Civile

Escluso dagli arbitrati l'avvocato privo dei requisiti di indipendenza

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di Marco Marinaro

L’avvocato non può accettare la nomina ad arbitro se una delle parti è assistita da altro collega con il quale intercorre un rapporto di società o associazione ovvero che eserciti negli stessi locali la professione forense. A tal fine, non sortisce alcun effetto sanante la circostanza per cui nessuna contestazione all’assunzione e all’espletamento del mandato arbitrale sia stata avanzata nel corso del procedimento arbitrale dalla parte che successivamente abbia denunciato la commissione dell’illecito disciplinare.

Il principio è affermato dalla Cassazione che a Sezioni Unite con la sentenza n. 7761 del 9 aprile 2020 (presidente Petitti, estensore Bisogni) si è pronunciata rigettando il ricorso proposto contro una sentenza del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare.

Il codice deontologico
Più precisamente, con la sentenza del 27 dicembre 2018, il Cnf applicando l’articolo 55 del codice deontologico (nella versione per tempo vigente) aveva sancito l’incompatibilità dell’incarico arbitrale qualora una delle parti del procedimento arbitrale fosse stata assistita da difensore socio o associato dell’avvocato designato come arbitro, ipotesi ricorrente nel caso in esame essendo il difensore di una delle parti figlio e associato con uno degli arbitri nominati.

Precisava altresì il Cnf che la norma richiamata dovesse applicarsi al caso di specie pur trattandosi di arbitrato irrituale in quanto garantisce che l’arbitro sia ed appaia autonomo, indipendente e imparziale. Di conseguenza doveva ritenersi irrilevante anche l’asserito e non dimostrato assenso della parte avversa. Infatti, è irrilevante altresì che l’arbitro possa recedere dal suo incarico solo per giusta causa perché la giusta causa, come nella situazione di specie, era proprio l’incompatibilità.

Invero, la comunicazione della circostanza che avrebbe dovuto comportare il recesso dall’incarico è un atto dovuto e non una esimente in assenza di obiezioni e, infatti, considerato il carattere assoluto del divieto, la comunicazione alle parti della causa di incompatibilità ha proprio la funzione di impedire che essa sfugga al loro controllo.

La Suprema corte
La Cassazione, nel confermare la sentenza impugnata, ha specificato che non solo l’accettazione, ma anche l’effettivo esercizio del mandato arbitrale nelle predette condizioni di incompatibilità assume un proprio ed autonomo rilievo disciplinare e produce tali effetti sino alla fine dello svolgimento del mandato.

La carenza di contestazioni all’assunzione e all’espletamento del mandato arbitrale è del tutto irrilevante in quanto il divieto di assunzione è inteso a tutelare il profilo deontologico dell’avvocatura garantendo l’indipendenza e l’imparzialità del collegio arbitrale in quanto tale e a prescindere dalla correttezza dello svolgimento effettivo del mandato. Per tale motivo non è negoziabile dalle parti. Ciò non esclude che al fine di garantire la trasparenza del procedimento e l’indipendenza e imparzialità del collegio si faccia obbligo agli avvocati nominati arbitri di comunicare ogni possibile causa di menomazione di questi requisiti proprio per consentire alle parti di esprimere il proprio dissenso alla nomina.

Cassazione, sentenza n. 7761 del 9 aprile 2020

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