Famiglia

Divorzio, la Cassazione chiarisce la ripartizione del Tfr tra coniuge superstite ed "ex" titolare di assegno

La Suprema corte, ordinanza n. 21247 depositata oggi, ha fissato dei principi di diritto

di Francesco Machina Grifeo

Con una articolata decisione, ordinanza n. 21247 depositata oggi, la Corte di cassazione detta i principi da seguire per l'attribuzione del Tfr nel caso di un coniuge superstite e di un ex coniuge titolare di assegno. Il meccanismo di computo della quota di indennità cui ha diritto il coniuge divorziato, spiega la Corte, prevede la previa ripartizione della indennità tra il coniuge superstite e i figli (e/o altri superstiti) del lavoratore deceduto e, successivamente, la sub-ripartizione della quota spettante al coniuge superstite con il coniuge divorziato, senza prescindere dal criterio legale della durata del matrimonio.

In particolare, prosegue la decisione, nel caso specifico, il trattamento di fine rapporto (calcolato in complessivi euro 34.982,91) andava suddiviso in parti uguali tra il coniuge superstite e i tre figli del lavoratore deceduto, poiché la Corte di appello aveva stabilito che lo stato di bisogno di ognuno dei soggetti concorrenti risultava sostanzialmente sovrapponibile.

Sulla quota (nella specie, di euro 8.745,7275) spettante alla moglie superstite andava, poi, calcolata quella da attribuirsi al coniuge divorziato, "in ragione del criterio legale della durata del matrimonio" e degli altri pure individuati dalla giurisprudenza e, tra questi, anche quello della convivenza, "purché se ne accerti la sua stabilità ed effettività".

Accolto dunque con rinvio il ricorso del coniuge superstite in quanto la Corte territoriale non aveva fatto, buon governo dei principi sopra richiamati, avendo dapprima assegnato il 40% dell'intero al coniuge divorziato, calcolato con riferimento agli anni in cui il rapporto di lavoro era coinciso con il matrimonio e avendo, poi, suddiviso la somma restante tra il coniuge superstite e i figli secondo Io stato di bisogno di ciascuno di loro.

Inoltre, nella determinazione della quota spettante al superstite aveva tenuto conto solo della durata del matrimonio e non anche della convivenza, ritenendo che la stessa non implicasse il totale venire meno della comunione di vita tra i coniugi.

Il giudice di secondo grado invece avrebbe dovuto:
-determinare dapprima la quota di spettanza del coniuge superstite, tenendo conto del concorso degli altri superstiti aventi diritto ex articolo 2122, comma primo, cod. civ. (con applicazione, stante l'assenza di accordo, del criterio della ripartizione secondo la regola aurea del bisogno di ciascuno);

-sulla quota, come sopra determinata, spettante al coniuge superstite, poi, calcolare la quota spettante al coniuge divorziato, in ragione del criterio legale della durata del matrimonio previsto specificamente dall'articolo 9, comma 3, legge n. 898/1970 e degli altri criteri, correlati alla finalità solidaristica che presiede al trattamento di fine rapporto, individuati dalla giurisprudenza e, tra questi, anche quello della convivenza, purchè stabile ed effettiva.

Così facendo il coniuge divorziato non viene "erroneamente affiancato agli altri aventi diritto ex art. 2122 cod. civ., poiché, in applicazione dell'art. 9, comma 3, legge n. 898/1970, la quota di spettanza del coniuge divorziato viene ad insistere sulla quota del coniuge superstite".

In definitiva, la Prima sezione civile ha affermato i seguenti principi di diritto:«In tema di regolazione della crisi coniugale, mentre l'art. 12 bis della legge n. 898/1970 (nel testo aggiunto dall'art. 16 della legge n. 74/1987) si inserisce nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati prevedendo che l'ex coniuge divorziato abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ai sensi dell'art. 5, ad una percentuale della indennità di fine rapporto percepita dall'altro coniuge all'atto della cessazione del rapporto di lavoro e tale percentuale è pari al quaranta per cento dell'indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio; l'art. 9, comma 3, della legge n. 898/1970 (come sostituito dall'art. 13, della legge n. 74/1987) regola il caso del concorso con il coniuge superstite, avente i requisiti per la pensione di reversibilità, e stabilisce che una quota della pensione e degli altri assegni a esso spettante sia attribuita al coniuge divorziato, che sia titolare dell'assegno divorzile, di cui all'art. 5».

«La ripartizione del trattamento di fine rapporto tra coniuge superstite e coniuge divorziato, entrambi aventi i requisiti per la relativa pensione – prosegue la Cassazione -, va effettuata ai sensi dell'art. 9, comma 3, della legge n. 898/1970, oltre che sulla base del criterio legale della durata dei matrimoni, anche ponderando ulteriori elementi correlati alla finalità solidaristica dell'istituto, e tra questi tenendo conto della durata della convivenza, ove il coniuge interessato alleghi e provi la stabilità e l'effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il de cuius».

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