Errata segnalazione alla centrale rischi: no al risarcimento se la società era in crisi
Va escluso il risarcimento per l'errata segnalazione alla centrale rischi di Bankitalia, se l'errore della banca riguarda una società in crisi da anni. E manca la prova che la stretta sui finanziamenti degli istituti di credito sia collegata al comportamento illegittimo della banca che ha lanciato l'”alert”. La Corte di cassazione, con la sentenza 13264 accoglie, sul punto, il ricorso della banca autrice di una segnalazione errata che riguardava un'esposizione debitoria nei confronti di un altro istituto che in realtà non c'era. Una “svista” corretta dallo stesso istituto di credito dopo due mesi, ma che era costato alla banca una condanna per risarcimento per oltre un milione e 600 mila euro: cifra che la Corte d'Appello aveva rivisto al rialzo rispetto al Tribunale. Per i giudici territoriali, che avevano rilevato anche il danno non patrimoniale, c'era la prova del pregiudizio. Due banche su quattro avevano, infatti, ridotto il sostegno finanziario e fatto richieste di rientro, impedendo alla società di portare a termine un piano di investimenti. La Suprema corte però, pur confermando l'inesistenza dell'indebitamento segnalato, censura il verdetto della Corte territoriale, perché adottato senza valorizzare la situazione di crisi della società.
I giudici di legittimità annullano con rinvio, e chiedono alla Corte d'Appello una nuova valutazione sul nesso causale tra la stretta sui crediti e l'alert infondato. Una conclusione sulla quale “pesano” i bilanci della società, che disegnavano una parabola discendente da anni, rendendo plausibile il dubbio che la scelta del rigore da parte degli istituti di credito fosse da ricondurre ad altre ragioni. La compagine aveva un calo di fatturato di miliardi di lire a fronte di investimenti quasi nulli e utili di impresa pari alla metà dei debiti. In questo quadro la Cassazione trascura gli elementi considerati dai giudici di merito: malgrado la crisi le banche avevano continuato a finanziare e c'era una perizia del Ctu che affermava l'esistenza del nesso tra la condotta della banca e la lesione dei diritto di impresa. La Suprema corte però, pur precisando che il benessere di una società non dipende dal solo fatturato, considera imprescindibile un esame della situazione pregressa, dall'esposizione debitoria ai capitali investiti, che la Corte d'Appello non aveva fatto. Decidendo come se la società in questione fosse solida e in attivo.