Famiglia

Divorzio, gli accordi “a latere” entrano nella revisione dell’assegno

Importante presa di posizione della Cassazione, sentenza n. 18843 depositata oggi, che ha accolto il ricorso di un ex marito che chiedeva di considerare anche la pattuizione privata, ai fini della rideterminazione del dovuto dopo la convivenza intrapresa dall’ex

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di Francesco Machina Grifeo

Con una interessante sentenza in tema di divorzio, la n. 18843 deposita oggi, la Cassazione affronta un tema poco battuto dalla giurisprudenza e cioè: il valore degli accordi economici privati stipulati dagli ex che dispongano oltre quanto pattuito dal giudice. E chiarisce che, in sede di revisione dell’assegno, il Tribunale, pur non potendo intervenire direttamente sul negozio stipulato «a latere», deve comunque tenerne conto ai fini della valutazione delle condizioni patrimoniali.

Il caso affrontato dalla Prima sezione civile riguarda certamente un divorzio “ricco” in cui all’ex marito, dopo 24 anni di vita coniugale, veniva imposto il pagamento di un assegno mensile di 3.500 euro, oltre alla somma di 16.000 € annui «a titolo di rimborso spese per il ménage domestico». In aggiunta, con una scrittura privata, contestuale al deposito del ricorso congiunto di divorzio, l’ex si impegnava a versare l’ulteriore somma di 2.500€ mensili a integrazione dell’assegno.

Successivamente a seguito della stabile convivenza dell’ex moglie con il nuovo partner, l’assegno veniva ridotto a 3mila euro e il contributo annuale eliminato. Sia il Tribunale che la Corte di appello però bocciavano la richiesta di ulteriore riduzione del dovuto affermando di non potersi pronunciare sull’obbligo assunto privatamente. Contro questa decisione, l’uomo ha proposto ricorso.

Il tema, dunque, è quello della valenza degli accordi negoziali conclusi dai coniugi in sede di divorzio congiunto. In assenza di una previsione normativa, spiega la Suprema corte, con il termine accordi «a latere», si indicano genericamente tutte le pattuizioni che i coniugi stipulano a causa della separazione o del divorzio, senza che il loro contenuto venga trasfuso nell’omologa o nella sentenza.

Vi sono due tipi di accordo, precisa la Corte. È possibile, infatti, che le parti ‒ oltre agli accordi di divorzio congiunto ‒ possano concludere accordi estranei all’oggetto del procedimento, come trasferimenti di beni immobiliari o transazioni. Essi, afferma la Cassazione, sono certamente validi, ma, trattandosi di veri e propri contratti (art. 1321 c.c.), si sottraggono alla valutazione del giudice in sede di giudizio di revisione (art. 9 l. 898/1970), “salvo che per la loro considerazione ai fini della determinazione delle condizioni economiche delle parti”.

Si tratta infatti di contratti estranei all’oggetto del giudizio di divorzio (status, assegno di mantenimento per il coniuge o per i figli, casa coniugale) ‒ seppure aventi causa nella crisi coniugale ‒ e dunque sono impugnabili secondo le regole ordinarie, “ma certamente non rivedibili in sé, ai sensi dell’art. 9 l. 898/1970”.

Considerazioni del tutto “peculiari” invece vanno fatte con riferimento a quelle pattuizioni che “sebbene contenute in un patto aggiunto e contestuale all’accordo di divorzio congiunto, siano, tuttavia, strettamente connesse a questo, per volontà delle parti, e non abbiano ad oggetto diritti indisponibili, o in contrasto con norme inderogabili”. Nel caso concreto, dunque, l’impegno a versare «la somma integrativa» di € 2.500,00 mensili.

Il patto aggiuntivo all’accordo congiunto, del resto, era stato espressamente qualificato come patto «ad integrazione del contributo al mantenimento», con la conseguenza che la Corte d’appello avrebbe dovuto tenerne conto, ai fini della revisione dell’assegno divorzile (una volta accertata la convivenza della moglie con altra persona).

Il patto, infatti, non aveva “causa nella crisi coniugale” ma “oggetto esulante dal giudizio divorzile”, come i contratti autonomi citati sopra (trasferimenti di beni, transazioni), ma a differenza da questi “rientrava a pieno titolo nell’oggetto del giudizio divorzile, in quanto espressamente diretto ad integrare l’assegno di divorzio”. E allora “esso deve poter rilevare ai fini della revisione e di esso il giudice della famiglia deve tenere conto”.

Non viene, così, a essere direttamente modificato quell’accordo negoziale, “ma la quantificazione del nuovo assegno divorzile, spettante alla ex moglie, oramai nella sua sola componente compensativa, per effetto della nuova stabile convivenza, deve essere operata tenendo conto di quanto complessivamente l’ex è obbligato a versare sulla base dei provvedimenti contenuti nella sentenza di divorzio (che recepivano l’accordo tra le parti) e degli obblighi assunti nell’accordo contestuale a latere di carattere integrativo”.

In definitiva, la permanenza del diritto all’assegno divorzile, in relazione alla componente perequativo-compensativa, doveva essere verificata e quantificata, anche tenendo conto della pattuizione a latere.

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