Civile

Divorzi: nell’assegno entrano età, ruoli e lavoro domestico

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di Giorgio Vaccaro

All’indomani della sentenza 18287/2018 con cui le Sezioni unite della Cassazione hanno corretto il tiro rispetto alla precedente pronuncia della Suprema corte che aveva mandato in soffitta il criterio del tenore di vita (la 11504/2017), la definizione dell’assegno divorzile è oggetto di un’importante opera di interpretazione e definizione.

La Cassazione
Le Sezioni unite, pur archiviando definitivamente il tenore di vita, hanno fatto salvo il principio della «autoresponsabilità di ciascuno degli ex coniugi» e stabilito «la preminenza della funzione equilibratrice-perequativa, dell’assegno di divorzio». Il giudice di merito deve cioè accertare se l’eventuale condizione di squilibrio economico patrimoniale sia da ricondurre alle scelte comuni e ai ruoli vissuti nella vita familiare. Questo perché «la funzione equilibratrice dell’assegno non è finalizzata alla ricostituzione del tenore di vita endoconiugale, ma soltanto al riconoscimento del ruolo e del contributo fornito dall’ex più debole, alla realizzazione della situazione comparativa attuale».

L’adeguatezza dei mezzi va quindi valutata non solo in relazione alla loro mancanza od oggettiva insufficienza, ma anche in relazione al contributo dato alla vita familiare.

Su questa base, all’inizio di quest’anno la prima sezione civile della Cassazione ha chiarito che l'accertamento dell’inadeguatezza dei mezzi o l’incapacità di procurarseli del coniuge che richiede l’assegno deve essere parametrata alla ripartizione dei ruoli (frutto di scelte comuni) durante il matrimonio, alla durata dello stesso e all’età della parte richiedente (sentenza 2480/2019). Ma sempre la prima sezione civile ha anche stabilito che la valutazione delle capacità economiche del coniuge che deve versare l’assegno va operata sul reddito netto e non su quello lordo (sentenza 651/2019).

L’applicazione del principio
L’interpretazione delle Sezioni unite è stata inoltre fatta propria dai tribunali di merito. Il Tribunale di Vicenza, ad esempio (sentenza n. 2819 del 4 dicembre 2018), ha precisato che, nel confrontare le diverse posizioni reddituali di marito e moglie, l’assegno va riconosciuto non solo quando l’ex coniuge economicamente più debole non disponga di mezzi adeguati alla propria sussistenza, ma anche «nell’ipotesi in cui abbia sacrificato le proprie aspettative professionali nell’ambito di un progetto concordato di indirizzo familiare, concorrendo in tal modo alla formazione del complessivo patrimonio familiare». La situazione economico-reddituale dei coniugi va quindi esaminata «in una prospettiva dinamica», poiché l’obiettivo è verificare come si è giunti a tale situazione e se uno dei due abbia «sacrificato in tutto od in parte, le proprie potenzialità professionali o lavorative nel superiore interesse della famiglia». E in questo caso scatta il diritto al contributo di mantenimento, anche in una situazione di autosufficienza economica.

Sulla rilevanza del lavoro domestico è incentrata invece la sentenza n. 1452 del Tribunale di Roma del 22 gennaio 2019. Nella valutazione del contributo dato alla formazione del patrimonio comune ci deve essere «piena equiordinazione tra lavoro domestico di cura e di accudimento» e lavoro svolto fuori del nucleo familiare. La durata del matrimonio è quindi fondamentale nella determinazione dell’assegno in particolar modo per l’ex coniuge che si è dedicato al lavoro casalingo con il quale ha sicuramente contribuito alla costruzione del patrimonio dell’altro. Non solo, il Tribunale di Roma ricorda la «perdurante situazione di oggettivo squilibrio di genere nell’accesso al lavoro» e l’elevatissimo tasso di disoccupazione femminile.

Sempre partendo dal presupposto che gli ex coniugi non siano considerati come monadi senza passato, il Tribunale di Roma, con la sentenza 341/2019, ha inoltre precisato che i beni immobili pervenuti per successione non devono entrare nel calcolo dell’assegno divorzile: quest’ultimo va infatti determinato in base al contributo dato dal coniuge richiedente al patrimonio comune e a quello personale dell’ex.

La giurisprudenza

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