Elezioni forensi: le dimissioni strumentali scontano il limite del doppio mandato
Lo ha chiarito il Cnf con la sentenza n. 215/2023
Il Consiglio nazionale forense (pres. f.f. Corona, rel. Galletti, sentenza n. 215/2023, resa nota in questi giorni) fornisce i chiarimenti sul limite del doppio mandato per i componenti eletti nei consigli degli ordini circondariali forensi. In particolare la decisione mira a censurare eventuali dimissioni strumentali, volte cioè ad aggirare il divieto, chiarendo che il mancato computo del periodo svolto in caso di ritiro anticipato dalla carica scatta unicamente in caso di “ragioni oggettive” e non di mera “opportunità” politica o personale.
Il caso era quello di un avvocato eletto consigliere del COA per due consiliature (2015-2018 e 2019-2022) precedenti a quella attuale (2023-2026) che, nell’ambito della seconda consiliatura 2019-2022, si era dimesso il 20.7.2021 (avendo poi il COA provveduto alla sua sostituzione, il 26.7.2021, procedendo allo scorrimento).
In via generale e di principio, ricorda il Cnf, le dimissioni da componente di un organo di diritto pubblico costituiscono atto unilaterale e recettizio: unilaterale e dunque non bisognevole di accettazione, in quanto nessuno dovrebbe essere costretto a rimanere nella titolarità di una carica contro la propria inequivocabile volontà, di talché l’ordinamento non subordinerebbe la produzione degli effetti delle dimissioni alla eventuale accettazione o presa d’atto delle medesime; recettizio, perché gli effetti tipici delle dimissioni e cioè la cessazione dalla carica, si verificherebbero allorquando la manifestazione di volontà proveniente dall’avente diritto esce dalla disponibilità della sfera giuridica di questi e diviene nota ai destinatari.
In tema di elezioni forensi, afferma dunque il Cnf, il divieto di terzo mandato consecutivo stabilito dall’articolo 3 della legge n. 113/2017 non ricorre nel caso in cui la carica consiliare abbia avuto una durata inferiore al biennio, trattandosi di un periodo insufficiente ad attuare quel particolare consolidamento con l’elettorato (c.d. «cristallizzazione della rappresentanza»), che la ratio del divieto de quo intende appunto scongiurare.
In particolare, prosegue, secondo una interpretazione letterale e comunque da ritenersi preferibile avuto riguardo al bilanciamento dei diritti costituzionali in gioco, il periodo minimo previsto dalla norma per escludere dal computo della consecutività dei mandati riguarda la posizione del singolo consigliere e non già la consiliatura ovvero la durata del Consiglio nel suo complesso.
E sono numerosi i precedenti del Cnf che vengono citati in tal senso, fra cui le sentenze n. 169/2023; n. 120/2023, n. 114/2023 ecc. Il Collegio richiama poi anche la sentenza (pres. f.f. Patelli, rel. Napoli) n. 9 del 7 marzo 2022, che “per prima ha motivatamente dissentito da Cass., SS.UU., n. 8566/2021, secondo cui detto periodo minimo andrebbe invece inteso in senso oggettivo e non soggettivo, sicché non riguarderebbe il «mandato» del consigliere bensì la «consiliatura» ovvero la «durata del Consiglio»”.,
“È di tutta evidenza – prosegue la decisione - che la «sclerotizzazione» e il «forte legame con una parte dell’elettorato» possono realizzarsi soltanto a seguito di un effettivo esercizio della funzione consiliare e non possono semplicemente conseguire all’esistenza in carica di un Consiglio del quale il singolo consigliere non fa più parte. Con tale evidenza stride l’adozione di una nozione strettamente e astrattamente oggettiva di mandato la quale oltretutto si pone in contrasto con l’elemento di bilanciamento tra diversi valori costituzionali del diritto all’elettorato passivo e del ricambio e del rinnovo nelle cariche «riconducibili agli artt. 3, 24, 51 e 97 Cost.» (C. Cost. n. 173/2019) individuato dalla Consulta nella «ragionevolezza e proporzionalità» della scelta legislativa che pone la «temporaneità del divieto» e la limitazione della rilevanza dei mandati impeditivi in base alla durata”.
Tale principio, continua il ragionamento del Cnf, va tuttavia contemperato con l’esigenza di evitare un abuso del diritto, che ricorre allorché le dimissioni siano meramente strumentali ad aggirare il limite del doppio mandato consecutivo e quindi non emergano in capo al Consigliere dimissionario effettive ragioni oggettive o di forza maggiore a sostegno delle rassegnate dimissioni, ma l’opzione sia appunto il frutto di una scelta personale dovuta a ragioni di politica forense o, comunque, a valutazioni personali di opportunità, con evidente frustrazione della ratio posta a fondamento del citato divieto.
Del resto, diversamente opinando, prosegue la sentenza, “non si riuscirebbe ad arginare condotte certamente disdicevoli e volte ad aggirare il contenuto precettivo e sostanziale della disposizione legislativa che impone il divieto, dandosi il definitivo “via libera” all’utilizzo strumentale dell’istituto delle dimissioni, successivamente alla proclamazione degli eletti e prima del compimento del biennio della consiliatura, per motivi affatto commendevoli e meritevoli di tutela”.
Così tornando al caso specifico, conclude il Collegiom “non v’è dubbio che anche nella fattispecie in esame possa affermarsi la ricorrenza di una situazione di abuso del diritto del Consigliere a rassegnare le dimissioni prima del decorso del biennio della consiliatura, laddove le ragioni in concreto addotte a sostegno delle dimissioni nella missiva via PEC del 20.7.2021 fanno esclusivo riferimento a motivazioni soggettive afferenti valutazioni di politica forense ed amministrativa e, in particolare, a presunti deficit nel funzionamento dell’istituzione consiliare relativamente ai quali l’ordinamento forense prevede, nei casi espressamente previsti e regolamentati dall’art. 33 co. 1 della legge di riforma professionale n. 247 del 2012, la possibilità di invocare lo scioglimento con decreto ministeriale previa acquisizione in via istruttoria del parere obbligatorio, ma non vincolante reso dal CNF”..