Civile

Esecuzione, la vendita non conta ai fini «Pinto»

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di Antonino Porracciolo

Nel calcolo della durata irragionevole del processo esecutivo non vanno considerati i tempi per la ripetizione dei tentativi di vendita dovuti alla mancanza di offerte. È quanto afferma la Cassazione nella sentenza n. 8540/2015, depositata lo scorso 27 aprile.

La Corte di merito aveva riconosciuto a tre ricorrenti l’equo indennizzo per i tempi troppo lunghi di un’espropriazione immobiliare. Gli stessi ricorrenti si sono quindi rivolti alla Corte suprema per ottenere maggiori importi, sostenendo che, per determinare l’irragionevole durata del processo in base alla legge Pinto (la n. 89/2001), occorreva computare anche «l’infruttuosa ripetizione degli esperimenti di vendita».

Nel respingere il ricorso, la Cassazione ricorda che l’articolo 2 della Pinto prevede che, per stabilire se sia stato superato il termine di ragionevole durata, si devono considerare, fra l’altro, il comportamento delle parti e del giudice nonché la condotta dei terzi (definiti «autorità» prima della riforma del 2012 e oggi «soggetti»). Questi ultimi devono essere «“chiamati” a concorrere o a contribuire alla definizione del processo», sicché si deve trattare «di persone fisiche, enti o organismi che assumano in esso una determinata veste. E che proprio per questo possono essere soggetti al potere sollecitatorio, comminatorio e sanzionatorio del giudice».

Di conseguenza, tra i terzi in questione «non rientrano tutti coloro i quali potrebbero presentare offerte d’acquisto nel subprocedimento di vendita»: ciò perché «solo l’offerta di partecipazione, avendo natura giuridica di domanda giudiziale, costituisce l’offerente come soggetto partecipe al processo». Da ciò si deve dedurre - aggiunge la Corte - che «le frazioni processuali non dipendenti né dal giudice, né dalle parti, né da terzi», bensì dal difetto di interesse di quanti potrebbero inserirsi nel processo esecutivo concorrendo a realizzarne lo scopo, «fuoriescono dalla sfera di controllo dell’autorità giudiziaria e, pertanto, non sono computabili ai fini della durata irragionevole».

Il tempo standard dell’espropriazione immobiliare non può, dunque, includere gli intervalli imposti dalla reiterazione dei tentativi di vendita andata deserta per mancanza di offerenti; «sicché - si legge ancora nella motivazione - detti esperimenti, se correttamente e tempestivamente effettuati, devono essere sottratti dal tempo complessivo della procedura su cui operare il giudizio di durata ragionevole». Si tratta di conclusione - come afferma la stessa Cassazione - in linea con la giurisprudenza del giudice di legittimità, secondo cui si deve escludere che «l’equa riparazione sia la conseguenza ineluttabile dell’oggettivo superamento di un lasso temporale predefinito come ragionevole».

Cassazione 8540/2015

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