Eredità digitale, il nodo della trasferibilità
Il soggetto che abbia interesse a organizzare il proprio patrimonio digitale dovrà dare disposizioni specifiche al provider circa l’accesso al proprio account e predisporre un testamento nel quale lasciare specifiche indicazioni, nonché le password e gli accessi ID
Dal messaggio recentemente trasmesso da Apple a tutti gli utenti, che recita “Scegli un contatto erede”, si apre un mondo del tutto nuovo per tutti gli influencer e i Tik-Toker o anche per chi dispone di valute digitali.
Il patrimonio oggetto di devoluzione ereditaria non è più formato solo da beni reali (immobili, mobili o beni custoditi in cassette di sicurezza) ma,ampliando l’interpretazione dell’art. 810 Cod. Civ., tra i beni che possono formare oggetto di diritti devono oggi includersi anche i cd. beni digitali, ovvero, ad esempio, criptovalute, NFT, immagini, video, social media account, servizi e-commerce, servizi digitali e dati personali racchiusi in qualche nuvoletta.
Per trasmettere in via ereditaria la proprietà di un immobile al limite non serve alcunché salvo depositare una dichiarazione di successione all’Agenzia delle Entrate, o, comunque, basta indicare in un testamento i riferimenti catastali (o anche solo l’ubicazione) e l’erede ne acquista la proprietà senza particolari problematiche.
Diverso è se l’oggetto dell’eredità è formato da un patrimonio digitale. La sua trasmissibilità, infatti, richiede una preparazione e un dettaglio tutt’altro che semplice.
In alcuni casi e per alcuni provider o gestori di beni digitali il titolare deve indicare un “contatto erede” e, comunque, accertarsi che la normativa richiamata nelle varie condizioni generali di contratto, che solitamente vengono accettate senza particolare attenzione, consentano la trasmissibilità ereditaria del bene digitale e le varie condizioni in forza delle quali un erede sia legittimato ad acquisire la proprietà di un account oppure delle criptovalute acquistate.
Ovviamente, il titolare dei beni digitali dovrà anche preoccuparsi di trasmettere le proprie password e user ID.
Ecco perché Apple si preoccupa per i propri clienti invitandoli a indicare il nominativo di un soggetto che possa, ad esempio, subentrare nella titolarità dell’account del de cuius.
Allo stato anche Facebook e Instagram consentono al titolare dell’account di individuare un soggetto cui trasferire il bene digitale in caso di decesso; a quanto consta la stessa facoltà non è prevista per Tik-Tok o Twitter.
Il de cuius potrà anche decidere di inserire nel proprio testamento i beni digitali, ma nessun erede potrà accedere all’account del defunto se non dispone delle password e, in questo ambito, non valgono le medesime regole che vigono per i beni reali.
Così, ad esempio, è accessibile il conto corrente del de cuius presentando all’istituto bancario la dichiarazione di successione e un atto notorio senza bisogno di altre informazioni.
La medesima procedura non vale per l’account di Apple; se il titolare dell’account non si è preoccupato di indicare un contatto erede e, anche in tal caso, se comunque non ha trasferito password e ID il suo patrimonio digitale resterà segregato nell’etere senza possibilità di accesso e di sfruttamento da parte di alcuno.
Solo possedendo il codice ID si potrà richiedere al Tribunale competente un’ordinanza che imponga al gestore dell’account di consentire l’accesso all’erede.
In linea di principio nel territorio italiano la disciplina attorno a cui ruota attualmente il sistema di accesso ai dati personali del defunto è l’art. 2-terdecies del Decreto legislativo|30 giugno 2003| n. 196 (“Codice Privacy”), rubricato “Diritti riguardanti le persone decedute”, che così recita «chi ha un interesse proprio, o agisce a tutela dell’interessato, in qualità di suo mandatario, o per ragioni familiari meritevoli di protezione» possa esercitare sui dati personali del de cuius i diritti previsti dagli artt. 15-22 GDPR, e cioè i diritti di accesso, rettifica, cancellazione, limitazione di trattamento, opposizione e portabilità dei dati.
Tale esercizio, con le restrizioni sopra accennate, non è ammesso “nei casi previsti dalla legge o quando, limitatamente all’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, l’interessato lo ha espressamente vietato con dichiarazione scritta presentata al titolare del trattamento o a quest’ultima comunicata”.
Tale volontà deve però essere espressa in modo non equivoco e deve essere specifica, libera e informata e “non può produrre effetti pregiudizievoli per l’esercizio da parte dei terzi dei diritti patrimoniali che derivano dalla morte dell’interessato nonché dal diritto di difendere in giudizio i propri interessi”.
Seguendo le regole dettate dal GDPR si potrà, quindi, tramandare l’eredità digitale o impedire che gli eredi possano pretendere di accedere ad esempio alle informazioni digitali del de cuius.
In sintesi, nell’attesa che una normativa ad hoc intervenga a disciplinare questa specifica materia in continua evoluzione, il soggetto che abbia interesse a organizzare il proprio patrimonio digitale dovrà dare disposizioni specifiche al provider circa l’accesso al proprio account da parte del beneficiario e predisporre un testamento nel quale lasciare specifiche indicazioni, nonché le password e gli accessi ID, che divengono un bene ereditario funzionale all’ottenimento del bene ereditario digitale finale rappresentato da tutti i beni digitali del de cuius.
Si pone, poi, ovviamente un problema più ampio relativo alla compatibilità tra le volontà espresse nel testamento e gli sbarramenti che le condizioni generali dei diversi provider/gestori pongono rispetto appunto alle volontà del de cuius circa la trasmissibilità del proprio patrimonio digitale agli eredi/legatari.
_______
*A cura di Emanuela Baj – Of Counsel Deloitte Legal, Federica Caretta – Managing Associate Deloitte Legal