto leonino in casi ben definititi, che promanano della società stessa, riconosciuti nello statuto e che intaccano il nucleo essenziale della partecipazione del socio in modo assoluto e costante.

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*A cura dell’Avv. Antonio Martini, partner, avv. Alessandro Botti e Ilaria Canepa, dott.ssa Arianna Trentino – Studio legale e tributario CBA

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