Famiglia

Famiglia e successioni: il punto sulla giurisprudenza dei giudici di merito

La selezione delle pronunce di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022

di Valeria Cianciolo

Si segnalano in questa sede i depositi della giurisprudenza di merito in materia di diritto di famiglia e delle successioni 2022. Le pronunce in particolare, si sono soffermate sulle seguenti tematiche o questioni:

1. successioni;

2. miglioramenti eseguiti da nudo proprietario, diritti di credito nei confronti dell'usufruttuario e valore del donatum;

3. stato civile, coppie same sex  e trascrizione degli atti di nascita; procreazione medicalmente assistita ed impianto post mortem;

4. adozione e gravi carenze genitoriali;

5. insussistenza del diritto di abitazione del coniuge superstite e immobile in comproprietà;

6. obbligo di mantenimento del figlio;

7. rifiuto del donatario ad assistere il donante ed ingiuria grave.

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1. SUCCESSIONI - Miglioramenti eseguiti da nudo proprietario, diritti di credito nei confronti dell'usufruttuario e valore del donatum

(Cc articoli 542, 556, 747, 750, 983, 985 e 986)

La disciplina dei miglioramenti e delle addizioni nell'usufrutto, contenuta negli artt. 985 e 986 c.c., non riconosce alcun credito nei confronti dell'usufruttuario al nudo proprietario che abbia attuato a sue spese opere sul bene oggetto di usufrutto che ne abbiano accresciuto il valore, situazione che può verificarsi in quanto non esiste un divieto, per il nudo proprietario, di effettuare interventi sul bene, con il consenso dell'usufruttuario, come desumibile dall'art. 983 c.c. Le previsioni codicistiche prendono in considerazione solo gli interventi sul bene posti in essere dall'usufruttuario che si traducono, al momento della restituzione, in altrettanti obblighi del nudo proprietario al pagamento di un indennizzo.Alla luce della disciplina dettata dagli artt. 985 e 986 c.c., va escluso, quindi, che il nudo proprietario dell'immobile sia titolare di un credito nei confronti del de cuius per i miglioramenti dallo stesso asseritamente apportati all'immobile oggetto di usufrutto.Il credito del legittimario pretermesso è un credito di valore e non di valuta. Pertanto, ove il legittimario non possa conseguire la quota in natura, affinché il denaro costituisca l'esatto valore della quota che gli sarebbe spettata, bisogna rivalutare tale credito al momento della decisione, facendo riferimento agli indici Istat sul costo della vita. Inoltre, trattandosi di beni fruttiferi bisogna, altresì, corrispondere i frutti non percepiti (o gli interessi compensativi in caso di somma di denaro) dalla data della domanda al saldo.
Tribunale di Rimini, sentenza 28 aprile 2022 n. 400 - Pres. Miconi, Giud. Rel. Bertozzi Bonetti

2. STATO CIVILE – Ordinata la trascrizione degli atti di nascita con l’indicazione del nome delle due mamme .

(Cc articoli 254 e 451; Legge 19 febbraio 2004, n. 40; articoli 7 e 21 della Carta dei Diritti Fondamentali dell'Unione Europea; articoli 8 e 14 della Convenzione EDU; Legge 20 maggio 2016, n. 76)

La pronuncia in commento si origina dal caso di una coppia omosessuale composta da due donne che aveva richiesto l'annotazione della dichiarazione di riconoscimento di un figlio nato da tecniche di procreazione medicalmente assistita di tipo eterologo. Nel bilanciamento degli interessi da un lato, della madre intenzionale che abbia prestato il consenso alla pratica fecondativa e dall’altro, al vuoto di tutela dell'interesse del minore, va trovato un ragionevole punto di equilibrio fra i valori costituzionali coinvolti. Si tratta di un compito che spetta al Legislatore. In attesa dell’intervento legislativo, compete al giudice del merito predisporre un’interpretazione costituzionalmente orientata dell'attuale quadro normativo. Ciò che viene ribadito anche nella pronuncia del Tribunale di Taranto, è il preminente interesse del minore, nato da PMA eterologa praticata da due donne, a vedere riconosciuto il suo status filiationis che può e deve ricevere tutela mediante un'interpretazione costituzionalmente orientata dell'art. 8 della Legge 40/2004. Il Tribunale nell’accogliere la richiesta delle due mamme sottolinea la non contrarietà all’ordine pubblico dell’atto di riconoscimento del nato, richiamando il filone consistente di pronunce della Corte Costituzionale che riconoscono la trascrivibilità nei registri dello stato civile del minore nato da due donne. L'evoluzione dell'ordinamento, considerando la nozione tradizionale di famiglia, ha progressivamente riconosciuto rilievo giuridico alla genitorialità sociale, anche se non corrispondente con quella biologica, posto che il dato della provenienza genetica non costituisce un imprescindibile requisito della famiglia stessa.
Tribunale di Taranto, sezione I, decreto, 31 maggio 2022 – Pres. Maggi, Rel. Gloria

3. P ROCREAZIONE MEDICALMENTE ASSISTITA – Embrione crioconservato e impianto post mortem

(Articoli 6 e 8 della Legge 19 febbraio 2004, n. 40; Cc articoli 232, 269, 270, 273, 276 e 277)

Il presupposto della sussistenza in vita dei componenti la coppia che accede alle tecniche di P.M.A. di cui agli artt. 5 e 6 della L. n. 40 del 2004 deve sussistere al tempo della fecondazione. Avvenuta la fecondazione dell'ovulo deve ritenersi irrilevante la permanenza o meno del consenso alla PMA da parte del coniuge, poi deceduto, giacché a far data dalla formazione dell'embrione il consenso prestato ai fini della PMA non è più revocabile. Il requisito della sussistenza in vita dei componenti della coppia al tempo della PMA di cui all'art. 5 deve ritenersi soddisfatto al tempo della fecondazione non anche oltre. Al soggetto generato tramite tecniche di procreazione medicalmente assistita alle quali la donna abbia fatto ricorso successivamente alla morte del marito, deve essere attribuito senz'altro e in ogni caso (anche qualora la donna abbia fatto ricorso alla fecondazione post mortem, vietata nel nostro Paese) lo stato di figlio nato nel matrimonio della coppia coniugata, sempre che sussista il presupposto fondamentale previsto dal sopra richiamato art. 8, vale a dire il consenso espresso congiuntamente dai coniugi al ricorso alle tecniche di P.M.A., secondo quanto stabilito dall'art. 6 della medesima legge, mantenuto fermo dal marito fino alla data della sua morte. Anche al nato da impianto post mortem, si applica l’art. 8, L. n. 40 del 2004, in forza del quale “i nati a seguito dell’applicazione delle tecniche di procreazione medicalmente assistita hanno lo stato di figli legittimi o di figli riconosciuti della coppia che ha espresso la volontà di ricorrere alle tecniche medesime ai sensi dell’articolo 6”.
Tribunale Oristano, sentenza 20 maggio 2022, n. 264 – Pres. Sciarrillo, Giud. Rel. Mighela

LA NOTA
Il legislatore non ha precisato in quale momento del complesso  iter  di applicazione delle procedure di PMA debba sussistere il requisito dell’essere “entrambi viventi” i componenti della coppia di aspiranti genitori. L’unico e indiretto riferimento che il legislatore dedica alla procreazione  post mortem è rinvenibile nell’art. 5, della L. n. 40/2004 che stabilisce quale requisito soggettivo che “ l’applicazione delle tecniche sia permesso a soggetti  [ omissis ]  entrambi viventi ”. E’ facilmente constatabile quanto il dato normativo possa apparire generico, riferendo la sussistenza di tale requisito al momento dell’“accesso” alle tecniche di PMA (art. 5, L. n. 40 del 2004), mentre nel successivo articolo 6 fa riferimento al momento dell’“applicazione” delle medesime.

Secondo l’orientamento consolidatosi nel tempo, pur nel silenzio legislativo, nel caso in cui la morte del partner giunga in seguito alla fecondazione e, quindi, alla formazione dell’embrione, la donna può legittimamente richiedere al centro di PMA di procedere all’impianto intrauterino dell’embrione crioconservato, formato nell’ambito della procedura di PMA cui si era sottoposta insieme al partner poi deceduto. Si ritiene infatti che la morte avvenuta dopo la fecondazione sarebbe infatti irrilevante ai fini della procedura, dovendosi prendere in considerazione sia il divieto di soppressione degli embrioni indicato nell’art. 12, con cui la PMA post mortem deve necessariamente essere coordinata, sia la disciplina concernente la revoca del consenso che può essere legittimamente esercitata solo fino al momento della fecondazione. Ne consegue che qualsiasi evento successivo sia da considerarsi irrilevante.

4. ADOZIONE – Le gravi carenze genitoriali giustificano l’adozione

(Legge 4 maggio 1983, n. 184; articoli 38-41 della Legge 31 maggio 1995, n. 218)

Lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre nelle sole ipotesi nelle quali entrambi i genitori non siano in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabili per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psicofisico del minore. Il diritto del minore di crescere nell'ambito della propria famiglia d'origine, considerata l'ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico, è - per vero - espressamente tutelato dalla L. n. 184 del 1983, art. 1. Ne consegue che il giudice di merito deve, prioritariamente, tentare un intervento di sostegno diretto a rimuovere situazioni di difficoltà o disagio familiare e, solo quando, a seguito del fallimento del tentativo, risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittima la dichiarazione dello stato di adottabilità.
Corte d'Appello Palermo, sezione I, sentenza, 28 aprile 2022, n. 11 – Pres. Pellingra, Giud. Rel. Draetta

5. SUCCESSIONE – Comproprietà della casa coniugale con terzi e diritto di abitazione del coniuge superstite

(Cc Articoli 540 e 1102)

La titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall'art. 540 cpv. c. c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, che, costituendo ex lege oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649, 2° comma, c. c.) al momento dell'apertura della successione, ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull'abitazione del de cuius; pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove, per l'indivisibilità dell'immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell'immobile spettante e l'immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all'attribuzione dell'equivalente monetario di quel diritto. Nel caso di un bene in comune, ogni comproprietario ha diritto ad utilizzarlo purchè non ne impedisca il godimento agli altri comproprietari, di modo che per il sorgere del diritto al risarcimento per la mancata utilizzazione non è sufficiente la prova dell’utilizzo dell’altro, ma occorre dimostrare che il mancato utilizzo da parte propria è derivato dalla esclusione e non da propria inerzia. Il condividente che abbia goduto in via esclusiva di un immobile senza giustificato motivo deve versare agli altri condividenti una somma che serve ad indennizzare la limitazione subita dal proprio uguale diritto e a compensare il mancato conseguimento dei frutti ritraibili dal bene occupato. Il danno da occupazione "sine titulo", in quanto particolarmente evidente, può essere agevolmente dimostrato sulla base di presunzioni semplici, ma un alleggerimento dell'onere probatorio di tale natura non può includere anche l'esonero dall'allegazione dei fatti che devono essere accertati, ossia l'intenzione concreta del proprietario di mettere l'immobile a frutto.
C orte d’Appello di Genova, 25 maggio 2022 – Pres. Bruno, Cons. Rel. Albino

LA NOTA

È controverso se il diritto di abitazione sulla casa familiare, e il diritto di uso dei mobili che la corredano, sorga in caso di comune appartenenza della abitazione menzionata al de cuius e a soggetti terzi.

Potrebbe essere sostenuta, infatti, la possibilità di estendere la portata della norma dell'art. 540, 2° co., argomentando dall'inciso in cui essa prevede che il diritto di abitazione sia riservato con riferimento alla casa adibita a residenza familiare «se di proprietà del defunto o comuni», nel senso di includere anche i beni che siano di proprietà del defunto solo per quota, essendo in comproprietà con terzi.

Altra impostazione, invece, ritiene applicabile il principio di convertibilità del diritto di abitazione della casa familiare nell'equivalente monetario, a fronte della indivisibilità dell'immobile che sia tale da non consentire il materiale, esclusivo, godimento del bene da parte del coniuge superstite.

La giurisprudenza ha affermato che il principio della conversione del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite nel suo equivalente monetario, nell'ipotesi in cui la residenza familiare del de cuius sia ubicata in un immobile in comproprietà, - e, per l'indivisibilità dell'immobile, non possa attuarsi il materiale distacco della porzione spettante al coniuge qualora l'immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente - è applicabile anche al caso in cui, in séguito alla vendita all'incanto dell'immobile ritenuto indivisibile, si verrebbe inevitabilmente a creare la convergenza sullo stesso bene del diritto di proprietà acquisito dal terzo aggiudicatario e del diritto di abitazione spettante al coniuge superstite (risultando concretamente impossibile la separazione della porzione dell'immobile spettante a quest'ultimo). Ciò in virtù del fatto che, ove il diritto di abitazione spettante al coniuge superstite cada sulla residenza familiare del de cuius sita in un immobile in comproprietà lo stesso deve convertirsi nel suo equivalente monetario. Il diritto di abitazione in questione, infatti, troverebbe limite e attuazione in ragione della quota di proprietà del defunto.

Altra impostazione, maggiormente restrittiva, interpreta l'inciso prima menzionato nel senso che il termine «comuni» sia da riferire solo al caso di comproprietà dell'immobile tra il de cuius e il coniuge superstite così privilegiando l'interpretazione più aderente alla necessità di tutela dell'affidamento del terzo, a fronte della già corposa, preminente, sistemazione concessa alle ragioni successorie del coniuge.

 In tal senso è anche parte della dottrina, la quale interpreta restrittivamente la norma, in specie a tutela delle ragioni legate all'affidamento del terzo comproprietario.

6. DIVORZIO – Per la cessazione dell'obbligo di mantenimento occorre provare che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica

(Cc, articoli 147, 148 e 337-septies)

Il genitore interessato alla declaratoria di cessazione dell'obbligo di mantenimento è tenuto a provare che il figlio ha raggiunto l'indipendenza economica, ovvero che il mancato svolgimento di un'attività produttiva di reddito (o il mancato compimento del corso di studi) dipende da un atteggiamento di inerzia ovvero di rifiuto ingiustificato dello stesso. L’onere di provare che il figlio può mantenersi da solo compete al genitore obbligato, ai sensi dell’art. 2697 cod. civ. Il diritto del figlio al mantenimento, anche dopo il raggiungimento della maggiore età, non esclude il suo dovere di adoperarsi per rendersi quanto prima economicamente autonomo, impegnandosi con profitto negli studi o nella formazione professionale ed attivandosi, completati gli stessi, per il reperimento di un'occupazione adeguata alle proprie capacità ed alla propria specializzazione, nonché compatibile con le opportunità reali offerte dal mercato del lavoro, è anche vero, però, che è compito dei genitori di assecondare, per quanto possibile, le inclinazioni naturali e le aspirazioni del figlio, consentendogli di orientare la sua istruzione in conformità dei suoi interessi e di cercare un'occupazione appropriata al suo livello sociale e culturale, anche mediante la somministrazione dei mezzi economici a tal fine necessari, senza forzarlo ad accettare soluzioni indesiderate.
Tribunale Latina, Sez. I, sentenza 25 giugno 2022, n. 1331 – Pres. De Cinti, Giud. Rel. Monetti

LA NOTA

L’obbligo di mantenimento dei figli maggiorenni è sancito dall’art. 337 septies del codice civile, norma applicabile alle separazioni, ai divorzi e alle nascite fuori del matrimonio.

Il giudice può disporre l’assegno “valutate le circostanze”, formula che si riferisce, oltre che alla possibilità di concederlo o negarlo, anche alla scelta tra mantenimento diretto e indiretto.

I parametri valutativi che presiedono alla verifica della sussistenza dell’obbligo per il genitore sono la proporzionalità, in rapporto all’età dei beneficiari, la valutazione del percorso formativo e della sua ultimazione, la verifica delle eventuali condotte non diligenti del figlio.

L’importanza dell’età è sottolineata da molteplici pronunce di legittimità, che affermano il principio di proporzionalità inversa, secondo il quale all’età progressivamente più elevata dell’avente diritto si accompagna, tendenzialmente e nel concorso degli altri presupposti, il venir meno del diritto al conseguimento del mantenimento. Un limite di età per il mantenimento non esiste, ma può essere nella realtà delle cose quando le situazioni si protraggano oltre ogni misura. Il maggiorenne cui non spetti più il mantenimento può, ricorrendone i presupposti, agire nei confronti del genitore per ottenere gli alimenti.

L’onere di provare che il figlio può mantenersi da solo spetta al genitore obbligato, ai sensi dell’ art. 2697 cod. civ., secondo il quale i fatti estintivi del diritto devono essere provati da chi li invochi. La giurisprudenza ha svolto una differenziazione, ponendo a carico del genitore l’onere probatorio fino al momento in cui il figlio non abbia esaurito il ciclo di studi o formazione previsto e ponendo  un’inversione dell’onere della prova nel momento in cui gli studi siano stati completati. In questo ultimo caso, è il figlio a dover dimostrare di essersi effettivamente adoperato per rendersi autonomo, impegnandosi per trovare un’occupazione in base alle opportunità effettivamente offerte dal mercato del lavoro.

La giurisprudenza più recente ha sottolineato l’importanza del concetto di autoresponsabilità del figlio, il quale, oltre al diritto al mantenimento, ha il dovere di attivarsi perché quest’ultimo non sia, per il genitore, ingiustamente gravoso.

7. DONAZIONE - L'indisponibilità del donatario ad assistere il donante non integra gli estremi di un'ingiuria grave

(Cc Articoli 433, 435, 436, 463, 801 e 802)

Il rifiuto e l'indisponibilità del donatario ad assistere il donante e a venire incontro alle sue esigenze non integrano gli estremi di un'ingiuria grave ex artt. 800 e 801 c.c., essendo necessario a tal proposito un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante, oltre che espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale per cui possa ritenersi offesa la coscienza comune.
Tribunale Torre Annunziata, sentenza 23 giugno 2022, n. 1552 – Giud. Vernaglia Lombardi

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